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Durante i secoli del medioevo, ai tempi delle Crociate, nelle chiese d'Europa nasceva ogni giorno una reliquia di Terrasanta. Da allora, le vecchie reliquie sono quasi tutte scomparse ma non ne sono più arrivate di nuove. C'è un unico esempio di reliquia di Cristo nata ai nostri giorni e proprio sotto i nostri occhi. È un ritratto del volto di un uomo a grandezza naturale, su un velo sottile, quasi trasparente, che si trova in un santuario dei frati Cappuccini a Manoppello (provincia di Pescara, diocesi di Chieti). Il velo è lì da quattro secoli, ma nessuno aveva mai preteso che quello fosse il "vero" ritratto di Gesù. Oggi, secondo i suoi sostenitori, non solo è una autentica reliquia ma è la più importante che ci sia mai stata: il vero volto di Cristo, formatosi in modo miracoloso nel sepolcro di Gerusalemme al momento della sua resurrezione. E non un volto sfumato e indistinto come quello della Sindone di Torino, ma nitido e realistico.
Non si sa come e quando il velo sia arrivato nel paese abruzzese. Di certo si trovava a Manoppello verso la metà del Seicento. Doveva trattarsi di un esemplare di "veronica" creato a imitazione della famosa immagine-reliquia che si trovava a Roma in S. Pietro.[1] È un singolare esempio di insolita pittura su stoffa arrivato fino a noi in condizioni relativamente buone e come tale, non già come reliquia, meriterebbe l'interesse degli specialisti di storia delle tecniche artistiche.
Una rapida carriera
L'invenzione della nuova reliquia è opera in pratica di un uomo solo, padre Heinrich Pfeiffer, un gesuita tedesco vissuto per molto tempo a Roma dove è professore di Storia dell'arte cristiana presso la Pontificia Università Gregoriana, uno degli atenei vaticani. Pfeiffer, già convinto dell'autenticità della Sindone di Torino, cominciò a interessarsi anche del velo di Manoppello su suggerimento di una suora tedesca, Blandina Paschalis Schlömer. Vide il velo per la prima volta nel 1986, ne studiò la storia e arrivò a convincersi che sia da identificare con la Veronica romana. Secondo lui, la Veronica fu trafugata da S. Pietro all'inizio del Seicento e finì a Manoppello, mentre a Roma fu messa una nuova copia al posto dell'originale. Poi Pfeiffer risalì nei secoli immaginando una fittizia storia del velo fino a farlo incontrare col volto di Cristo duemila anni fa. Nel frattempo suor Blandina si dava da fare, sovrapponendo ingrandimenti fotografici, per dimostrare che l'immagine della Sindone e quella di Manoppello coincidono perfettamente e perciò si formarono entrambe nel sepolcro di Gesù.
La tesi di Pfeiffer fu pubblicata inizialmente in un libro del 1991 (scritto assieme a un altro gesuita tedesco, Werner Bulst, poi scomparso). Per alcuni anni Pfeiffer cercò di fare proseliti, ma senza successo. A essere interessati c'erano al più i frati del santuario di Manoppello, che nel 1997 chiamarono un esperto perché fotografasse l'immagine e ne esaminasse la natura. Come esperto scelsero un medico ortopedico dell'università di Bari, il professor Donato Vittore, il quale andò, fotografò il velo con uno scanner e annunciò che l'immagine non può essere un dipinto.
La svolta decisiva arrivò nel 1999. Alla fine di maggio, Pfeiffer incontrò i giornalisti internazionali in una conferenza stampa a Roma. Nei giorni successivi comparivano sui giornali articoli con titoli come: "Reliquia del "Volto di Cristo" trovata in un monastero" (Sunday Times); "Uno studioso: Ritrovato il "velo della Veronica" con il volto di Cristo" (Corriere della Sera); "Un religioso tedesco ritrova una reliquia perduta: il 'sudario della Veronica' scomparso nel 17.o secolo dalla basilica di S. Pietro" (Die Welt). Ciò che faceva notizia sui giornali era solo una parte, molto piccola, delle tesi di Pfeiffer, cioè che una famosa reliquia medievale era stata ritrovata in un paese dell'Abruzzo. Ma Pfeiffer intendeva molto di più. Secondo lui, la Sindone di Torino e il Velo di Manoppello sono prove a dimostrazione della passione e resurrezione di Gesù, e la teologia va riformulata, con importanti implicazioni, tenendo conto che Gesù ci ha lasciato non solo la sua parola nei Vangeli, ma anche il segno concreto della sua immagine miracolosa.
Nei mesi successivi arrivarono a Manoppello gli inviati delle televisioni da vari paesi, per esempio la CNN in ottobre. Sempre in quel 1999 fu inaugurata presso il santuario una mostra, divenuta poi permanente, organizzata dalla Schlömer, dove sono esposte immagini che dimostrerebbero la coincidenza fra Sindone e velo. La Schlömer scrisse anche un libro che fu pubblicato a Innsbruck da padre Andreas Resch, un nuovo adepto. Poi nel 2000 uscirono un libro di Pfeiffer e un altro a cura di padre Germano Di Pietro, allora rettore del convento di Manoppello. Furono anche messi in commercio due video.
Il 1999 fu quindi un anno fortunato per il velo. La situazione era favorevole perché si approssimava l'anno giubilare del 2000 e la Regione Abruzzo attivò un efficiente ufficio per il turismo. Naturalmente un tale ufficio regionale aveva il compito di promuovere l'arrivo di pellegrini in Abruzzo per l'anno santo, non già di verificare le credenziali di autenticità di una reliquia, e per Manoppello fece un buon lavoro. Fu la Regione a organizzare la conferenza stampa di Pfeiffer in maggio, poi a dare supporto e consulenza per la mostra della Schlömer. Inoltre furono curati altri aspetti in modo coordinato e a livello internazionale: pubbliche relazioni, comunicati stampa, traduzioni, assistenza agli inviati delle reti televisive, contatti con gli editori di guide o cataloghi e con le agenzie di viaggio. L'attività dell'ufficio regionale faceva leva proprio sulle nuove potenzialità che Manoppello guadagnava, come meta del turismo religioso, con le teorie di Pfeiffer e della Schlömer. La Regione sul suo sito internet ha alcune pagine dedicate a tali teorie e inoltre nella sezione delle news aggiorna periodicamente sulle ultime novità.[2]
Nel 2004 entra in scena un nuovo promotore, ancora dalla Germania. È il giornalista Paul Badde, corrispondente da Roma e vaticanista per il quotidiano Die Welt. In settembre pubblica sul suo giornale un articolo che introduce una presunta prova aggiuntiva a favore del velo, quella del bisso. Badde aveva fatto venire dalla Sardegna Chiara Vigo, una donna che si vanta di essere l'ultima tessitrice del bisso (il vero bisso marino, prodotto coi filamenti di un grosso mollusco). Giunta a Manoppello, la Vigo guarda il velo e afferma che è fatto di bisso, e inoltre dichiara che il bisso non si può dipingere. La notizia viene ripresa da vari giornali italiani, poi il settimanale Oggi dedica un servizio al velo e alla Vigo. Badde continua a darsi da fare, fra l'altro intervistando il vescovo di Chieti, finché nel marzo 2005 riesce a ottenere il permesso di vedere da vicino la Veronica di S. Pietro. Subito, in un articolo sulla Welt, annuncia, come se fosse una sua scoperta, che sul pezzo di stoffa non è visibile alcun volto (ciò che si sapeva da tempo), e ne deduce che l'antica Veronica non è più a Roma, implicando che deve essere cercata altrove, cioè a Manoppello.[3]
A coronamento di questa rapida carriera, nel 2005 il velo raggiunge l'obiettivo di una grande diffusione editoriale. Allegato al numero di Pasqua (27 marzo) di Famiglia Cristiana c'è un libro di Saverio Gaeta, Il volto del Risorto, totalmente favorevole all'autenticità. Poco dopo, lo stesso libro, con i capitoli un po' rimescolati e con un nuovo titolo, L'altra Sindone: La vera storia del volto di Gesù, viene pubblicato presso un grosso editore. [Vedi recensione a p. 70] In luglio una troupe della televisione americana History Channel viene a Manoppello per filmare un servizio. Per ottobre è prevista l'uscita in Germania di un libro di Badde col titolo Das Muschelseidentuch, cioè "il velo di seta di cozza" (espressione tedesca per il bisso marino), col sottotitolo "Alla ricerca del vero volto di Gesù".
In agosto i frati del santuario hanno ritenuto che i tempi fossero maturi per rivelare un miracolo sul quale avevano mantenuto il riserbo per tanti anni. Nel 1968, il giorno prima della sua morte, padre Pio da Pietrelcina si sdoppiò e comparve a Manoppello. Un frate lo trovò dentro la chiesa, inginocchiato davanti al Volto Santo, e lo sentì dire "Io non mi fido più". Poi padre Pio salutò il confratello con un "prega per me, arrivederci in paradiso".
In settembre c'è stata una sorpresa: sul mensile Hera, in un lungo articolo, Roberto Falcinelli (un sindonologo), prendendo lo spunto da un paio di frasi del Vasari, ha avanzato la tesi che il volto di Manoppello sia, nientemeno, un quadro dipinto da Albrecht Dürer.[4] Se così fosse, i frati del santuario si troverebbero a possedere un'opera quasi più preziosa di un'autentica reliquia! Non valuteremo qui tale ipotesi. Piuttosto ci interessa che nell'articolo si scopre che Falcinelli aveva già esaminato il velo e preso fotografie nel 1999 e nel 2001. Inoltre vengono riprodotti stralci di un rapporto, finora inedito, di Giulio Fanti (un altro sindonologo), che a sua volta aveva fotografato il velo nel 2001. Si possono vedere le riproduzioni di macrofotografie, sia di Falcinelli che di Fanti, che mostrano chiaramente la presenza di materiale sui fili del tessuto, cioè di probabile pigmento pittorico. Le fotografie contraddicono la tesi di chi pretende che il volto non sia opera pittorica, ma la notizia non ha avuto eco sulla stampa, almeno nell'immediato, e non c'è da temere che la carriera del velo come reliquia sia a rischio per questo.
Il futuro del velo dipenderà principalmente dalla posizione dell'autorità ecclesiastica. Sarebbe sufficiente l'assenza di una esplicita condanna per dare l'impressione di un implicito consenso. Per ora le premesse sono favorevoli. Il vescovo di Chieti (da cui Manoppello dipende), monsignor Bruno Forte, rispondendo a una intervista di Paul Badde si manteneva prudente e non promuoveva ma nemmeno condannava le tesi di Pfeiffer, ma poi ha scritto una prefazione per il libro di Gaeta (nell'edizione per Famiglia Cristiana), dove concede qualcosa di più e parla del velo come di una "immagine non dipinta né tessuta, impressa per una sorta di esplosione di luce, singolarmente corrispondente a quella della Sindone di Torino". L'edizione successiva del libro di Gaeta ha ricevuto una benevola recensione, scritta da un sacerdote, sul quotidiano cattolico Avvenire. Il libro di Pfeiffer del 2000 aveva una prefazione di un cardinale. Qualche altro cardinale si è recato a Manoppello o ha mostrato interesse per il velo, da ultimo quello di Colonia. Tutto sembra quindi procedere per il meglio, sempre che in Vaticano non si ricordino che non hanno mai detto di aver perso la loro Veronica che ancora custodiscono in S. Pietro.
Le presunte prove
Elenchiamo gli argomenti avanzati dai sostenitori del velo:
Identificazione con la Veronica.
Per identificare il velo con la Veronica romana, padre Pfeiffer prende lo spunto dalla comparsa, nel 1617 o poco dopo, di alcune copie della Veronica che mostrano un volto con gli occhi chiusi, mentre prima di allora si riteneva che gli occhi fossero aperti. Ne deduce che in quel periodo l'originale era stata trafugato e al suo posto era stato messo un nuovo e diverso esemplare. In realtà non sappiamo niente con certezza su come fossero gli occhi a quella data (né prima o dopo di allora). Fra le copie del 1617 pervenute, ce n'è una, oggi a Vienna, che ha qualche probabilità di essere stata effettivamente riprodotta dall'originale di S. Pietro (ma nemmeno di questo siamo sicuri). Come si vede, il volto ha un aspetto nebuloso e indistinto, ciò che non meraviglia perché oggi, e già da almeno un secolo, la Veronica ha perso l'immagine, del tutto o quasi, e quindi ci si aspetta che già nel Seicento il processo di deterioramento fosse avviato. Se il pittore che dipinse la copia di Vienna si trovava di fronte a un originale su cui gli occhi erano indistinti o quasi invisibili, aveva un margine di arbitrarietà su come dare una sua interpretazione. In pratica non li ha dipinti. A prima vista si ha l'impressione che gli occhi siano chiusi perché non si vede la pupilla, ma nemmeno si vede il dettaglio delle palpebre accostate (in uno dei due occhi sembrerebbe piuttosto di vedere le palpebre socchiuse, ma è difficile capire). In altre copie di quel periodo, probabilmente riprese dalla copia di Vienna o da una consimile, i pittori, con un secondo passaggio interpretativo, hanno supposto che gli occhi fossero chiusi e li hanno dipinti come tali, con un marcato segno delle palpebre accostate. Un esempio è in una copia, circa 1622, oggi nella Chiesa del Gesù a Roma ,alla quale in particolare Pfeiffer fa riferimento. Pfeiffer ritiene che all'epoca l'esemplare in S. Pietro, cioè secondo lui il rifacimento dell'originale, avesse appunto questo aspetto, ma non tiene conto che questo può essere il risultato di un doppio processo di "restauro" più o meno arbitrario condotto dai copisti a partire da un'immagine fortemente deteriorata e difficilmente leggibile. Va anche considerato che per i secoli precedenti della storia della Veronica non abbiamo alcuna copia per la quale possiamo essere certi che riproduca fedelmente l'originale, e quindi ci manca un termine di paragone significativo. In conclusione, l'argomento degli occhi chiusi, invocato da Pfeiffer, non fornisce evidenza che ci fosse una sostituzione dell'originale all'inizio del Seicento. D'altronde non si può escludere che un furto ci sia stato, in quello o in altro periodo, per esempio nel 1527 con il saccheggio di Roma, ma allora non c'è alcun indizio che l'originale trafugato sia poi finito proprio a Manoppello.
Il frammento di vetro
Pfeiffer dice che ha visto, impigliato in un angolo del velo, un piccolo frammento di vetro, e ritiene che esso provenga da una cornice medievale che fu usata per la Veronica ed è ancora conservata in Vaticano con un vetro incrinato. Questa diventerebbe una buona prova se si confrontasse il frammento con il vetro (anzi il cristallo di rocca) della cornice medievale e si dimostrasse che la provenienza è quella, ma niente è stato fatto a tale scopo. D'altra parte Falcinelli ha anch'egli osservato il frammento e afferma che non è impigliato nel velo ma è separato e proviene dalla attuale cornice.
Ricostruzione della storia anteriore
Pfeiffer risale nei secoli ipotizzando che la Veronica a sua volta sia da identificare con una immagine "acheropita" (non fatta da mano umana) citata in qualche antico testo bizantino, quella di Camulia (o Camuliana, nell'attuale Turchia). Non ha alcun appiglio per questa ipotesi del tutto immaginaria. E naturalmente non può avere alcuna prova per quello che secondo lui fu l'inizio del percorso: la miracolosa formazione dell'immagine nel sepolcro di Gesù.
Il prototipo
L'arte bizantina aveva sviluppato un "tipo" del volto di Gesù, sempre ripetuto nel corso di diversi secoli con poche variazioni. Come si sa, in quel mondo l'arte sacra era statica. Ora Pfeiffer ritiene che quegli artisti dipingessero in quel modo perché avevano per modello un "prototipo" che era nient'altro che il volto di Manoppello, il quale sarebbe quindi anteriore a tutti gli altri. In realtà il nostro volto non è simile a una tipica icona bizantina, ma anche se fosse, piuttosto che pensare che tutti i pittori copiarono da quello, è più semplice pensare che il pittore che ha fatto il volto di Manoppello si sia anche lui adeguato al modello dei volti di Cristo che si era già instaurato.
La sovrapponibilità con la Sindone
Suor Blandina Schlömer ha lavorato a lungo per dimostrare che la figura del volto della Sindone e quella del volto di Manoppello sono sovrapponibili e corrispondono perfettamente. Più recentemente ha avuto anche la collaborazione di padre Andreas Resch. Anche Pfeiffer è convinto della identità fra i due volti. Tutti loro sono sicuri che la Sindone sia autentica e ne deducono che anche il velo lo debba essere. Non si limitano a dire che la somiglianza dimostra che i due volti sono i ritratti della stessa persona, ma si spingono ad affermare che la corrispondenza è talmente precisa, fin nei minimi dettagli, che le due immagini dovettero formarsi nella stessa circostanza, quando velo e Sindone, assieme e l'uno sopra all'altra, si trovavano a contatto col volto di Gesù nel sepolcro. Non si preoccupano per il fatto che il volto sul velo ha gli occhi aperti e non è la "fotografia" di un cadavere. Naturalmente quella foto fu scattata un attimo dopo che Cristo era risorto!
Basta guardare le due immagini, velo e Sindone, per constatare che non si assomigliano (a parte l'analoga disposizione di capelli e barba, che era sempre più o meno la stessa per i ritratti di Cristo). Se si prova a sovrapporre due ritratti del volto di un uomo a grandezza naturale, si troveranno comunque alcuni punti di corrispondenza. Questo succede con qualunque coppia di ritratti. Succede tanto più se uno dei due è la Sindone, che ha un'immagine sfumata e indistinta. Dove sono, esattamente, gli occhi o i sopraccigli nella Sindone? Dove comincia o finisce la barba? Una localizzazione precisa è impossibile.
Se poi anche fosse vero che i due volti sono identici, ciò non comporterebbe in alcun modo che entrambi debbano essere autentici. Se ne potrebbe solo dedurre che furono copiati l'uno dall'altro o da un modello comune.
"Non è un dipinto!"
Questa è l'esclamazione che Donato Vittore mette a titolo di una sua nota sull'esame degli ingrandimenti fotografici. Dice che sul velo non c'è traccia di materiale pittorico e pubblica alcune fotografie come dimostrazione. In realtà su qualcuna delle fotografie si vede chiaramente la presenza di materiale sui fili. Ora che sono state pubblicate le fotografie di Falcinelli e di Fanti, è evidente che sui fili sono presenti incrostazioni di materiale aggiunto e non si può sostenere che non ci sia pigmento pittorico.
Le fotografie di tutti e tre gli autori sono state prese attraverso il vetro della cornice e non sono a ingrandimento microscopico. Permettono di vedere incrostazioni macroscopiche ma sono ancora lontane dal grado di ingrandimento necessario per osservare ed esaminare le singole particelle di pigmento. Se sarà possibile in futuro eseguire esami microscopici, si potrà forse stabilire la natura dei coloranti.
Fronte e retro
Il velo ha l'immagine visibile da entrambe le parti (anche se c'è una differenza di intensità fra dritto e rovescio). C'è chi afferma che un pittore non riuscirebbe a produrre quell'effetto di doppia immagine (forse crede che il pittore dovrebbe dipingere prima una immagine da una parte e poi ripeterla identica dall'altra parte?). Non c'è bisogno di far notare che, per un velo così sottile, sarebbe impossibile dipingere su un verso senza che l'immagine diventi in qualche grado visibile anche sull'altro.
Il bisso
Chiara Vigo, portata alla ribalta dal suo mentore Paul Badde, fa due affermazioni: primo, il velo di Manoppello è fatto di bisso (s'intende sempre il vero bisso marino); secondo, il bisso non si può dipingere. Quanto al primo punto, dato che la Vigo è l'unica persona che abbia visto un filo di bisso e abbia anche visto (sia pure attraverso il vetro e non al microscopio) il velo di Manoppello, sembrerebbe difficile contestarla, ma le sue motivazioni non appaiono chiare. Dice che solo il bisso può formare un velo così sottile, ma, per quel po' che ho potuto apprendere cercando di verificare, non ho trovato conferma. Nell'antichità si parlava sì di "bisso" in riferimento a tessuti leggeri e trasparenti, ma in genere la parola indicava un fine lino, non il bisso marino. I pochi esemplari di vero bisso visibili nei musei, a quanto sembra, non sono trasparenti. Quanto all'aspetto e al colore naturale, la Vigo dice per esempio (intervistata su Oggi del 20 ottobre 2004): "Solo il bisso è di trasparenza assoluta e viene attraversato dalla luce in ogni fibra, acquistando una stupenda luminosità dorata, mentre al buio diventa marrone: proprio il gioco cromatico dell'icona sacra." Il colore naturale del bisso può forse variare a seconda del processo di preparazione, ma di solito è un colore intenso, bruno con riflessi dorati. Su internet si possono anche vedere esempi di produzioni della stessa Vigo (che non sono tessuti fatti di bisso, ma tessuti di lino ricamati con filo di bisso), e il colore è un marrone abbastanza scuro. Sul velo di Manoppello non compare quel colore, anzi ci sono zone chiare e negli occhi, al di fuori delle pupille, c'è il bianco (che non può essere un bianco dipinto, secondo lei).
Venendo al secondo punto, la Vigo afferma "Nessuno può averlo dipinto, perché il bisso non si lascia dipingere. Sicuramente non come qui. Chiunque avesse tentato di farlo, con qualsiasi tecnica, non ci sarebbe riuscito." Si è curiosi di sapere come lo ha saputo, che il bisso non si lascia dipingere. Qualcuno ha mai fatto un esperimento? Il bisso è sempre stato estremamente raro e costoso ed è già bello al naturale: chi sarebbe così incauto da sporcarlo con un pennello? Né la Vigo ci dice se ha provato lei. E la sperimentazione sarebbe lunga perché i tipi di coloranti sono molti e bisognerebbe escluderli tutti.[5]
Per conoscere con certezza la natura del tessuto, bisognerebbe esaminare un frammento di filo al microscopio, ma i frati del santuario sembrano intenzionati a non dare il permesso di aprire la cornice. Forse temono che estraendo il velo si rischi di danneggiarlo. Al contrario, proprio ai fini della conservazione sarebbe necessario estrarlo periodicamente per controllarne lo stato ed eventualmente procedere a pulizia o disinfestazione e, se del caso, a mirati interventi di restauro. Sarebbe un peccato se il velo andasse perso: non sarà una reliquia ma è pur sempre un'opera pittorica interessante e singolare.
Note
1) Il velo della Veronica, o semplicemente la Veronica, ebbe grande fama nei secoli del tardo medioevo, quando era una delle principali attrattive per i pellegrini romei. La leggenda associata al velo ebbe varie versioni e in quella definitiva racconta di Veronica, una donna di Gerusalemme che vede Gesù mentre sale con la croce sulla via del Calvario, gli si avvicina e gli offre il suo velo per asciugarsi dal sudore e dal sangue. Gesù le fa omaggio del ritratto del suo volto rimasto impresso sul velo. Il 1527 fu l'anno del sacco di Roma e ci furono voci discordanti sulla sorte della reliquia, di cui qualcuno disse che venisse trafugata o distrutta dai soldati. Comunque una Veronica continuò a essere mostrata anche negli anni successivi. Nel 1606 il velo fu trasferito dalla vecchia alla nuova basilica di S. Pietro. Ancora oggi la Veronica viene mostrata ai fedeli una volta all'anno, dall'alto di una balconata. O piuttosto viene mostrato il suo fantasma, dato che già da almeno un secolo l'immagine è tanto deteriorata che è impossibile scorgervi i lineamenti di un volto.
2) Sono presenti su internet documenti della Regione Abruzzo con un consuntivo dell'attività di promozione per il giubileo del 2000. Citiamo alcune frasi che mostrano la giustificata soddisfazione con cui l'ufficio per il turismo presenta i risultati conseguiti per Manoppello. "Il contesto più rilevante in termini di comunicazione e lancio internazionale sul quale si è operato è certamente stato il Volto Santo di Manoppello, autentico exploit dell'anno 2000, in conseguenza di una mirata azione di divulgazione e diffusione - ascrivibile all'esclusiva attività della struttura regionale - delle tesi di P.H. Pfeiffer e di S. Blandina Paschalis Schlömer, relative alla identificazione nella reliquia, della Veronica, una volta venerata in San Pietro e della sua sovrapponibilità con la Sindone." "Nell'ambito del Progetto (aprile 1999/marzo 2001) è stato sviluppato un eccezionale percorso di comunicazione a livello internazionale delle tesi sulla identificazione della Veronica nella reliquia del Volto Santo di Manoppello." "Il Santuario del Volto Santo di Manoppello - fino a pochi mesi fa completamente sconosciuto - ha fatto registrare nell'anno 2000, secondo stime ufficiali (anche di Rai Giubileo), un milione di visitatori provenienti da tutto il mondo e quindi l'inserimento della destinazione nei più importanti circuiti turistico-religiosi a livello internazionale." Fonte
3) Badde in quell'occasione misurò l'altezza del volto della Veronica, cioè dell'apertura sulla lastra metallica posta a incorniciare il profilo del volto, trovandola di 28 cm. Nell'articolo afferma che un'antica cornice, in cui fu custodita la reliquia nel medioevo, è alta, nella dimensione interna, solo 25 cm., e quindi l'esemplare oggi a Roma non può essere quello medievale perché non entrerebbe nella cornice. In realtà l'antica cornice, conservata in Vaticano, ha un'altezza di 40 cm all'esterno e di 34 cm. all'interno.
4) In tre passaggi delle sue Vite, Giorgio Vasari fa riferimento a un autoritratto di Dürer di cui non si hanno altre notizie e che, se davvero è esistito, è purtroppo andato perduto (se non è a Manoppello!). Non sempre possiamo fidarci delle notizie fornite dal Vasari, specialmente se le riporta di seconda mano, ma in questo caso egli afferma di avere visto il quadro a Mantova in casa di Giulio Romano che lo aveva avuto in eredità da Raffaello. Di Dürer abbiamo tre magnifici autoritratti degli anni giovanili. Secondo il Vasari, Dürer dipinse più tardi un quarto autoritratto che inviò in omaggio a Raffaello. Vasari descrive il quadro con parole che per certi aspetti si addicono sorprendentemente bene al volto di Manoppello. Nella vita di Raffaello scrive: " gli mandò la testa d'un suo ritratto condotta da lui a guazzo su una tela di bisso, che da ogni banda mostrava parimente e senza biacca i lumi trasparenti, se non che con acquerelli di colori era tinta e macchiata, e de' lumi del panno aveva campato i chiari, la quale cosa parve maravigliosa a Raffaello." E nella vita di Giulio Romano: "Fra le molte cose rare che aveva in casa sua, vi era in una tela di rensa sottile il ritratto naturale d'Alberto Duro di mano di esso Alberto, che lo mandò come altrove si è detto, a donare a Raffaello da Urbino. Il qual ritratto era cosa rara perché, essendo colorito a guazzo con molta diligenza e fatto d'acquarelli, l'aveva finito Alberto senza adoperare biacca, et in quel cambio si era servito del bianco della tela, delle fila della quale, sottilissime, aveva tanto ben fatti i peli della barba, che era cosa da non potersi imaginare, non che fare, et al lume traspareva da ogni lato." Dunque Vasari parla di una tela sottile, di una pittura a guazzo (sorta di acquerello) non coprente, col risultato di una figura trasparente e visibile da entrambi i lati. Viene irresistibile la tentazione di fare un paragone con il velo di Manoppello. Si può anche notare che nel terzo degli autoritratti noti (quello conservato a Monaco di Baviera), Dürer si rappresenta intenzionalmente con le fattezze di un Cristo, visto frontalmente, col ciuffetto di capelli che spunta in avanti sulla fronte. Purtroppo le analogie finiscono qui perché il volto del Dürer-Cristo nell'autoritratto di Monaco è superbamente bello in tutti i sensi, nella fisionomia e nell'arte pittorica, ciò che non si può dire del volto di Manoppello. Falcinelli si accorge infatti che i due ritratti non sono somiglianti e cerca una scappatoia con una ipotesi azzardata. Dice che il Vasari si era sbagliato a definire il quadro un autoritratto: quello inviato in omaggio da Dürer era invece un ritratto raffigurante il destinatario, Raffaello. Secondo Falcinelli, il volto di Manoppello ha sembianze simili a quelle degli autoritratti in cui Raffaello si è raffigurato. A me sembra che assomigli tanto poco a Raffaello come a Dürer. Inoltre ci si può chiedere come venisse in mente a Dürer di dipingere, stando in Germania, un ritratto di Raffaello che non aveva mai incontrato di persona. Comunque sia, le corrispondenze fra la descrizione del Vasari e il volto di Manoppello sono singolari e a Falcinelli va dato il merito di averle per primo rilevate. Si sarà notato che il Vasari, nella prima citazione, parla di "tela di bisso", e Falcinelli, ricollegandosi alle dichiarazioni della Vigo, ne trae una conferma alla sua ipotesi. Ma nel linguaggio dell'epoca con "bisso" si intendeva un lino fine. Infatti nella seconda citazione Vasari parla di "tela di rensa" e la rensa (da Reims) era appunto un tessuto sottile di lino.
5) Ringrazio Felicitas Maeder, del Museo di Storia Naturale di Basilea, per informazioni sul bisso.
Gian Marco Rinaldi
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