Nel mondo in cui viviamo le streghe compaiono perlopiù come protagoniste di telefilm e cartoni animati, creature di fantasia che rischiano al massimo l’estinzione virtuale per mancanza di audience. Qualche secolo fa, invece, il sospetto di praticare la stregoneria poteva colpire le persone in carne e ossa e costare, nei casi più estremi, una condanna a morte: era il periodo della “caccia alle streghe”, un fenomeno che ha turbato così tanto la coscienza collettiva da diventare sinonimo di persecuzione ossessiva e ingiustificata.
Dal punto di vista del CICAP, accostarsi al fenomeno della caccia alle streghe (e di tutte le credenze e leggende che vi si sono stratificate sopra) può essere utile per sviluppare un ragionamento più ampio su magia, credenze e superstizioni popolari, stereotipi religiosi.
In primo luogo, dunque, la credenza nella magia: la caccia alle streghe fu guidata dalla credenza in una cospirazione occulta di individui che acquisivano poteri soprannaturali attraverso un patto con il Diavolo, suggellato in riti collettivi chiamati sabba. Acquisire elementi sulla diffusione e le conseguenze tragiche di tale credenza può fornire, entro certi limiti, una chiave di lettura per dinamiche analoghe avvenute in altri contesti. In secondo luogo, le molte leggende che circondano la caccia alle streghe e che godono ancora oggi di grande diffusione tra il pubblico, nonostante siano state smentite da tempo dagli storici. Infine – e qui ci addentriamo in un livello più complesso della discussione, tuttora in corso – la questione delle cause della caccia alle streghe. È impossibile accostarsi a un dramma di queste proporzioni in modo completamente neutrale: lo dimostra il fatto che nel corso del tempo questo fenomeno è stato attribuito alle cause più disparate, secondo le sensibilità e i pregiudizi dei diversi autori e delle diverse epoche. Analizzare la fondatezza delle diverse interpretazioni significa in fondo interrogarci anche sui nostri stessi pregiudizi.
Ma andiamo per ordine: contro chi si rivolgeva la caccia alle streghe? La credenza nel potere magico di alcuni individui esisteva già nel mondo antico e anche il cristianesimo si interessò di magia e stregoneria fin dai primi secoli; ma la vera e propria caccia alle “streghe” (il termine nasce in epoca medievale) iniziò solo nella seconda metà dal Quattrocento, quando si consolidò la definizione di streghe come persone sospettate di praticare magia nera per compiere malefici e di adorare il Diavolo nel corso di riunioni notturne chiamate sabba.
Diversi studiosi cristiani si erano avvicinati alla questione della stregoneria, ma il primo trattato a raggiungere una vasta diffusione fu il famoso Malleus maleficarum (Martello delle streghe), pubblicato per la prima volta nel 1486 con la bolla Summis desirantes affectibus di papa Innocenzo VIII come introduzione e ristampato ben 34 volte fino al 1669. Opera di due inquisitori domenicani, Heinrich Krämer o Institoris (il nome latino) e Jacob Sprenger, il Malleus maleficarum era in sostanza un manuale destinato agli inquisitori, scritto nella forma di una disputa scolastica allo scopo di dimostrare l’esistenza delle streghe e prescrivere le tecniche per individuarle ed estorcere loro la confessione attraverso la tortura. Il Malleus, che in realtà non aggiungeva nulla di nuovo al concetto di stregoneria, se non una maggiore enfasi misogina sull’inferiorità intellettuale e morale delle donne, dovette la sua fortuna all’invenzione della stampa, avvenuta pochi anni prima, e si trasformò ben presto in un importante strumento che contribuì allo sviluppo della caccia alle streghe in Europa. I trattati sulla stregoneria furono moltissimi e oltre al Malleus si possono ricordare almeno un altro paio di opere che acquisirono forse una popolarità ancora maggiore: i Disquisitionum magicarum libri sex di Martin Del Rio, ristampati venti volte, che divennero il più popolare trattato sulla stregoneria del Seicento, e la Practica nova imperialis saxonica rerum criminalium del giurista luterano Benedikt Carpzov, che divenne il Malleus dei protestanti.
Iniziata alla fine del Quattrocento, la caccia alle streghe proseguì a ondate fino all’inizio del Settecento, con un picco tra il 1580 e il 1630, senza seguire alcuna regolarità geografica o cronologica: in alcune giurisdizioni furono inquisite migliaia di persone, in altre nessuna o quasi, in certi periodi furono processate moltissime streghe e in altri pochissime. Alcuni processi si tennero nei tribunali dell’Inquisizione, altri in tribunali ecclesiastici locali, ma la maggior parte si svolse in tribunali civili. Per questo motivo è credibile l’ipotesi che le spinte verso la persecuzione delle streghe non nascessero da un’autorità centrale, quanto piuttosto da dinamiche locali: ovviamente ogni episodio aveva le sue particolarità ed è necessaria molta prudenza nelle generalizzazioni. In generale, comunque, sembra che le autorità centrali siano state più impegnate a frenare la caccia alle streghe che a fomentarla, tant’è che le vittime furono più numerose dove l’autorità centrale era più debole (come nel Sacro Romano Impero Germanico, frammentato in moltissimi piccoli stati) e viceversa.
Anche se la caccia alle streghe ebbe l’appoggio di molti intellettuali del tempo, non ricevette un sostegno unanime. Furono avanzate critiche fin dalla prima metà del Cinquecento, soprattutto da parte degli umanisti come Erasmo da Rotterdam, per citare uno dei più famosi. La situazione, tuttavia, cominciò a cambiare soltanto a partire dalla metà del Seicento, quando gli studiosi europei manifestarono uno scetticismo molto più pronunciato nei confronti del potere del Diavolo e nella magia, grazie anche alla rivoluzione filosofica di Cartesio e all’avvento della scienza moderna in Europa e dei suoi metodi di indagine e di verifica dei fatti.
Ma chi erano davvero le streghe? Fare l’identikit della strega è molto difficile, perché i documenti processuali ci forniscono in genere pochissime informazioni sugli accusati, per di più non sempre attendibili. Anche se molto incompleti, questi dati possono però aiutarci a fare alcune osservazioni: possiamo, per esempio, scoprire che nei paesi scandinavi le percentuali degli accusati dei due sessi erano quasi pari, mentre in Russia e in Estonia i maschi erano la maggioranza delle persone accusate. La percentuale di uomini aumentava solitamente quando l’accusa di stregoneria era collegata a quella di eresia o alla sovversione politica e quando la caccia alle streghe sfuggiva a ogni controllo. Se però prendiamo il fenomeno nel suo complesso, possiamo dire che, in generale, le donne erano più sospettate di stregoneria probabilmente perché considerate moralmente più deboli degli uomini e inclini alla lussuria e perché, essendo più esposte ai pericoli, si credeva che potessero ricorrere alla stregoneria per protezione e vendetta.
Sempre grazie ai documenti processuali, scopriamo anche che la maggioranza delle streghe aveva un’età superiore a cinquant’anni, età considerata allora molto più avanzata di oggi. Diverse possono essere le ragioni di questo accanimento sulle donne più mature, non da ultima, forse, la paura maschile per la donna sessualmente indipendente ed esperta. Tuttavia furono talvolta condannate anche donne giovani e a volte persino bambini e adolescenti (erano in particolare i figli delle streghe ad essere più esposti a questo pericolo perché si credeva che i poteri si trasmettessero per via ereditaria).
La condizione coniugale delle accusate variava molto, ma nella maggior parte dei casi era quella di vedove o nubili. Le donne povere, infine, erano le persone più vulnerabili, più adatte a fare da capri espiatori, più sospettabili di usare la magia per migliorare la loro condizione sociale e più portate a suscitare risentimenti e sensi di colpa da parte della comunità a cui appartenevano; ma anche in questo caso non mancavano le eccezioni, soprattutto nelle ultime fasi della reazione a catena oppure quando c’erano di mezzo motivazioni politiche o economiche.
Infine, le vittime della caccia alle streghe non praticavano affatto riti satanici, al contrario di quanto immaginavano gli inquisitori. Alcune di loro erano guaritrici o indovine e compivano davvero riti “magici”, ma di tutt’altro genere: partivano infatti da una serie di tradizioni popolari di diversa provenienza che, mescolate e reinterpretate di volta in volta in forme e significati diversi, rispondevano ad una serie di richieste del mercato (in particolare in campo medico, dove la medicina ufficiale conviveva spesso con pozioni, unguenti e formule magiche). Ma non si riunivano per adorare il Diavolo e nella grande maggioranza dei casi non si riunivano per niente: i cacciatori di streghe continuarono per secoli a credere nell’esistenza dei sabba nonostante nessuno di loro sia mai riuscito a catturare le streghe in flagrante delicto.
In ogni caso, gran parte delle vittime delle cacce non praticava nemmeno le forme più innocue di magia, a dimostrazione di come le reali ragioni delle persecuzioni non dipendessero dalle vittime quanto piuttosto dai persecutori e potessero variare nei diversi luoghi e nelle diverse epoche.
Non potendo disporre di prove dirette, la procedura impiegata nei processi alle streghe prevedeva solitamente due prove principali di colpevolezza: la confessione, ottenuta solitamente in seguito a tortura, e le deposizioni dei vicini che accusavano le streghe di malefici (in particolare, nel caso dell’Inquisizione le testimonianze dovevano essere almeno due per essere ritenute valide). Le confessioni ottenute con la tortura ovviamente non sono significative: è molto probabile che la vittima confessi ciò che il torturatore vuole sentirsi dire e non ciò che ha davvero commesso. E non è un caso che nei processi per stregoneria l’accusa di adorare il Diavolo non venisse mai formulata prima di giungere alla fase del procedimento in cui si applicava la tortura. È durante la tortura che si costruisce la “strega”: molti giudici, sia del clero sia secolari, che avevano un’idea molto rigida e preconcetta dei riti praticati dalle streghe, suggerivano all’accusata in preda al dolore delle sevizie i peccati da confessare, per poi convincerla a fare i nomi dei presunti complici. A questo punto gli inquisitori si convincevano di essere di fronte a una vasta cospirazione e l’accusa di stregoneria si allargava a catena.
La caccia alle streghe declinò a partire dalla fine del Seicento, in modo graduale e con tempistiche differenziate tra le diverse regioni europee: sembra che l’ultima esecuzione legale di una strega sia avvenuta in Svizzera nel 1782.
Nonostante le differenze tra zone e periodi, è interessante notare come tutte le cacce alle streghe di epoca moderna si possano accomunare per alcuni elementi. Tutte le cacce alle streghe prevedevano la caccia a un nemico segreto della società, presupponendo che questo nemico non fosse solo, ma facesse parte di un movimento più ampio e che solo attraverso l’impiego di misure legali straordinarie si potesse scoprire quello che non era solo un segreto ma anche un grave crimine ideologico. Tutte le cacce alle streghe comportarono un elevato grado di ansia sociale ed è questo stato d’animo che, da un lato, giustificava le procedure legali straordinarie, dall’altro, rafforzava il timore che complici o altri criminali non fossero ancora stati smascherati. È evidente come questo insieme di condizioni non sia esclusivo dell’Europa agli inizi dell’età moderna, ma si possa ripresentare anche in altre epoche. Il fenomeno delle cacce alle streghe non fu né il primo né l’ultimo esempio di persecuzioni di soggetti ai margini della società o di minoranze (siano esse etniche, religiose, economiche o sociali), ma è forse quello che ha dato vita al maggior numero di leggende e miti. Per queste ragioni l’espressione “caccia alle streghe” è stata ripresa, non sempre correttamente, anche in altri contesti; e forse è sempre per queste ragioni che la caccia alle streghe ci affascina e ci terrorizza al tempo stesso.
Dal punto di vista del CICAP, accostarsi al fenomeno della caccia alle streghe (e di tutte le credenze e leggende che vi si sono stratificate sopra) può essere utile per sviluppare un ragionamento più ampio su magia, credenze e superstizioni popolari, stereotipi religiosi.
In primo luogo, dunque, la credenza nella magia: la caccia alle streghe fu guidata dalla credenza in una cospirazione occulta di individui che acquisivano poteri soprannaturali attraverso un patto con il Diavolo, suggellato in riti collettivi chiamati sabba. Acquisire elementi sulla diffusione e le conseguenze tragiche di tale credenza può fornire, entro certi limiti, una chiave di lettura per dinamiche analoghe avvenute in altri contesti. In secondo luogo, le molte leggende che circondano la caccia alle streghe e che godono ancora oggi di grande diffusione tra il pubblico, nonostante siano state smentite da tempo dagli storici. Infine – e qui ci addentriamo in un livello più complesso della discussione, tuttora in corso – la questione delle cause della caccia alle streghe. È impossibile accostarsi a un dramma di queste proporzioni in modo completamente neutrale: lo dimostra il fatto che nel corso del tempo questo fenomeno è stato attribuito alle cause più disparate, secondo le sensibilità e i pregiudizi dei diversi autori e delle diverse epoche. Analizzare la fondatezza delle diverse interpretazioni significa in fondo interrogarci anche sui nostri stessi pregiudizi.
Ma andiamo per ordine: contro chi si rivolgeva la caccia alle streghe? La credenza nel potere magico di alcuni individui esisteva già nel mondo antico e anche il cristianesimo si interessò di magia e stregoneria fin dai primi secoli; ma la vera e propria caccia alle “streghe” (il termine nasce in epoca medievale) iniziò solo nella seconda metà dal Quattrocento, quando si consolidò la definizione di streghe come persone sospettate di praticare magia nera per compiere malefici e di adorare il Diavolo nel corso di riunioni notturne chiamate sabba.
©Il Diavolo e le streghe calpestano la croce, illustrazione del Compendium maleficarum di Francesco Mario Guazzo, 1608
Iniziata alla fine del Quattrocento, la caccia alle streghe proseguì a ondate fino all’inizio del Settecento, con un picco tra il 1580 e il 1630, senza seguire alcuna regolarità geografica o cronologica: in alcune giurisdizioni furono inquisite migliaia di persone, in altre nessuna o quasi, in certi periodi furono processate moltissime streghe e in altri pochissime. Alcuni processi si tennero nei tribunali dell’Inquisizione, altri in tribunali ecclesiastici locali, ma la maggior parte si svolse in tribunali civili. Per questo motivo è credibile l’ipotesi che le spinte verso la persecuzione delle streghe non nascessero da un’autorità centrale, quanto piuttosto da dinamiche locali: ovviamente ogni episodio aveva le sue particolarità ed è necessaria molta prudenza nelle generalizzazioni. In generale, comunque, sembra che le autorità centrali siano state più impegnate a frenare la caccia alle streghe che a fomentarla, tant’è che le vittime furono più numerose dove l’autorità centrale era più debole (come nel Sacro Romano Impero Germanico, frammentato in moltissimi piccoli stati) e viceversa.
Anche se la caccia alle streghe ebbe l’appoggio di molti intellettuali del tempo, non ricevette un sostegno unanime. Furono avanzate critiche fin dalla prima metà del Cinquecento, soprattutto da parte degli umanisti come Erasmo da Rotterdam, per citare uno dei più famosi. La situazione, tuttavia, cominciò a cambiare soltanto a partire dalla metà del Seicento, quando gli studiosi europei manifestarono uno scetticismo molto più pronunciato nei confronti del potere del Diavolo e nella magia, grazie anche alla rivoluzione filosofica di Cartesio e all’avvento della scienza moderna in Europa e dei suoi metodi di indagine e di verifica dei fatti.
Ma chi erano davvero le streghe? Fare l’identikit della strega è molto difficile, perché i documenti processuali ci forniscono in genere pochissime informazioni sugli accusati, per di più non sempre attendibili. Anche se molto incompleti, questi dati possono però aiutarci a fare alcune osservazioni: possiamo, per esempio, scoprire che nei paesi scandinavi le percentuali degli accusati dei due sessi erano quasi pari, mentre in Russia e in Estonia i maschi erano la maggioranza delle persone accusate. La percentuale di uomini aumentava solitamente quando l’accusa di stregoneria era collegata a quella di eresia o alla sovversione politica e quando la caccia alle streghe sfuggiva a ogni controllo. Se però prendiamo il fenomeno nel suo complesso, possiamo dire che, in generale, le donne erano più sospettate di stregoneria probabilmente perché considerate moralmente più deboli degli uomini e inclini alla lussuria e perché, essendo più esposte ai pericoli, si credeva che potessero ricorrere alla stregoneria per protezione e vendetta.
Sempre grazie ai documenti processuali, scopriamo anche che la maggioranza delle streghe aveva un’età superiore a cinquant’anni, età considerata allora molto più avanzata di oggi. Diverse possono essere le ragioni di questo accanimento sulle donne più mature, non da ultima, forse, la paura maschile per la donna sessualmente indipendente ed esperta. Tuttavia furono talvolta condannate anche donne giovani e a volte persino bambini e adolescenti (erano in particolare i figli delle streghe ad essere più esposti a questo pericolo perché si credeva che i poteri si trasmettessero per via ereditaria).
La condizione coniugale delle accusate variava molto, ma nella maggior parte dei casi era quella di vedove o nubili. Le donne povere, infine, erano le persone più vulnerabili, più adatte a fare da capri espiatori, più sospettabili di usare la magia per migliorare la loro condizione sociale e più portate a suscitare risentimenti e sensi di colpa da parte della comunità a cui appartenevano; ma anche in questo caso non mancavano le eccezioni, soprattutto nelle ultime fasi della reazione a catena oppure quando c’erano di mezzo motivazioni politiche o economiche.
Infine, le vittime della caccia alle streghe non praticavano affatto riti satanici, al contrario di quanto immaginavano gli inquisitori. Alcune di loro erano guaritrici o indovine e compivano davvero riti “magici”, ma di tutt’altro genere: partivano infatti da una serie di tradizioni popolari di diversa provenienza che, mescolate e reinterpretate di volta in volta in forme e significati diversi, rispondevano ad una serie di richieste del mercato (in particolare in campo medico, dove la medicina ufficiale conviveva spesso con pozioni, unguenti e formule magiche). Ma non si riunivano per adorare il Diavolo e nella grande maggioranza dei casi non si riunivano per niente: i cacciatori di streghe continuarono per secoli a credere nell’esistenza dei sabba nonostante nessuno di loro sia mai riuscito a catturare le streghe in flagrante delicto.
In ogni caso, gran parte delle vittime delle cacce non praticava nemmeno le forme più innocue di magia, a dimostrazione di come le reali ragioni delle persecuzioni non dipendessero dalle vittime quanto piuttosto dai persecutori e potessero variare nei diversi luoghi e nelle diverse epoche.
Non potendo disporre di prove dirette, la procedura impiegata nei processi alle streghe prevedeva solitamente due prove principali di colpevolezza: la confessione, ottenuta solitamente in seguito a tortura, e le deposizioni dei vicini che accusavano le streghe di malefici (in particolare, nel caso dell’Inquisizione le testimonianze dovevano essere almeno due per essere ritenute valide). Le confessioni ottenute con la tortura ovviamente non sono significative: è molto probabile che la vittima confessi ciò che il torturatore vuole sentirsi dire e non ciò che ha davvero commesso. E non è un caso che nei processi per stregoneria l’accusa di adorare il Diavolo non venisse mai formulata prima di giungere alla fase del procedimento in cui si applicava la tortura. È durante la tortura che si costruisce la “strega”: molti giudici, sia del clero sia secolari, che avevano un’idea molto rigida e preconcetta dei riti praticati dalle streghe, suggerivano all’accusata in preda al dolore delle sevizie i peccati da confessare, per poi convincerla a fare i nomi dei presunti complici. A questo punto gli inquisitori si convincevano di essere di fronte a una vasta cospirazione e l’accusa di stregoneria si allargava a catena.
La caccia alle streghe declinò a partire dalla fine del Seicento, in modo graduale e con tempistiche differenziate tra le diverse regioni europee: sembra che l’ultima esecuzione legale di una strega sia avvenuta in Svizzera nel 1782.
Nonostante le differenze tra zone e periodi, è interessante notare come tutte le cacce alle streghe di epoca moderna si possano accomunare per alcuni elementi. Tutte le cacce alle streghe prevedevano la caccia a un nemico segreto della società, presupponendo che questo nemico non fosse solo, ma facesse parte di un movimento più ampio e che solo attraverso l’impiego di misure legali straordinarie si potesse scoprire quello che non era solo un segreto ma anche un grave crimine ideologico. Tutte le cacce alle streghe comportarono un elevato grado di ansia sociale ed è questo stato d’animo che, da un lato, giustificava le procedure legali straordinarie, dall’altro, rafforzava il timore che complici o altri criminali non fossero ancora stati smascherati. È evidente come questo insieme di condizioni non sia esclusivo dell’Europa agli inizi dell’età moderna, ma si possa ripresentare anche in altre epoche. Il fenomeno delle cacce alle streghe non fu né il primo né l’ultimo esempio di persecuzioni di soggetti ai margini della società o di minoranze (siano esse etniche, religiose, economiche o sociali), ma è forse quello che ha dato vita al maggior numero di leggende e miti. Per queste ragioni l’espressione “caccia alle streghe” è stata ripresa, non sempre correttamente, anche in altri contesti; e forse è sempre per queste ragioni che la caccia alle streghe ci affascina e ci terrorizza al tempo stesso.