Nel 1950 moriva Giovanni Paneroni, di Rudiano (BS), astronomo dilettante le cui stranissime teorie lo avevano reso famoso negli anni tra le due guerre.
La sua storia «astronomica» cominciò nel 1895 quando Giovanni, già sposato e padre, decise di mettersi a fare i gelati, che a Rudiano e dintorni nessuno ancora conosceva. Tutte le sere partiva col carretto per recarsi a Brescia, dove si procurava il ghiaccio. Stava in giro tutta la notte e osservava la Luna; a scuola gli avevano detto che la Terra insieme alla Luna gira attorno al Sole, ma lui si rese ben presto conto del contrario: la Luna, sì, girava, ma la Terra se ne stava ben ferma e immobile.
Senza saperlo Paneroni era un presocratico: andando in giro per i paesi col carrettino da gelataio aveva la possibilità di esercitare la propria missione su scolari vergini, per così dire, di spirito, non ancora vittime delle truffe di Galileo e di Copernico. In questi anni nacque la frase divenuta poi proverbiale: «La Terra non gira, o bestie!» che Paneroni diceva ai ragazzini che incontrando interrogava. «Il mestiere di vendita di dolci e gelati», lasciò scritto, «è bisognoso di posteggiare all’ombra. Nei mesi di giugno il continuo circolare dell’ombra fu la causa che dovetti capire tutto il funzionamento». Secondo lui la Terra è piana, ferma, e la sua superficie infinita; intorno alla Terra il Sole (che non sorge e non tramonta mai) descrive una spirale continua e concentrica al polo nord, che si trova al centro della Terra. In questa cosmogonia il Sole è una palla d’argento vivo, larga due metri, pesante quattordici chili, il cui valore (anteguerra) è di cento miliardi. La Luna invece è più piccola, e siccome è anche più pigra del Sole nel giro di ventiquattr’ore viene raggiunta e superata, e così sono spiegate le fasi lunari e le eclissi.
Paneroni fece stampare delle enormi carte geografiche ricoperte di frecce, di indicazioni, di simboli figurati di sua invenzione; i figli gli acquistarono, per trecentocinquanta lire, una lanterna magica e con quella sotto il braccio, una quarantina di lastre e qualche migliaio di manifesti l’«astronomo» partì alla conquista di Milano.
Era la Milano del primo dopoguerra, quella del futurismo di Marinetti. L’«astronomo» cominciò silenzioso a imbrattare i muri delle università e dei licei. Scriveva: «Paneroni da solo fermò la Terra, indi spedì Galileo al suo destino. La Terra non gira, o bestie!». Poi cominciò a farsi vedere all’uscita del liceo Berchet, del Manzoni e del Beccaria, metteva i suoi fogli sotto un sasso e cominciava a predicare: «Salir negli strati, calar nei profondi – studiate Paneroni, divinator dei mondi!»
La marcia su Roma e il cambiamento di regime gli fecero balenare grandi speranze, tuttavia fin da principio volle precisare la sua posizione, scrivendo sui muri: «L’era fascista senza quella di Paneroni fa schifo». Ma ovviamente la frase non piacque e venne minacciato, quindi riparò per qualche tempo a Rudiano.
Tra il 1925 e il 1928 Paneroni fu, almeno nell’Italia settentrionale, un uomo celebre; poi, come tutte le mode, anche la sua andò scomparendo. Ma lui non demordeva e disse alla moglie: «Ho conquistato la piazza, attaccherò la scienza». E da allora non tralasciò un congresso. A Genova, dove era giunto a piedi per risparmiare, riuscì non si sa come a introdursi nella sala dove si teneva un simposio internazionale; domandò la parola e propose, di fronte allo sbigottimento generale, un sistema per misurare la distanza della Terra dal Sole: «Si prendono dei tubi, vi si infilano i raggi e poi non resterà che misurare la lunghezza dei tubi». Fu scacciato in malo modo e da quel giorno tra gli astronomi nacque un termine nuovo che si ritrova anche in alcuni testi: C’est une Paneronnade.
Prima di morire fece in tempo ad assistere alla nascita della teoria atomica che, comunque non lo colse di sorpresa. Per lui gli elettroni e i protoni non erano che invenzioni dei fisici: «Si tratta di polvere che si ferma sui mobili delle case e che le donne trascurano di spolverare».
Nel suo testamento lasciò alla moglie le sue carte, dicendole che un giorno l’avrebbero fatta ricca; agli astronomi «che tanto male mi fecero ingiustamente», il suo perdono.
La sua storia «astronomica» cominciò nel 1895 quando Giovanni, già sposato e padre, decise di mettersi a fare i gelati, che a Rudiano e dintorni nessuno ancora conosceva. Tutte le sere partiva col carretto per recarsi a Brescia, dove si procurava il ghiaccio. Stava in giro tutta la notte e osservava la Luna; a scuola gli avevano detto che la Terra insieme alla Luna gira attorno al Sole, ma lui si rese ben presto conto del contrario: la Luna, sì, girava, ma la Terra se ne stava ben ferma e immobile.
Senza saperlo Paneroni era un presocratico: andando in giro per i paesi col carrettino da gelataio aveva la possibilità di esercitare la propria missione su scolari vergini, per così dire, di spirito, non ancora vittime delle truffe di Galileo e di Copernico. In questi anni nacque la frase divenuta poi proverbiale: «La Terra non gira, o bestie!» che Paneroni diceva ai ragazzini che incontrando interrogava. «Il mestiere di vendita di dolci e gelati», lasciò scritto, «è bisognoso di posteggiare all’ombra. Nei mesi di giugno il continuo circolare dell’ombra fu la causa che dovetti capire tutto il funzionamento». Secondo lui la Terra è piana, ferma, e la sua superficie infinita; intorno alla Terra il Sole (che non sorge e non tramonta mai) descrive una spirale continua e concentrica al polo nord, che si trova al centro della Terra. In questa cosmogonia il Sole è una palla d’argento vivo, larga due metri, pesante quattordici chili, il cui valore (anteguerra) è di cento miliardi. La Luna invece è più piccola, e siccome è anche più pigra del Sole nel giro di ventiquattr’ore viene raggiunta e superata, e così sono spiegate le fasi lunari e le eclissi.
Paneroni fece stampare delle enormi carte geografiche ricoperte di frecce, di indicazioni, di simboli figurati di sua invenzione; i figli gli acquistarono, per trecentocinquanta lire, una lanterna magica e con quella sotto il braccio, una quarantina di lastre e qualche migliaio di manifesti l’«astronomo» partì alla conquista di Milano.
Era la Milano del primo dopoguerra, quella del futurismo di Marinetti. L’«astronomo» cominciò silenzioso a imbrattare i muri delle università e dei licei. Scriveva: «Paneroni da solo fermò la Terra, indi spedì Galileo al suo destino. La Terra non gira, o bestie!». Poi cominciò a farsi vedere all’uscita del liceo Berchet, del Manzoni e del Beccaria, metteva i suoi fogli sotto un sasso e cominciava a predicare: «Salir negli strati, calar nei profondi – studiate Paneroni, divinator dei mondi!»
La marcia su Roma e il cambiamento di regime gli fecero balenare grandi speranze, tuttavia fin da principio volle precisare la sua posizione, scrivendo sui muri: «L’era fascista senza quella di Paneroni fa schifo». Ma ovviamente la frase non piacque e venne minacciato, quindi riparò per qualche tempo a Rudiano.
Tra il 1925 e il 1928 Paneroni fu, almeno nell’Italia settentrionale, un uomo celebre; poi, come tutte le mode, anche la sua andò scomparendo. Ma lui non demordeva e disse alla moglie: «Ho conquistato la piazza, attaccherò la scienza». E da allora non tralasciò un congresso. A Genova, dove era giunto a piedi per risparmiare, riuscì non si sa come a introdursi nella sala dove si teneva un simposio internazionale; domandò la parola e propose, di fronte allo sbigottimento generale, un sistema per misurare la distanza della Terra dal Sole: «Si prendono dei tubi, vi si infilano i raggi e poi non resterà che misurare la lunghezza dei tubi». Fu scacciato in malo modo e da quel giorno tra gli astronomi nacque un termine nuovo che si ritrova anche in alcuni testi: C’est une Paneronnade.
Prima di morire fece in tempo ad assistere alla nascita della teoria atomica che, comunque non lo colse di sorpresa. Per lui gli elettroni e i protoni non erano che invenzioni dei fisici: «Si tratta di polvere che si ferma sui mobili delle case e che le donne trascurano di spolverare».
Nel suo testamento lasciò alla moglie le sue carte, dicendole che un giorno l’avrebbero fatta ricca; agli astronomi «che tanto male mi fecero ingiustamente», il suo perdono.