Nel corso della storia occidentale, il dibattito, inteso come confronto argomentato tra sostenitori di posizioni divergenti, ha ricoperto un ruolo tutt’altro che marginale: nell’antica Grecia, oltre ad attività agonistica, era espressione della libertà politica; nel Medioevo fu adottato nelle università come metodo didattico e per dirimere questioni di carattere dottrinale; nella contemporaneità, tra le altre funzioni, favorisce lo sviluppo scientifico e, socialmente, garantisce un eguale confronto tra posizioni divergenti per contenuti e rappresentanza.
Tuttavia, se da sempre il dibattito è espressione di apertura mentale, perché alcuni riconosciuti scettici scientifici, che generalmente si distinguono per non dogmaticità, sostengono che dibattere pubblicamente con i sostenitori di teorie e credenze pseudoscientifiche sia da evitare?
Una prima ragione riguarda sia la natura del dibattito sia quella della scienza: accettare di confrontarsi con gli pseudoscienziati significherebbe abbassare la scienza al livello delle posizioni pseudoscientifiche. Per sua natura, infatti, il dibattito presenterebbe le posizioni in gioco come opinioni competitive o alternative. Tuttavia, le conoscenze scientifiche non sono opinioni e le pseudoscienze non presentano alcuna seria e fondata alternativa alla scienza. Pertanto dibattere farebbe percepire al pubblico che la pseudoscienza è rivale della scienza e che sulle questioni trattate vi sia ancora controversia.
Una seconda ragione riguarda la scarsa efficacia del dibattito nel modificare le idee del pubblico. Infatti, i partecipanti al dibattito sarebbero già fortemente radicati nelle loro posizioni, mentre chi professa teorie pseudoscientifiche o non cercherebbe vere prove, o penserebbe che i video o le testimonianze in suo possesso siano già prove solide.
A non migliorare le capacità del dibattito di intervenire nel cambiamento delle idee, e a compromettere il valore della scienza, concorrerebbero sia il carattere eristico dei sostenitori delle pseudoscienze, che implica l’uso di affermazioni prive di validità oggettiva o di termini ambigui al fine di vincere la contesa, sia la scarsa preparazione scientifica e argomentativa del pubblico cui i dibattiti si rivolgono. Infatti, la tendenza dei sostenitori delle pseudoscienze a “fabbricare” prove a loro favore, a concentrarsi su aspetti marginali delle questioni e a impiegare ragionamenti fallaci, incontrerebbe la scarsa preparazione tecnico-scientifica e argomentativa del pubblico, incapace di discernere tra fatti e pseudo-fatti, e tra prove e retorica.
Infine, dibattere sarebbe sconsigliato poiché il dibattito, per esempio se declinato nei formati televisivi, non sarebbe adeguato al discorso scientifico. Il dibattito, infatti, sarebbe un forum discutibile per la determinazione della verità, e l’asimmetria tra conduttore e ospiti, in termini di gestione dei turni d’intervento e delle tempistiche, porrebbe gli esponenti scientifici in svantaggio. Infatti, poiché tali incontri si svolgerebbero prevalentemente in ambienti favorevoli ai sostenitori delle pseudoscienze, i conduttori tenderebbero a: offrire la prima parola agli esponenti scientifici esponendoli a un atteggiamento difensivo; impostare il discorso a favore dei believers piuttosto che problematizzare gli argomenti; articolare posizioni contrarie a quelle scientifiche senza risponderne direttamente; terminare arbitrariamente la discussione avanzando argomenti e interrogativi cui non potrà più essere data risposta[1]. Inoltre il poco tempo spesso concesso alle posizioni scientifiche non renderebbe possibile esporre adeguatamente l’insieme articolato e talvolta complesso delle proprie ragioni e delle proprie prove.
Gli argomenti fin qui presentati contro la partecipazione a dibattiti pubblici o televisivi offrono davvero valide ragioni per orientare la decisione in merito? È davvero opportuno che in trasmissioni promotrici di teorie e credenze che generano ansie e paure, e dispongono allo sfruttamento economico e talvolta umano, non sia fatta risuonare una voce opposta e competente come quella degli scettici scientifici?
A entrambi questi dilemmi, piuttosto che una posizione di rifiuto categorico della partecipazione ai dibattiti, coloro che sono inclini a ponderare con attenzione se partecipare o meno sembrano offrire una lettura più obiettiva del fenomeno. Come scrisse Lorenzo Montali, direttore di “Query”, «la […] presenza in tv non deve essere un automatismo, ma il frutto di una scelta maturata valutando volta per volta gli obiettivi delle trasmissioni stesse[2]». È importante, infatti, che la partecipazione a dibattiti pubblici sia accompagnata da reali possibilità d’intervento e condizioni confacenti a un’adeguata preparazione. Pertanto, le trasmissioni in cui viene messa in discussione la legittimità di affermazioni scientifiche, o dibattiti registrati in anticipo e che la redazione potrà tagliare, sarebbero da considerare con circospezione. Invece, le trasmissioni il cui format contribuisce all’informazione del pubblico e garantisce una sorta di par condicio in termini di tempi e visibilità tra scettici e pseudoscienziati, nonché quelle in cui il presentatore conduce in modo corretto il dibattito e garantisce le condizioni per un’accurata preparazione, dovrebbero essere prese in considerazione. In questo modo potranno essere raggiunti due obiettivi. Il primo è evitare di fornire una patente di credibilità a interlocutori che spesso non l’hanno affatto[3], patente che, come afferma Stefano Bagnasco, fisico per l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e spesso rappresentante del CICAP nei dibattiti, è già ridimensionata dall’autorevolezza che offre presentarsi a nome del CICAP, che da decenni si occupa di bufale[4].
Il secondo obiettivo è di minimizzare l’impatto di tali trasmissioni rivolgendosi a chi nutre dubbi e cercando di promuovere la riflessione critica.
Infatti, sebbene sia provato che, sia i partecipanti al dibattito sia il pubblico già schierato, tendano a radicarsi nella propria posizione, ciò non implica che il dibattito sia inutile: anche i dibattiti tra sordi possono essere utili per quella parte di pubblico ancora indecisa e che cerca in quel contesto informazioni, spiegazioni o ragioni per prendere posizione. L’obiettivo della partecipazione ai dibattiti televisivi o pubblici, pertanto, non è quello di convertire gli acerrimi sostenitori delle pseudoscienze. Lo scopo di questi incontri è di mostrare l’esistenza di spiegazioni naturali ragionevoli per i fenomeni apparentemente soprannaturali e per le credenze bizzarre propugnate o, come ribadisce Bagnasco, non è di convincere la controparte o di vincere la discussione, bensì di spiegare il punto di vista della scienza sull’argomento.
Tuttavia, poiché la realizzazione di questi obiettivi dipende anche dalla preparazione contenutistica e dialettica di chi partecipa al dibattito, nel corso dei prossimi numeri saranno fornite indicazioni su come fare ricerca, su come individuare i punti controversi di un dibattito e su come organizzare la propria posizione per il dibattito. In tal modo si delineerà un breve percorso di formazione per chi aspirasse a partecipare a dibattiti televisivi o pubblici, o per chi desiderasse affrontare meno emotivamente le discussioni occasionali con i sostenitori di teorie o credenze pseudoscientifiche in direzione del più generale obiettivo di promozione della coscienza critica e scientifica[5].
Tuttavia, se da sempre il dibattito è espressione di apertura mentale, perché alcuni riconosciuti scettici scientifici, che generalmente si distinguono per non dogmaticità, sostengono che dibattere pubblicamente con i sostenitori di teorie e credenze pseudoscientifiche sia da evitare?
Una prima ragione riguarda sia la natura del dibattito sia quella della scienza: accettare di confrontarsi con gli pseudoscienziati significherebbe abbassare la scienza al livello delle posizioni pseudoscientifiche. Per sua natura, infatti, il dibattito presenterebbe le posizioni in gioco come opinioni competitive o alternative. Tuttavia, le conoscenze scientifiche non sono opinioni e le pseudoscienze non presentano alcuna seria e fondata alternativa alla scienza. Pertanto dibattere farebbe percepire al pubblico che la pseudoscienza è rivale della scienza e che sulle questioni trattate vi sia ancora controversia.
Una seconda ragione riguarda la scarsa efficacia del dibattito nel modificare le idee del pubblico. Infatti, i partecipanti al dibattito sarebbero già fortemente radicati nelle loro posizioni, mentre chi professa teorie pseudoscientifiche o non cercherebbe vere prove, o penserebbe che i video o le testimonianze in suo possesso siano già prove solide.
A non migliorare le capacità del dibattito di intervenire nel cambiamento delle idee, e a compromettere il valore della scienza, concorrerebbero sia il carattere eristico dei sostenitori delle pseudoscienze, che implica l’uso di affermazioni prive di validità oggettiva o di termini ambigui al fine di vincere la contesa, sia la scarsa preparazione scientifica e argomentativa del pubblico cui i dibattiti si rivolgono. Infatti, la tendenza dei sostenitori delle pseudoscienze a “fabbricare” prove a loro favore, a concentrarsi su aspetti marginali delle questioni e a impiegare ragionamenti fallaci, incontrerebbe la scarsa preparazione tecnico-scientifica e argomentativa del pubblico, incapace di discernere tra fatti e pseudo-fatti, e tra prove e retorica.
Infine, dibattere sarebbe sconsigliato poiché il dibattito, per esempio se declinato nei formati televisivi, non sarebbe adeguato al discorso scientifico. Il dibattito, infatti, sarebbe un forum discutibile per la determinazione della verità, e l’asimmetria tra conduttore e ospiti, in termini di gestione dei turni d’intervento e delle tempistiche, porrebbe gli esponenti scientifici in svantaggio. Infatti, poiché tali incontri si svolgerebbero prevalentemente in ambienti favorevoli ai sostenitori delle pseudoscienze, i conduttori tenderebbero a: offrire la prima parola agli esponenti scientifici esponendoli a un atteggiamento difensivo; impostare il discorso a favore dei believers piuttosto che problematizzare gli argomenti; articolare posizioni contrarie a quelle scientifiche senza risponderne direttamente; terminare arbitrariamente la discussione avanzando argomenti e interrogativi cui non potrà più essere data risposta[1]. Inoltre il poco tempo spesso concesso alle posizioni scientifiche non renderebbe possibile esporre adeguatamente l’insieme articolato e talvolta complesso delle proprie ragioni e delle proprie prove.
Gli argomenti fin qui presentati contro la partecipazione a dibattiti pubblici o televisivi offrono davvero valide ragioni per orientare la decisione in merito? È davvero opportuno che in trasmissioni promotrici di teorie e credenze che generano ansie e paure, e dispongono allo sfruttamento economico e talvolta umano, non sia fatta risuonare una voce opposta e competente come quella degli scettici scientifici?
A entrambi questi dilemmi, piuttosto che una posizione di rifiuto categorico della partecipazione ai dibattiti, coloro che sono inclini a ponderare con attenzione se partecipare o meno sembrano offrire una lettura più obiettiva del fenomeno. Come scrisse Lorenzo Montali, direttore di “Query”, «la […] presenza in tv non deve essere un automatismo, ma il frutto di una scelta maturata valutando volta per volta gli obiettivi delle trasmissioni stesse[2]». È importante, infatti, che la partecipazione a dibattiti pubblici sia accompagnata da reali possibilità d’intervento e condizioni confacenti a un’adeguata preparazione. Pertanto, le trasmissioni in cui viene messa in discussione la legittimità di affermazioni scientifiche, o dibattiti registrati in anticipo e che la redazione potrà tagliare, sarebbero da considerare con circospezione. Invece, le trasmissioni il cui format contribuisce all’informazione del pubblico e garantisce una sorta di par condicio in termini di tempi e visibilità tra scettici e pseudoscienziati, nonché quelle in cui il presentatore conduce in modo corretto il dibattito e garantisce le condizioni per un’accurata preparazione, dovrebbero essere prese in considerazione. In questo modo potranno essere raggiunti due obiettivi. Il primo è evitare di fornire una patente di credibilità a interlocutori che spesso non l’hanno affatto[3], patente che, come afferma Stefano Bagnasco, fisico per l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e spesso rappresentante del CICAP nei dibattiti, è già ridimensionata dall’autorevolezza che offre presentarsi a nome del CICAP, che da decenni si occupa di bufale[4].
Il secondo obiettivo è di minimizzare l’impatto di tali trasmissioni rivolgendosi a chi nutre dubbi e cercando di promuovere la riflessione critica.
Infatti, sebbene sia provato che, sia i partecipanti al dibattito sia il pubblico già schierato, tendano a radicarsi nella propria posizione, ciò non implica che il dibattito sia inutile: anche i dibattiti tra sordi possono essere utili per quella parte di pubblico ancora indecisa e che cerca in quel contesto informazioni, spiegazioni o ragioni per prendere posizione. L’obiettivo della partecipazione ai dibattiti televisivi o pubblici, pertanto, non è quello di convertire gli acerrimi sostenitori delle pseudoscienze. Lo scopo di questi incontri è di mostrare l’esistenza di spiegazioni naturali ragionevoli per i fenomeni apparentemente soprannaturali e per le credenze bizzarre propugnate o, come ribadisce Bagnasco, non è di convincere la controparte o di vincere la discussione, bensì di spiegare il punto di vista della scienza sull’argomento.
Tuttavia, poiché la realizzazione di questi obiettivi dipende anche dalla preparazione contenutistica e dialettica di chi partecipa al dibattito, nel corso dei prossimi numeri saranno fornite indicazioni su come fare ricerca, su come individuare i punti controversi di un dibattito e su come organizzare la propria posizione per il dibattito. In tal modo si delineerà un breve percorso di formazione per chi aspirasse a partecipare a dibattiti televisivi o pubblici, o per chi desiderasse affrontare meno emotivamente le discussioni occasionali con i sostenitori di teorie o credenze pseudoscientifiche in direzione del più generale obiettivo di promozione della coscienza critica e scientifica[5].
Note
1) Baker, R., Nickell, J. 1992. Missing Pieces. Prometheus, pp. 279-283.
2) Montali, L. 1996. Il CICAP e la televisione. “Scienza e paranormale”, (4)12.
3) Montali, L. 1996. Scetticismo e televisione: rapporto impossibile? “Scienza e paranormale”, (4)10: pp. 12-13.
4) Bagnasco S. (comunicazione personale, 2 febbraio 2013).
5) Bibliografia completa: http://academia.edu/3841162/Dibattere_le_teorie_e_le_credenze_pseudoscientifiche_Query_...