Lo spunto del presente articolo nasce dalla lettura di un lavoro pubblicato da Carlo Torre, Augusto Doro e Giacomo Giacobini, comparso nel 1985 sulla Rivista Di Studi Liguri[1].
In detto lavoro i tre autori presentano un dettagliato studio su una serie di resti scheletrici umani venuti alla luce durante i lavori di ristrutturazione della pavimentazione della chiesa parrocchiale di Exilles e successivamente trasferiti all'Istituto di Anatomia Umana dell'Università di Torino per poter essere studiati e successivamente utilizzati a scopo didattico.
Questi resti risultano molto interessanti in quanto presentano numerose lesioni localizzate al cranio e alle ossa lunghe dell'arto superiore; le caratteristiche morfologiche di tali lesioni consentono di classificarle come prodotte da arma bianca e da corpi contundenti (presenza di fratture localizzate sul cranio, con affondamento più o meno marcato del tavolato esterno e talora coinvolgimento del tavolato interno, prodotte molto probabilmente da un elemento traumatizzante a superficie limitata come una mazza ferrata o ferite prodotte da punte coniche o cilindro-coniche cioè da frecce). Analoghe lesioni sono presenti sull'omero e sull'ulna, regioni anatomiche frequentemente offese quando chi è aggredito protende gli arti superiori flessi nell'estremo tentativo di proteggersi il volto e il tronco. Sempre a proposito delle lesioni gli autori aggiungono che, mentre alcune (ferite da punta) possono essere state inferte con strumento da lancio e quindi a distanza, altre (lesioni da corpo contundente) sono indubbiamente da riferire a traumatismi subiti mentre aggredito e aggressore si trovavano vicini e poiché in alcuni casi coesistono i due tipi di lesioni, questo particolare suggerirebbe l'ipotesi di un'azione lesiva in due tempi: dapprima a distanza (arma da lancio) quindi con aggressore vicino alla vittima già ferita (colpo di mazza). Altro dato di rilevante importanza è il fatto che i resti scheletrici appartengono a soggetti di diversa età e sesso; questo rende inverosimile che le lesioni siano state patite esclusivamente in battaglia, facendo supporre che siano il risultato di un azione bellica nei confronti della popolazione civile, ovvero un vero e proprio massacro.
Frammenti di ceramica rinvenuti unitamente alle ossa consentono una approssimativa datazione del deposito intorno alla metà del XV secolo e rendono verosimile l'ipotesi che i resti scheletrici in questione possano testimoniare quanto avvenuto nel 1453, allorché il possesso di Exilles, allora in mano ai soldati di re Carlo VII di Francia, venne fortemente contrastato dalle truppe di Ludovico di Savoia le quali, essendo riuscite dopo aspre battaglie ad espugnare la località, diedero sacco al paese infierendo sugli abitanti, non risparmiando neppure la chiesa.
Queste tre "parole chiave" ci servono per concludere questo raccapricciante episodio; esattamente le stesse parole chiave ci servono però ad aprirne un altro, anche se di tutt'altra natura: la pia leggenda del Miracolo dell'Ostia avvenuto a Torino nel 1453, secondo la quale un reliquiario, rubato nella chiesa di Exilles dalla soldataglia di Ludovico di Savoia nell'episodio appena ricordato, fu caricato su di un mulo; quando questo mulo giunse a Torino, davanti alla chiesa di S. Silvestro, si inginocchiò e dal carico affastellato sulla schiena "miracolosamente" fuoriuscì il reliquiario che si librò nell'aria e rimase sospeso a mezza altezza. Il Vescovo Lodovico di Romagnano, prontamente avvisato del fenomeno, presto accorse sul luogo e inginocchiatosi cominciò a pregare: ecco quindi che dal reliquiario uscì l'Ostia consacrata la quale rimase sospesa in aria, splendente come il sole, mentre il reliquiario cadeva per terra. Dopo un po', in seguito alle preghiere del vescovo, l'Ostia ridiscese lentamente nel calice che questi teneva tra le mani e, con solenne processione, fu riportata nel Duomo per esservi conservata.
Qui di seguito si riporta una relazione che si pensava contemporanea del portentoso avvenimento (ma che, come vedremo in seguito, è in realtà di molto posteriore), collazionata dal notaio ducale torinese Tommaso Valle, tratta dal lavoro di Vincenzo Papa[2]; un'altra copia della medesima relazione si può ritrovare anche nel primo volume di Torino Nella Storia del Piemonte e D'Italia di G. Bragagnolo e E. Bettazzi[3]:
"dil solemne Miraculo della sacratissima ostia fatto In Turino Del Anno 1453 alli 6 di giugno In giobia. Di se apparse la santa ostia nella Inclita città de Turino, a, hore 20 nel ordine, e, modo seguente - Venendo certi homini di Cherio da certa guerra, o discordia quale era tra francesi Sauoyani, e Piemontesi per certi mercadanti cum loro Robbe retenuti, a, Issiglie, nel Dalphinato. La qual terra fu messa, a, sacco. Ecco che fu uno che tolse In la giesa, de, Issiglie Il Reliquiaro d argento oue era Il sacratissimo. Corpus Dni e lo Inuilupo in certe Balle, le quale gitto sopra uno mullo, e, venendo per sussa Avigliana e, Riuole. Giunse alla Cità di Turino quando il Mullo fu intrato In porta. Susina per gra, e, voluta de Dio no se fermo. Insino che Inanci la giesa di S.to Siluestro, e yui se gitto a, terra, e furono desligate le balle per voluntà de Dio senza adiuto humano, et usi fori Il vero corpus. Domini cum Il Reliquiario in laere, miracolosamente, cum grande splendore, et, Raggy che paria Il sole; vedendo questo uno Prete domandato Bartholomeo coccono. Presto ando dal R.mo sigr Ludouico Romagnano Epo di essa Citta di, Turino, Il qual R.mo Episcopo subito venete cum tuto il Clero del Domo canonici, e, Religiossi che si trouorono cum la Croce. Et quando esso R.mo epo fu gionto in esso luoco, caschando Il Reliquiario in terra rimasse Il corpus Dni In laere, cum grandi Rggay risplendenti, Il R.mo sigr epo, se Ingenochio In terra, cum tuti li Astanti, Et Adorando, la santa hostia come vero Dio nro Redemptore, fece portare uno calice e, pnte tuto Il Popolo la santa hostia dicesse, nel calice et cum granda Devotione, honore e Reverentia lo porto alla giesa Catedrale, acompagnato dalli Sig.ri Canonicy, e Religiosi cum molti Mag.ci et No.li cittadini fra li quali erano questi In testimonio, Cioe Petrino gorzano, Petrino daero, Gasparino miollero, Martino Bellanda, filippo valle, georgio gastaldo, Il spec.le Mr Michaele Burry gioanne flaconino Bonifatio Cassano, Bartolomeo Carrarino, il ne.le mr Antonio murrierio de Millano, E, molti altri Mag.ci Cittadini di essa Inclita Citta, Et in essa giessa cathedrale si fece uno bellissimo Tabernacolo. Il quale è stato In sino che fu fatto il Domo nouo. In commemora.ne, del qual miraculo fu ordinato, e, statuito che la octaua della festa dil gloriosiss.mo Corpus d.ni, ogni Anno si facesse, la processione gnalo, e si santificasse essa, octaua,: Et cossi dapoi se fatto e observato, In tutto il vescovato di Turino et essa Inclita Citta ha fato fare in esso proprio luoco uno tabernacolo et Iuy sij e Erecta deuota Compagnia In honore del Santiss.mo sacramento.
Colla.ta per me Thomaso valle Cittadino de Tur.no nod.ro Ducale Et per fede e, testimonio di la verita me sono sotosig.to
Valle nod.ro"
E qui cominciano i problemi in quanto questa versione del Valle, in volgare, assieme ad altre due conservate a Torino presso la Biblioteca Reale e presso l'Arciconfraternita dello Spirito Santo (versioni sostanzialmente simili, salvo qualche particolare diverso, ad esempio i nomi dei testimoni: Petrino gorzano diventa Petrino de gorzallo nella versione dell'Arciconfraternita, Martino Bellanda diventa Bellardi, Michaele Burry, diventa Muri, Gioanne Flaconcino diventa, Johe Farchignono ecc.) dovrebbe derivare da una versione in latino di tale Giovanni Gallesio che però... è andata persa[4]; Vincenzo Papa (op. cit.), a questo proposito, scrive che forse la versione del Valle deriva da una versione più antica di Giovanni Galesio... comunque sia andata, alcuni particolari di detta versione fanno dubitare dell'attendibilità del documento stesso; ad iniziare dalla data "Del Anno 1453 alli 6 di giugno In giobia", dal momento che il 6 giugno 1453 cadde di mercoledì e non di giobia (menda leggera, come la definirà A. Vaudagnotti nel suo Il Miracolo del Sacramento di Torino [5], forse un po' meno leggera se si pensa che si tratta di una autentica legale redatta da un notaio... e inoltre tra i testimoni citati dal Valle risulta anche un Filippo Valle che invece non compare nelle altre due versioni in volgare. Per spiegare questa incongruenza, il Rondolino (op. cit.) sostiene che il Valle volle dare lustro in qualche modo al proprio casato, sicuro di non poter essere smentito in quanto la versione originale (ammesso che sia mai esistita) in ogni caso non esisteva più e il Valle ignorava che invece ne esistevano due copie in volgare (quelle della Biblioteca Reale e dell'Arciconfraternita dello Spirito Santo).
Ma non è tutto, tra i testimoni citati vi è anche un prete, tale Bartolomeo Coccono che sarebbe andato ad avvisare il vescovo Lodovico Romagnano: secondo il Cognasso[6], nel 1453 Bartolomeo Coccono era ancora un ragazzino, sarà prete solo nel 1470... (altra "menda leggera"?) senza considerare che nello scritto di A. Vaudagnotti (op. cit., pag. 73) c'è scritto che "Bartolomeo Coccone poté vedere quanto stava accadendo dalla casa del padre Lodovico, le cui finestre guardavano le vicinanze della piazzetta ove avvenne il miracolo, se non proprio la piazzetta stessa"... ipotesi per lo meno discutibile in quanto presupporrebbe che è sufficiente essere nelle vicinanze di un luogo per vedere quello che sta accadendo in quel luogo stesso, mah!
Infine, a proposito di Giovanni Galesio (o Gallesio), nella copia in volgare della Biblioteca Reale sta scritto "Questo scritto benigno lettore s'è trovato in un libro di bergamina che ha scritto el padre de Giovanni Galesio, cittadino antico di Torino, il quale era in latino et se e messo in versi più ampiamente con altre historie antichissime, adesso se e messo qui in volgare", mentre nella copia dell'Arciconfraternita dello Spirito Santo, a proposito del libro di bergamina sta scritto "[...] il quale è scritto per mano del reverendo padre d. Giovanni Gallesio et cittadino antico di Torino". È probabile che il reverendo padre d. (don?) Giovanni Gallesio sia diventato "el padre di Giovanni Gallesio" dell'altra versione. In ogni caso, come fa notare il Rondolino, non poteva trattarsi del padre di Giovanni in quanto il documento sarebbe stato scritto in data posteriore alla sua morte e quindi necessariamente si trattava del figlio, che però non era affatto reverendo ma felicemente sposato...
Tutto ciò a proposito della versione in volgare del Valle ma, negli altri lavori che trattano del miracolo, esistono anche altre numerose incongruenze: ad esempio nel lavoro di C. Chiavazza[7] vengono citate, tra le fonti che descrivono il miracolo, i Commentarii di Enea Silvio Piccolomini (Papa Pio II), così come fa l'Ughelli[8]; ora, nei Commentarii del Piccolomini non compare alcuna descrizione del miracolo e il Rondolino, per giustificare questo fatto, avanza l'ipotesi che forse l'Ughelli aveva a disposizione dei frammenti dei Commentarii che poi sarebbero andati persi (la solita sfortuna), mentre il Cognasso (op. cit.) sostiene che l'Ughelli in realtà copiò il passo latino pubblicato dallo storico Pingon[9]. A proposito del Pingon si apre un altro doloroso capitolo di inesattezze, quando non falsi veri e propri, tanto che il Rondolino (op. cit.) così si esprime "Ch'egli [il Pingon] fosse corrivo e fors'anche falsario è cosa ormai chiarita da prova irrefragabile che altra volta abbiamo raccolto [...]", mentre il Chiavazza si limita ad qualificarlo come "disordinatissimo ed estroso", il Cognasso infine scrive "[...] Il Pingon spesso, quando non falsifica, commette errori, equivoci, incomprensioni". Non male per uno storico!
Oltretutto nel testo del Pingon che descrive il miracolo compare la data "Anno MCCCCLIII. Pridie nonas julii" (ovvero anno 1453, 6 Luglio) e non 6 Giugno come riportato negli altri documenti. E, sempre a proposito di date, si può citare il Documento Capitolare (conservato nell'archivio Arcivescovile di Torino) del 4 Ottobre 1456 (Reg. 18, fol. 2 recto), in cui si ribadisce l'intenzione di costruire un tabernacolo "ad honorem et reverenciam corporis domini nostri Ihesu Christi inventi et positi in hac ecclesia die XXI augusti MCCCCLIII" ovvero per onorare il corpo di Cristo trovato e deposto in questa chiesa (il Duomo) il 21 agosto 1453! Anche in questo caso, per spiegare l'incongruenza della data (6 Giugno o 21 Agosto) sia il Rondolino (op. cit.) che il Vaudagnotti (op. cit.) devono ricorrere a spiegazioni francamente artificiose che prevedono come il corpo di Cristo sarebbe stato effettivamente trovato ("inventi") e posto in Duomo il 6 giugno, ma che sarebbe stato "esposto" ("positi") all'adorazione del pubblico soltanto due mesi e mezzo dopo, il 21 agosto, mentre giustamente il Cognasso propende per la contemporaneità dei due fatti ("inventi et positi in hac ecclesia die XXI augusti") come riportato appunto nell'Atto Capitolare del 1456.
Prima di giungere alle conclusioni è ancora necessario far riferimento a un altro documento riferentesi al miracolo e cioè alla narratio che compare in un documento del comune di Torino nell'anno 1521. Come vedremo questo documento risulterà di estrema importanza per comprendere quello che deve essere accaduto tra il 1453 (anno del miracolo) e le varie narratio che comparvero nei tempi successivi.
Abbiamo già visto come esistano tre versioni in volgare, sicuramente posteriori al 1530 (Cognasso, op. cit.); queste tre versioni si rifanno allo stesso testo latino che il Pingon inserì nella sua Augusta Taurinorum del 1577. Che il Pingon avesse davanti a sé un testo coevo del miracolo (1453) è da escludersi: come infatti già rilevato dal Rondolino, se il Pingon lo avesse avuto sottomano, lo avrebbe sicuramente citato, mentre in margine egli annota "Ex istoria eorum temporis", "Ex notis Johannis Galesii" e "ex civitatis archivio et inquisitione testificationeque publica signis atque sigillis obsignata". Secondo il Cognasso questo "Ex notis Johannis Galesii" indicherebbe come fonte, la versione latina del Gallesio che come sappiamo è andata persa (ammesso che sia mai esistita...) mentre "Ex civitatis archivio" sarebbe la prova che il Pingon aveva davanti a sé la narratio fatta da Bernardino De Prato, vicario generale dell'Arcivescovo di Torino, nel 1521. I Decurioni della città di Torino avevano infatti deliberato la costruzione di una cappella presso la chiesa di S. Silvestro, in onore e commemorazione del corpo di Cristo "miracolosamente ritrovato". Portarono pertanto alla curia vescovile la domanda per ottenere la licenza e Mons. Bernardino De Prato la concesse, accompagnandola con una breve narrazione del miracolo. Come riportato dal Vaudagnotti, l'Atto autentico di questo decreto, datato 30 maggio 1521, assieme alla narratio, si trova nell'Archivio Arcivescovile di Torino... ed ecco dove compare per la prima volta il racconto dell'Ostia che esce miracolosamente dalla balla, si libra nell'aria e quindi ridiscende nelle mani del Vescovo "[...] ad cuius manus omnibus videntibus, dum saliendo, seu evolando procederet, recubuit".
Si tratta pertanto di un documento tutt'altro che coevo del miracolo, essendo stato scritto ben 68 anni dopo e non da un testimone oculare ma dal vicario del vescovo che doveva in qualche modo giustificare la concessione di una licenza per la costruzione di una cappella. In conclusione, ci sono tre atti capitolari più o meno coevi del miracolo (rispettivamente dell'11 ottobre 1454, del 25 aprile 1455 e del 4 settembre 1456) ma in essi non si fa cenno alcuno dell'ostia che si leva nell'aria: nel primo si parla di una miracolosa guarigione di tale Tommaso di Solerio che, affetto da gotta (podagra) e venuto a conoscenza del miracolo dell'ostia miracolosamente "uscita" nell'anno precedente, fa voto di portare un cero e di far dire una messa... e istantaneamente guarisce, negli altri due si parla dell'erezione di un tabernacolo per commemorare l'evento ma, ripeto, senza nessuna descrizione dell'evento stesso. Ci sono inoltre i tre racconti in volgare, di cui si è accennato in precedenza, derivati da una copia di cui però non si conosce l'originale andato perso, ammesso che sia mai esistito, e anche la copia autenticata dal Valle, come giustamente fa rilevare il Cognasso (op. cit.) è un'autentica senza data, di un documento non si sa bene da chi redatto né quando, cioè in pratica "è un'autentica che garantisce nulla", per usare le sue parole.
Credo che a questo punto ci sia sufficiente materiale per giustificare quanto avvenuto nel 1977.
In tale anno infatti venne nominata dall'allora cardinale Pellegrino una apposita Commissione che doveva far luce sulla documentazione relativa al miracolo. La Commissione era formata dal padre Achille Erba, dal canonico Oreste Favaro, dalla dr.ssa Clara Gennaro, da Monsignor Michele Grosso e da don Renzo Savarino. La Commissione dopo aver esaminato gli Atti Capitolari dell'11 ottobre 1454, del 25 Aprile 1455 e del 4 settembre 1456 (tutti conservati presso l'Archivio Arcivescovile di Torino e che costituiscono le fonti più vicine al fatto) e dopo aver esaminato i tre racconti in volgare citati nella prima parte di questa nota nonché numerosi altri lavori ancora (tra cui quello "scettico"del Cognasso), così ebbe a scrivere[10]:
"Concludendo, riteniamo che la narrazione volgata del fatto non possa sostenere la prova di una verifica storica, ma il fatto di un ritrovamento dell'Eucaristia, giudicato dalla coscienza dei contemporanei miracoloso e degno di culto non possa negarsi"
Di conseguenza propose quattro possibili soluzioni per conservare un ricordo dell'avvenimento che potrebbero essere così riassunte:
La seconda e la terza ipotesi si riferiscono al fatto di un ritrovamento affermato nei documenti immediatamente posteriori (il che è ammesso anche da studiosi contrari alla storicità del miracolo narrato nel racconto tradizionale).
La quarta ipotesi si riferisce al culto derivato dal ritrovamento e concretatosi prima nel tabernacolo del Duomo vecchio (fino al 1492), poi nell'Oratorio comunale presso la chiesa di S. Silvestro (1528), infine nella chiesa del Corpus Domini (1609)".
Il documento continua poi con "I cinque membri della Commissione hanno optato all'unanimità per la Memoria inventionis Corporis Christi, a condizione che nel Proprio diocesano sia inclusa una "notizia storica" del seguente tenore:
Nell'anno 1453 furono ritrovate a Torino delle specie eucaristiche rubate. Tale ritrovamento fu ritenuto dai contemporanei miracoloso e degno di un culto speciale, che si concretò in un tabernacolo nel Duomo vecchio di Torino, successivamente in un Oratorio comunale presso la chiesa di S.Silvestro e infine nella chiesa del Corpus Domini (1609)."
E così prosegue: "La Commissione ritiene necessaria questa nota per specificare con precisione il senso esatto che ha inteso attribuire al termine "Inventio" (ritrovamento).
Tutta la Commissione ha ritenuto all'unanimità che il ricordo vada in qualche modo conservato perché, anche se il tradizionale racconto del miracolo non regge la prova di una verifica storica, c'è tuttavia un fattore, essenziale per i credenti, che può essere recuperato: lo speciale culto con cui i nostri padri hanno professato esteriormente la fede della Chiesa nella presenza eucaristica di Gesù tra gli uomini" e così conclude:
"Questo recupero, che si potrebbe favorire con l'introduzione nel Calendario diocesano di una ricorrenza scelta fra le ipotesi sopra formulate, sembra quanto mai opportuno sia come punto fermo nella fase di secolarizzazione che stiamo attraversando, sia come stimolo ad una più larga apertura alle sollecitudini per le ingiustizie sociali del nostro tempo".
A mio avviso una soluzione del genere è assolutamente condivisibile, oltreché "equilibrata", ossia diamo atto agli scettici che non esistono prove documentarie sicure che dimostrano la veridicità dei racconti e tuttavia lasciamo ai credenti la possibilità di testimoniare la loro fede anche attraverso il ricordo di un fatto ritenuto dai contemporanei degno di culto.
Giuseppe Ardito Già professore di Antropologia all'Università di Torino e Firenze
Nonostante la proposta della Commissione fosse ragionevole, pochi anni dopo verrà aspramente criticata da Mons. Attilio Vaudagnotti (1982 op. cit.) il quale sosterrà che "i Commissari e le Autorità Religiose dell'epoca (credo si riferisse al Card. Pellegrino, NdA) hanno pagato, forse loro malgrado, un tributo all'ipercritica iconoclastica, imperante nell'ultimo trentennio"
Ma per dimostrare la veridicità del racconto del miracolo deve ricorrere ad affermazioni come quella riportata a pag. 25: "[...] Se l'Ostia uscì miracolosamente, è verosimile che si sia levata in alto" (verosimile? NdA) e se poi il Vescovo e i canonici la portarono in cattedrale, certamente quell'Ostia era stata recuperata, con discesa o nelle mani del Vescovo o nelle mani degli adoratori" (ma è proprio questa discesa conseguente alla sua levata che non è stato possibile documentare con certezza!). E allora? Allora la storia continua...
In detto lavoro i tre autori presentano un dettagliato studio su una serie di resti scheletrici umani venuti alla luce durante i lavori di ristrutturazione della pavimentazione della chiesa parrocchiale di Exilles e successivamente trasferiti all'Istituto di Anatomia Umana dell'Università di Torino per poter essere studiati e successivamente utilizzati a scopo didattico.
Questi resti risultano molto interessanti in quanto presentano numerose lesioni localizzate al cranio e alle ossa lunghe dell'arto superiore; le caratteristiche morfologiche di tali lesioni consentono di classificarle come prodotte da arma bianca e da corpi contundenti (presenza di fratture localizzate sul cranio, con affondamento più o meno marcato del tavolato esterno e talora coinvolgimento del tavolato interno, prodotte molto probabilmente da un elemento traumatizzante a superficie limitata come una mazza ferrata o ferite prodotte da punte coniche o cilindro-coniche cioè da frecce). Analoghe lesioni sono presenti sull'omero e sull'ulna, regioni anatomiche frequentemente offese quando chi è aggredito protende gli arti superiori flessi nell'estremo tentativo di proteggersi il volto e il tronco. Sempre a proposito delle lesioni gli autori aggiungono che, mentre alcune (ferite da punta) possono essere state inferte con strumento da lancio e quindi a distanza, altre (lesioni da corpo contundente) sono indubbiamente da riferire a traumatismi subiti mentre aggredito e aggressore si trovavano vicini e poiché in alcuni casi coesistono i due tipi di lesioni, questo particolare suggerirebbe l'ipotesi di un'azione lesiva in due tempi: dapprima a distanza (arma da lancio) quindi con aggressore vicino alla vittima già ferita (colpo di mazza). Altro dato di rilevante importanza è il fatto che i resti scheletrici appartengono a soggetti di diversa età e sesso; questo rende inverosimile che le lesioni siano state patite esclusivamente in battaglia, facendo supporre che siano il risultato di un azione bellica nei confronti della popolazione civile, ovvero un vero e proprio massacro.
Frammenti di ceramica rinvenuti unitamente alle ossa consentono una approssimativa datazione del deposito intorno alla metà del XV secolo e rendono verosimile l'ipotesi che i resti scheletrici in questione possano testimoniare quanto avvenuto nel 1453, allorché il possesso di Exilles, allora in mano ai soldati di re Carlo VII di Francia, venne fortemente contrastato dalle truppe di Ludovico di Savoia le quali, essendo riuscite dopo aspre battaglie ad espugnare la località, diedero sacco al paese infierendo sugli abitanti, non risparmiando neppure la chiesa.
Exilles-1453-Massacro
Queste tre "parole chiave" ci servono per concludere questo raccapricciante episodio; esattamente le stesse parole chiave ci servono però ad aprirne un altro, anche se di tutt'altra natura: la pia leggenda del Miracolo dell'Ostia avvenuto a Torino nel 1453, secondo la quale un reliquiario, rubato nella chiesa di Exilles dalla soldataglia di Ludovico di Savoia nell'episodio appena ricordato, fu caricato su di un mulo; quando questo mulo giunse a Torino, davanti alla chiesa di S. Silvestro, si inginocchiò e dal carico affastellato sulla schiena "miracolosamente" fuoriuscì il reliquiario che si librò nell'aria e rimase sospeso a mezza altezza. Il Vescovo Lodovico di Romagnano, prontamente avvisato del fenomeno, presto accorse sul luogo e inginocchiatosi cominciò a pregare: ecco quindi che dal reliquiario uscì l'Ostia consacrata la quale rimase sospesa in aria, splendente come il sole, mentre il reliquiario cadeva per terra. Dopo un po', in seguito alle preghiere del vescovo, l'Ostia ridiscese lentamente nel calice che questi teneva tra le mani e, con solenne processione, fu riportata nel Duomo per esservi conservata.
Qui di seguito si riporta una relazione che si pensava contemporanea del portentoso avvenimento (ma che, come vedremo in seguito, è in realtà di molto posteriore), collazionata dal notaio ducale torinese Tommaso Valle, tratta dal lavoro di Vincenzo Papa[2]; un'altra copia della medesima relazione si può ritrovare anche nel primo volume di Torino Nella Storia del Piemonte e D'Italia di G. Bragagnolo e E. Bettazzi[3]:
"dil solemne Miraculo della sacratissima ostia fatto In Turino Del Anno 1453 alli 6 di giugno In giobia. Di se apparse la santa ostia nella Inclita città de Turino, a, hore 20 nel ordine, e, modo seguente - Venendo certi homini di Cherio da certa guerra, o discordia quale era tra francesi Sauoyani, e Piemontesi per certi mercadanti cum loro Robbe retenuti, a, Issiglie, nel Dalphinato. La qual terra fu messa, a, sacco. Ecco che fu uno che tolse In la giesa, de, Issiglie Il Reliquiaro d argento oue era Il sacratissimo. Corpus Dni e lo Inuilupo in certe Balle, le quale gitto sopra uno mullo, e, venendo per sussa Avigliana e, Riuole. Giunse alla Cità di Turino quando il Mullo fu intrato In porta. Susina per gra, e, voluta de Dio no se fermo. Insino che Inanci la giesa di S.to Siluestro, e yui se gitto a, terra, e furono desligate le balle per voluntà de Dio senza adiuto humano, et usi fori Il vero corpus. Domini cum Il Reliquiario in laere, miracolosamente, cum grande splendore, et, Raggy che paria Il sole; vedendo questo uno Prete domandato Bartholomeo coccono. Presto ando dal R.mo sigr Ludouico Romagnano Epo di essa Citta di, Turino, Il qual R.mo Episcopo subito venete cum tuto il Clero del Domo canonici, e, Religiossi che si trouorono cum la Croce. Et quando esso R.mo epo fu gionto in esso luoco, caschando Il Reliquiario in terra rimasse Il corpus Dni In laere, cum grandi Rggay risplendenti, Il R.mo sigr epo, se Ingenochio In terra, cum tuti li Astanti, Et Adorando, la santa hostia come vero Dio nro Redemptore, fece portare uno calice e, pnte tuto Il Popolo la santa hostia dicesse, nel calice et cum granda Devotione, honore e Reverentia lo porto alla giesa Catedrale, acompagnato dalli Sig.ri Canonicy, e Religiosi cum molti Mag.ci et No.li cittadini fra li quali erano questi In testimonio, Cioe Petrino gorzano, Petrino daero, Gasparino miollero, Martino Bellanda, filippo valle, georgio gastaldo, Il spec.le Mr Michaele Burry gioanne flaconino Bonifatio Cassano, Bartolomeo Carrarino, il ne.le mr Antonio murrierio de Millano, E, molti altri Mag.ci Cittadini di essa Inclita Citta, Et in essa giessa cathedrale si fece uno bellissimo Tabernacolo. Il quale è stato In sino che fu fatto il Domo nouo. In commemora.ne, del qual miraculo fu ordinato, e, statuito che la octaua della festa dil gloriosiss.mo Corpus d.ni, ogni Anno si facesse, la processione gnalo, e si santificasse essa, octaua,: Et cossi dapoi se fatto e observato, In tutto il vescovato di Turino et essa Inclita Citta ha fato fare in esso proprio luoco uno tabernacolo et Iuy sij e Erecta deuota Compagnia In honore del Santiss.mo sacramento.
Colla.ta per me Thomaso valle Cittadino de Tur.no nod.ro Ducale Et per fede e, testimonio di la verita me sono sotosig.to
Valle nod.ro"
E qui cominciano i problemi in quanto questa versione del Valle, in volgare, assieme ad altre due conservate a Torino presso la Biblioteca Reale e presso l'Arciconfraternita dello Spirito Santo (versioni sostanzialmente simili, salvo qualche particolare diverso, ad esempio i nomi dei testimoni: Petrino gorzano diventa Petrino de gorzallo nella versione dell'Arciconfraternita, Martino Bellanda diventa Bellardi, Michaele Burry, diventa Muri, Gioanne Flaconcino diventa, Johe Farchignono ecc.) dovrebbe derivare da una versione in latino di tale Giovanni Gallesio che però... è andata persa[4]; Vincenzo Papa (op. cit.), a questo proposito, scrive che forse la versione del Valle deriva da una versione più antica di Giovanni Galesio... comunque sia andata, alcuni particolari di detta versione fanno dubitare dell'attendibilità del documento stesso; ad iniziare dalla data "Del Anno 1453 alli 6 di giugno In giobia", dal momento che il 6 giugno 1453 cadde di mercoledì e non di giobia (menda leggera, come la definirà A. Vaudagnotti nel suo Il Miracolo del Sacramento di Torino [5], forse un po' meno leggera se si pensa che si tratta di una autentica legale redatta da un notaio... e inoltre tra i testimoni citati dal Valle risulta anche un Filippo Valle che invece non compare nelle altre due versioni in volgare. Per spiegare questa incongruenza, il Rondolino (op. cit.) sostiene che il Valle volle dare lustro in qualche modo al proprio casato, sicuro di non poter essere smentito in quanto la versione originale (ammesso che sia mai esistita) in ogni caso non esisteva più e il Valle ignorava che invece ne esistevano due copie in volgare (quelle della Biblioteca Reale e dell'Arciconfraternita dello Spirito Santo).
Ma non è tutto, tra i testimoni citati vi è anche un prete, tale Bartolomeo Coccono che sarebbe andato ad avvisare il vescovo Lodovico Romagnano: secondo il Cognasso[6], nel 1453 Bartolomeo Coccono era ancora un ragazzino, sarà prete solo nel 1470... (altra "menda leggera"?) senza considerare che nello scritto di A. Vaudagnotti (op. cit., pag. 73) c'è scritto che "Bartolomeo Coccone poté vedere quanto stava accadendo dalla casa del padre Lodovico, le cui finestre guardavano le vicinanze della piazzetta ove avvenne il miracolo, se non proprio la piazzetta stessa"... ipotesi per lo meno discutibile in quanto presupporrebbe che è sufficiente essere nelle vicinanze di un luogo per vedere quello che sta accadendo in quel luogo stesso, mah!
Infine, a proposito di Giovanni Galesio (o Gallesio), nella copia in volgare della Biblioteca Reale sta scritto "Questo scritto benigno lettore s'è trovato in un libro di bergamina che ha scritto el padre de Giovanni Galesio, cittadino antico di Torino, il quale era in latino et se e messo in versi più ampiamente con altre historie antichissime, adesso se e messo qui in volgare", mentre nella copia dell'Arciconfraternita dello Spirito Santo, a proposito del libro di bergamina sta scritto "[...] il quale è scritto per mano del reverendo padre d. Giovanni Gallesio et cittadino antico di Torino". È probabile che il reverendo padre d. (don?) Giovanni Gallesio sia diventato "el padre di Giovanni Gallesio" dell'altra versione. In ogni caso, come fa notare il Rondolino, non poteva trattarsi del padre di Giovanni in quanto il documento sarebbe stato scritto in data posteriore alla sua morte e quindi necessariamente si trattava del figlio, che però non era affatto reverendo ma felicemente sposato...
Tutto ciò a proposito della versione in volgare del Valle ma, negli altri lavori che trattano del miracolo, esistono anche altre numerose incongruenze: ad esempio nel lavoro di C. Chiavazza[7] vengono citate, tra le fonti che descrivono il miracolo, i Commentarii di Enea Silvio Piccolomini (Papa Pio II), così come fa l'Ughelli[8]; ora, nei Commentarii del Piccolomini non compare alcuna descrizione del miracolo e il Rondolino, per giustificare questo fatto, avanza l'ipotesi che forse l'Ughelli aveva a disposizione dei frammenti dei Commentarii che poi sarebbero andati persi (la solita sfortuna), mentre il Cognasso (op. cit.) sostiene che l'Ughelli in realtà copiò il passo latino pubblicato dallo storico Pingon[9]. A proposito del Pingon si apre un altro doloroso capitolo di inesattezze, quando non falsi veri e propri, tanto che il Rondolino (op. cit.) così si esprime "Ch'egli [il Pingon] fosse corrivo e fors'anche falsario è cosa ormai chiarita da prova irrefragabile che altra volta abbiamo raccolto [...]", mentre il Chiavazza si limita ad qualificarlo come "disordinatissimo ed estroso", il Cognasso infine scrive "[...] Il Pingon spesso, quando non falsifica, commette errori, equivoci, incomprensioni". Non male per uno storico!
Oltretutto nel testo del Pingon che descrive il miracolo compare la data "Anno MCCCCLIII. Pridie nonas julii" (ovvero anno 1453, 6 Luglio) e non 6 Giugno come riportato negli altri documenti. E, sempre a proposito di date, si può citare il Documento Capitolare (conservato nell'archivio Arcivescovile di Torino) del 4 Ottobre 1456 (Reg. 18, fol. 2 recto), in cui si ribadisce l'intenzione di costruire un tabernacolo "ad honorem et reverenciam corporis domini nostri Ihesu Christi inventi et positi in hac ecclesia die XXI augusti MCCCCLIII" ovvero per onorare il corpo di Cristo trovato e deposto in questa chiesa (il Duomo) il 21 agosto 1453! Anche in questo caso, per spiegare l'incongruenza della data (6 Giugno o 21 Agosto) sia il Rondolino (op. cit.) che il Vaudagnotti (op. cit.) devono ricorrere a spiegazioni francamente artificiose che prevedono come il corpo di Cristo sarebbe stato effettivamente trovato ("inventi") e posto in Duomo il 6 giugno, ma che sarebbe stato "esposto" ("positi") all'adorazione del pubblico soltanto due mesi e mezzo dopo, il 21 agosto, mentre giustamente il Cognasso propende per la contemporaneità dei due fatti ("inventi et positi in hac ecclesia die XXI augusti") come riportato appunto nell'Atto Capitolare del 1456.
Prima di giungere alle conclusioni è ancora necessario far riferimento a un altro documento riferentesi al miracolo e cioè alla narratio che compare in un documento del comune di Torino nell'anno 1521. Come vedremo questo documento risulterà di estrema importanza per comprendere quello che deve essere accaduto tra il 1453 (anno del miracolo) e le varie narratio che comparvero nei tempi successivi.
Abbiamo già visto come esistano tre versioni in volgare, sicuramente posteriori al 1530 (Cognasso, op. cit.); queste tre versioni si rifanno allo stesso testo latino che il Pingon inserì nella sua Augusta Taurinorum del 1577. Che il Pingon avesse davanti a sé un testo coevo del miracolo (1453) è da escludersi: come infatti già rilevato dal Rondolino, se il Pingon lo avesse avuto sottomano, lo avrebbe sicuramente citato, mentre in margine egli annota "Ex istoria eorum temporis", "Ex notis Johannis Galesii" e "ex civitatis archivio et inquisitione testificationeque publica signis atque sigillis obsignata". Secondo il Cognasso questo "Ex notis Johannis Galesii" indicherebbe come fonte, la versione latina del Gallesio che come sappiamo è andata persa (ammesso che sia mai esistita...) mentre "Ex civitatis archivio" sarebbe la prova che il Pingon aveva davanti a sé la narratio fatta da Bernardino De Prato, vicario generale dell'Arcivescovo di Torino, nel 1521. I Decurioni della città di Torino avevano infatti deliberato la costruzione di una cappella presso la chiesa di S. Silvestro, in onore e commemorazione del corpo di Cristo "miracolosamente ritrovato". Portarono pertanto alla curia vescovile la domanda per ottenere la licenza e Mons. Bernardino De Prato la concesse, accompagnandola con una breve narrazione del miracolo. Come riportato dal Vaudagnotti, l'Atto autentico di questo decreto, datato 30 maggio 1521, assieme alla narratio, si trova nell'Archivio Arcivescovile di Torino... ed ecco dove compare per la prima volta il racconto dell'Ostia che esce miracolosamente dalla balla, si libra nell'aria e quindi ridiscende nelle mani del Vescovo "[...] ad cuius manus omnibus videntibus, dum saliendo, seu evolando procederet, recubuit".
Si tratta pertanto di un documento tutt'altro che coevo del miracolo, essendo stato scritto ben 68 anni dopo e non da un testimone oculare ma dal vicario del vescovo che doveva in qualche modo giustificare la concessione di una licenza per la costruzione di una cappella. In conclusione, ci sono tre atti capitolari più o meno coevi del miracolo (rispettivamente dell'11 ottobre 1454, del 25 aprile 1455 e del 4 settembre 1456) ma in essi non si fa cenno alcuno dell'ostia che si leva nell'aria: nel primo si parla di una miracolosa guarigione di tale Tommaso di Solerio che, affetto da gotta (podagra) e venuto a conoscenza del miracolo dell'ostia miracolosamente "uscita" nell'anno precedente, fa voto di portare un cero e di far dire una messa... e istantaneamente guarisce, negli altri due si parla dell'erezione di un tabernacolo per commemorare l'evento ma, ripeto, senza nessuna descrizione dell'evento stesso. Ci sono inoltre i tre racconti in volgare, di cui si è accennato in precedenza, derivati da una copia di cui però non si conosce l'originale andato perso, ammesso che sia mai esistito, e anche la copia autenticata dal Valle, come giustamente fa rilevare il Cognasso (op. cit.) è un'autentica senza data, di un documento non si sa bene da chi redatto né quando, cioè in pratica "è un'autentica che garantisce nulla", per usare le sue parole.
Conclusioni
Credo che a questo punto ci sia sufficiente materiale per giustificare quanto avvenuto nel 1977.
In tale anno infatti venne nominata dall'allora cardinale Pellegrino una apposita Commissione che doveva far luce sulla documentazione relativa al miracolo. La Commissione era formata dal padre Achille Erba, dal canonico Oreste Favaro, dalla dr.ssa Clara Gennaro, da Monsignor Michele Grosso e da don Renzo Savarino. La Commissione dopo aver esaminato gli Atti Capitolari dell'11 ottobre 1454, del 25 Aprile 1455 e del 4 settembre 1456 (tutti conservati presso l'Archivio Arcivescovile di Torino e che costituiscono le fonti più vicine al fatto) e dopo aver esaminato i tre racconti in volgare citati nella prima parte di questa nota nonché numerosi altri lavori ancora (tra cui quello "scettico"del Cognasso), così ebbe a scrivere[10]:
"Concludendo, riteniamo che la narrazione volgata del fatto non possa sostenere la prova di una verifica storica, ma il fatto di un ritrovamento dell'Eucaristia, giudicato dalla coscienza dei contemporanei miracoloso e degno di culto non possa negarsi"
Di conseguenza propose quattro possibili soluzioni per conservare un ricordo dell'avvenimento che potrebbero essere così riassunte:
- Festum miraculi Corporis Christi (Festa del miracolo del SS. Sacramento)
- Festum inventionis Corporis Christi (Festa del ritrovamento del SS. Sacramento)
- Memoria inventionis Corporis Christi (memoria del ritrovamento del SS. Sacramento)
- Dedicatio ecclesiae Corporis Domini (Anniversario della dedicazione della chiesa del Corpus Domini).
La seconda e la terza ipotesi si riferiscono al fatto di un ritrovamento affermato nei documenti immediatamente posteriori (il che è ammesso anche da studiosi contrari alla storicità del miracolo narrato nel racconto tradizionale).
La quarta ipotesi si riferisce al culto derivato dal ritrovamento e concretatosi prima nel tabernacolo del Duomo vecchio (fino al 1492), poi nell'Oratorio comunale presso la chiesa di S. Silvestro (1528), infine nella chiesa del Corpus Domini (1609)".
Il documento continua poi con "I cinque membri della Commissione hanno optato all'unanimità per la Memoria inventionis Corporis Christi, a condizione che nel Proprio diocesano sia inclusa una "notizia storica" del seguente tenore:
Nell'anno 1453 furono ritrovate a Torino delle specie eucaristiche rubate. Tale ritrovamento fu ritenuto dai contemporanei miracoloso e degno di un culto speciale, che si concretò in un tabernacolo nel Duomo vecchio di Torino, successivamente in un Oratorio comunale presso la chiesa di S.Silvestro e infine nella chiesa del Corpus Domini (1609)."
E così prosegue: "La Commissione ritiene necessaria questa nota per specificare con precisione il senso esatto che ha inteso attribuire al termine "Inventio" (ritrovamento).
Tutta la Commissione ha ritenuto all'unanimità che il ricordo vada in qualche modo conservato perché, anche se il tradizionale racconto del miracolo non regge la prova di una verifica storica, c'è tuttavia un fattore, essenziale per i credenti, che può essere recuperato: lo speciale culto con cui i nostri padri hanno professato esteriormente la fede della Chiesa nella presenza eucaristica di Gesù tra gli uomini" e così conclude:
"Questo recupero, che si potrebbe favorire con l'introduzione nel Calendario diocesano di una ricorrenza scelta fra le ipotesi sopra formulate, sembra quanto mai opportuno sia come punto fermo nella fase di secolarizzazione che stiamo attraversando, sia come stimolo ad una più larga apertura alle sollecitudini per le ingiustizie sociali del nostro tempo".
A mio avviso una soluzione del genere è assolutamente condivisibile, oltreché "equilibrata", ossia diamo atto agli scettici che non esistono prove documentarie sicure che dimostrano la veridicità dei racconti e tuttavia lasciamo ai credenti la possibilità di testimoniare la loro fede anche attraverso il ricordo di un fatto ritenuto dai contemporanei degno di culto.
Giuseppe Ardito Già professore di Antropologia all'Università di Torino e Firenze
Note
Nonostante la proposta della Commissione fosse ragionevole, pochi anni dopo verrà aspramente criticata da Mons. Attilio Vaudagnotti (1982 op. cit.) il quale sosterrà che "i Commissari e le Autorità Religiose dell'epoca (credo si riferisse al Card. Pellegrino, NdA) hanno pagato, forse loro malgrado, un tributo all'ipercritica iconoclastica, imperante nell'ultimo trentennio"
Ma per dimostrare la veridicità del racconto del miracolo deve ricorrere ad affermazioni come quella riportata a pag. 25: "[...] Se l'Ostia uscì miracolosamente, è verosimile che si sia levata in alto" (verosimile? NdA) e se poi il Vescovo e i canonici la portarono in cattedrale, certamente quell'Ostia era stata recuperata, con discesa o nelle mani del Vescovo o nelle mani degli adoratori" (ma è proprio questa discesa conseguente alla sua levata che non è stato possibile documentare con certezza!). E allora? Allora la storia continua...
Bibliografia
1) C. Torre, A. Doro e G.Giacobini, Exilles 1453: dati medico legali su di un massacro, Rivista di Studi Liguri Anno L,1984 n.1-4.
2) Vincenzo Papa, Saggio di uno studio critico sul miracolo del Sacramento avvenuto in Torino l'anno 1453, Torino, Bona 1899.
3) G. Bragagnolo e E. Bettazzi, Torino Nella Storia del Piemonte e D'Italia, Torino, Utet, 1915.
4) Ferdinando Rondolino, Il Miracolo del sacramento - Studio critico di Storia e di Arte, Torino, Tipografia Subalpina, 1894, pag.21).
5) A. Vaudagnotti, Il Miracolo del Sacramento di Torino,Pinerolo, Studio Arti Grafiche, 1982.
6) F. Cognasso, La tradizione storica del miracolo di Torino del 1453, Torino, Bollettino Storico Bibliografico Subalpino, Anno LI, 1953.
7) C. Chiavazza, Il miracolo di Torino, pubblicato sulla rivista Torino, n. 6, 1953.
8) F. Ughelli, Italia Sacra, Venetiis, Coleti, 1719.
9) Filiberto di Pingon, Augusta Taurinorum, Torino, Bevilacqua, 1577.
10) Rivista Diocesana Torinese Anno LIV, Gennaio 1977.