La fede e la pratica religiosa potrebbero favorire, secondo alcuni, una migliore condizione di salute; la morbilità e la mortalità sarebbero quindi minori nelle persone religiose e in particolare fra preti, monaci e suore.
A sostegno di quest'ipotesi, che rientra nel bagaglio culturale di ogni religione, sono spesso citati studi apparsi negli ultimi decenni in riviste scientifiche autorevoli. La tesi di alcuni ricercatori, a loro avviso clinicamente dimostrabile, è che la fede e la pratica attiva di un culto sono associati a un migliore stato di salute generale e a una maggiore capacità di superare le malattie.
Recentemente è anche apparso uno studio in cui si sostiene che perfino le preghiere dei sacerdoti avrebbero avuto un effetto positivo sull'evoluzione clinica in un ampio gruppo di pazienti ricoverati in unità coronarica, indipendentemente dal fatto che essi fossero informati o meno di tale supporto.
La ricerche di questo tipo sono state notevolmente criticate (se non anche ritenute tendenziose), essendo inficiate sia da errori metodologici che dall'uso di criteri di valutazione piuttosto soggettivi; non si terrebbe conto, in particolare, che nei gruppi apparentemente protetti dalla fede e dalla preghiera, viene mantenuto per lo più uno stile di vita più sano, con una notevole riduzione di molti fattori di rischio (alcool, fumo, attività sessuale) e un'alimentazione più equilibrata.
Il disordine morale e spirituale e il peccato sono sempre stati considerati dalle chiese un fattore predisponente se non causale sia delle malattie fisiche che, soprattutto, dei disordini mentali e delle condotte antisociali. D'altra parte, in tutte le religioni, molte delle prescrizioni salutiste e alimentari si basano su dei presupposti dottrinali piuttosto che medici, e la loro trasgressione è considerata come responsabile di epidemie e malattie, negando o minimizzando l'azione casuale di fattori esterni.
Per saperne di piu:
A sostegno di quest'ipotesi, che rientra nel bagaglio culturale di ogni religione, sono spesso citati studi apparsi negli ultimi decenni in riviste scientifiche autorevoli. La tesi di alcuni ricercatori, a loro avviso clinicamente dimostrabile, è che la fede e la pratica attiva di un culto sono associati a un migliore stato di salute generale e a una maggiore capacità di superare le malattie.
Recentemente è anche apparso uno studio in cui si sostiene che perfino le preghiere dei sacerdoti avrebbero avuto un effetto positivo sull'evoluzione clinica in un ampio gruppo di pazienti ricoverati in unità coronarica, indipendentemente dal fatto che essi fossero informati o meno di tale supporto.
La ricerche di questo tipo sono state notevolmente criticate (se non anche ritenute tendenziose), essendo inficiate sia da errori metodologici che dall'uso di criteri di valutazione piuttosto soggettivi; non si terrebbe conto, in particolare, che nei gruppi apparentemente protetti dalla fede e dalla preghiera, viene mantenuto per lo più uno stile di vita più sano, con una notevole riduzione di molti fattori di rischio (alcool, fumo, attività sessuale) e un'alimentazione più equilibrata.
Il disordine morale e spirituale e il peccato sono sempre stati considerati dalle chiese un fattore predisponente se non causale sia delle malattie fisiche che, soprattutto, dei disordini mentali e delle condotte antisociali. D'altra parte, in tutte le religioni, molte delle prescrizioni salutiste e alimentari si basano su dei presupposti dottrinali piuttosto che medici, e la loro trasgressione è considerata come responsabile di epidemie e malattie, negando o minimizzando l'azione casuale di fattori esterni.
Per saperne di piu:
- Albertin, M. "La fede fa guarire?", Scienza & Paranormale 25, 1999, pp. 8-9.
Breve intervento nella rubrica "Il terzo occhio" che riporta i dati salienti di uno studio pubblicato su Lancet. Vengono in particolare segnalati la inconcludenza degli studi pubblicati al riguardo e il pericolo, comune a tutte le medicine alternative, che concezioni arbitrarie distolgano i malati da un approccio terapeutico convalidato ed adeguato ai reali problemi. - Harris, W. S. et al. "A randomized, controlled trial of the effects of remote, intercessory prayer on outcomes in Patients admitted to the coronary care unit", Archives of internal medicine, vol. 159, n. 19, 1999, pp. 2273-2278.
Uno studio che ha suscitato molti commenti negativi (per gli errori metodologici e l'arbitrarietà delle conclusioni) e parecchie polemiche (di natura etica), in parte ospitati successivamente sulla stessa rivista.