Il cervello dell’uomo è un organo meraviglioso, frutto di un progressivo assemblaggio di atomi e molecole che hanno portato alla costruzione di una centralina straordinaria che dirige ogni nostro movimento e regola ogni decisione, emozione e ragionamento della nostra vita. Un organo altamente specializzato con un numero astronomico di connessioni e con un sistema di interazione molto complesso e continuo: due emisferi in perpetuo collegamento in cui ogni pezzo dell’ingranaggio svolge una funzione autonoma, ma dove è il cablaggio delle parti a costituire l’intero meccanismo di funzionamento.
In che modo si è formato il nostro cervello? Cosa succede se si ledono alcune zone cerebrali che determinano comportamenti e decisioni? Come funziona l’interpretazione dei nostri ricordi? Sono sempre attendibili? Il cervello utilizza sempre il 100% delle proprie capacità? Ha senso parlare di fenomeni paranormali? Oppure questi rappresentano una contraddizione in termini? Un grandissimo progetto di ricerca, coordinato dal Politecnico di Losanna, potrà un giorno non lontano darci maggiori informazioni su come curare alcune patologie legate al sistema nervoso centrale e che sono fortemente invalidanti sia a livello personale sia a livello sociale.
Per affrontare questi temi e altri argomenti connessi ho incontrato il celebre giornalista e divulgatore scientifico Piero Angela, autore del recente libro Viaggio dentro la mente, Mondadori, pp. 198, 18.00 €.
Per usare le sue parole potremmo dire che il cervello è un pezzetto di universo in grado di vedere, sentire, ragionare, capace di voltarsi indietro nel passato per capire la propria origine. Possiamo vedere dunque questa macchina straordinaria come un universo formato, non da galassie e da stelle, ma da miliardi di neuroni (oltre cento miliardi) e da meccanismi complessi che ne regolano il funzionamento?
«Sì, diciamo che è il risultato di una lunga evoluzione durata oltre 13 miliardi di anni: una evoluzione fisica, prima di tutto, che riguarda la nascita dell’Universo, poi chimica, biologica e infine neurologica e culturale. Il cervello è il risultato di questo progressivo montaggio di atomi e molecole che hanno portato a questo straordinario organo, di un chilo e mezzo di neuroni, che abbiamo dentro la testa».
Vogliamo sfatare un mito? Più che parlare di un emisfero razionale e di uno irrazionale, potremmo parlare di una parte specializzata nell’analisi e una nella sintesi? Tenendo conto naturalmente delle profonde interazioni e collegamenti tra le due parti.
«Questo è quello che si dice per semplificare. Come lei ha detto l’interazione tra le due parti è essenziale e continua, e quindi la nostra personalità e le nostre scelte derivano dall’azione complessiva non solo delle zone corticali ma di tutto il cervello e dal coinvolgimento delle varie aree, compreso il corpo. È molto importante il ruolo della corteccia, che è la parte più raffinata, ma è l’insieme del cervello che determina in definitiva il nostro comportamento».
Nel libro lei ricorda il caso di un minatore americano addetto alla costruzione di una ferrovia, Phineas Gage, che nel settembre del 1848, mentre collocava una carica, ebbe un incidente: la roccia esplose e la barra che stava utilizzando lo trafisse da sotto lo zigomo alla calotta cranica, attraversandogli il cervello. Si salvò, ma i danni riportati in alcune aree cerebrali gli cambiarono completamente il carattere, trasformandolo in una persona scortese e aggressiva.
«Qui si vede come questa orologeria che abbiamo dentro il cervello sia molto delicata: se si rompono alcuni meccanismi si producono delle distorsioni nel comportamento. Questo caso è stato molto utile ai ricercatori per cominciare a definire le aree coinvolte nelle varie funzioni».
Potremmo usare la metafora della struttura secondo il concetto antropologico prodotto da Claude Lèvi-Strauss, secondo cui basta che venga meno una parte o che essa non funzioni per comprometterne l’intero funzionamento e il suo ingranaggio.
«Certo. Ci sono tante aree specializzate, che però possono funzionare solo attraverso il collegamento con le altre. È come un’automobile in cui una parte da sola non può far niente: ogni pezzo dell’ingranaggio è importante nel sistema, ma deve funzionare in collegamento con gli altri pezzi. Se la macchina ha un guasto da qualche parte si compromettono l’andamento e le prestazioni dell’intera automobile».
Soffermiamoci ora sulla memoria. Il processo di archiviazione dei dati è piuttosto complesso e vi sono ancora meccanismi da chiarire. Ma sappiamo oggi che la memoria non funziona in modo riproduttivo (cioè come una registrazione da rivedere) e che impulsi e codici che arrivano nei vari archivi di raccolta vengono poi ricostruiti e interpretati per farci “vedere” il nostro “teatrino mentale”, per usare una sua felice espressione. Sappiamo che addirittura è possibile impiantare un falso ricordo. Insomma le testimonianze basate sui ricordi, soprattutto a distanza di tempo, possono non essere attendibili?
«Le nostre memorie sono valide e funzionano naturalmente, ma entro certi limiti. In certi casi possono essere fallaci. Per esempio in certi casi giudiziari le persone possono essere influenzate dal modo in cui vengono interrogate. Questo perché come lei diceva la memoria non funziona come un registratore che permette di riascoltare la voce. La memoria è il risultato di una serie di frammenti disseminati (o forse di “parametri”) che ogni volta vengono rimontati e richiamati dalla persona; e quindi il ricordo può essere fallace perché influenzato da vari fattori del momento».
E si può cadere in autoinganno anche in buona fede. Questo meccanismo può trovarsi alla base di testimonianze di persone che asseriscono, per esempio, di aver avvistato un UFO o addirittura aver incontrato abitanti di un altro pianeta.
«Beh... in questo caso allora non siamo più nella fisiologia ma nella patologia...».
Una parte molto interessante e istruttiva riguarda i presunti poteri sovrannaturali del nostro cervello. Per chi non lo avesse ancora letto, mi permetto di ricordare un libro fondamentale che Lei ha scritto qualche anno fa. Mi riferisco al “Viaggio nel mondo del paranormale”, che è diventato un percorso fondamentale per chi studia seriamente questi fenomeni e vuole comprenderli. Ebbene, un credo popolare sostiene che noi utilizzeremmo soltanto il 10% del nostro cervello e questo spiegherebbe alcuni fenomeni tra cui la telepatia, la telecinesi, la lettura dei libri chiusi e altre straordinarie capacità. Le cose, in realtà, stanno diversamente?
«Come ho scritto nel libro, in realtà, noi usiamo sempre il cento per cento delle nostre potenzialità. Ho fatto l’esempio del nuotatore principiante che usa tutte le sue capacità in gara, dando il massimo di se stesso. Altrettanto fa ogni altro atleta che gareggia (nella categoria juniores oppure olimpica) dando il cento per cento di sé. Così è per il nostro cervello, alle diverse età, e in diversi momenti. Non abbiamo un serbatoio dal quale attingiamo solo il 10%, mentre l’altro 90% contiene facoltà straordinarie, quelle che produrrebbero, tra l’altro, prestazioni paranormali.
Per quanto riguarda i cosiddetti fenomeni paranormali, la regola è molto semplice: bisogna provarli. Non ha senso formulare teorie se manca il fenomeno. Una volta non si sapeva cosa fosse il fulmine: però esisteva e bruciava gli alberi, a volte anche delle persone. Non c’era la spiegazione, ma esisteva il fenomeno. In questi casi, invece, non c’è proprio il fenomeno. I fenomeni cosiddetti paranormali in realtà non sono mai stati osservati in condizioni controllate, quindi è del tutto inutile creare delle teorie sulla telepatia, sulla chiaroveggenza se poi queste cose non sono mai state osservate sotto controlli. È una vera contraddizione».
Quando i controlli sono zero i fenomeni tendono al cento e quando i controlli sono cento i fenomeni tendono allo zero. Alcuni ricordano Uri Geller che fu esaminato negli anni Settanta allo Stanford Research Institute da due parapsicologi, Russel Targ e Harold Puthoff, credenti nel paranormale e che sperarono di trovare in lui un autentico fenomeno extra-natura, e pensarono addirittura di esserci riusciti.
«È una lotta impari tra lo scienziato e il prestigiatore. Il primo, infatti, non è esperto e sta misurando un fenomeno che si comporta diversamente da quelli scientifici che conosce. Semplicemente non è competente, come invece lo può essere un prestigiatore».
Uno dei primi ad occuparsene fu James Randi...
«Randi è stato uno straordinario indagatore che ha mostrato come gli scienziati possono tutelarsi da eventuali inganni valendosi della collaborazione di prestigiosi esperti».
Nell’ultima parte del libro Lei ci parla di un grandissimo progetto di ricerca internazionale da un miliardo di euro in dieci anni, finanziato per la metà dalla Comunità Europea. Un progetto molto ambizioso coordinato dal politecnico di Losanna al quale prenderanno parte oltre 80 istituti internazionali. Vuole anticipare di cosa si tratta?
«È un’occasione per concentrare tutti gli sforzi nella ricerca sul cervello, con l’ambizione di capire meglio questo organo straordinario. Ma c’è anche, e soprattutto, una ragione pratica, perché ci sono malattie che si annidano nel cervello che sono fortemente penalizzanti, anche dal punto di vista sociale ed economico. Pensiamo, per esempio, al morbo di Parkinson e soprattutto al morbo di Alzheimer. Visto l’attuale invecchiamento della popolazione lo studio del cervello diventa importante per capire come prevenire e curare certe patologie che sono costosissime.
Anni fa fu fatta una ricerca da parte del CNR, per capire i vari problemi posti dal crescente invecchiamento della popolazione. I risultati furono abbastanza sconcertanti: e cioè che se tutti i tumori venissero guariti la spesa sanitaria aumenterebbe del 6%, perché ci sarebbero più persone anziane da curare. Se l’Alzheimer fosse debellato invece la spesa sanitaria diminuirebbe del 6%. Questo è uno studio che risale a vari anni fa. Oggi le cifre certamente sarebbero superiori. Quindi diciamo paradossalmente che se si trovano rimedi efficaci per le malattie cardiocircolatorie e i tumori, la spesa sanitaria aumenta moltissimo. Guarire l’Alzheimer vuol dire risparmiare su un’assistenza che copre le 24 ore, e che oggi è supportata nella maggior parte dei casi dalle famiglie, ma che sempre più inciderà sulla collettività. Pensiamo inoltre a malattie come la depressione e ai problemi che provoca non solo all’individuo ma anche alla società».
Questi dati aiutano a capire meglio l’importanza di ricerche in questo campo. E ora una domanda sulla televisione. Di recente su RAI UNO (Storie Vere), e precisamente il 26 dicembre scorso, è stato ospite della trasmissione un sensitivo, tale Craig Warwick con alcuni ospiti, ma nessuno che andasse a costituire un controcanto, nessuno del CICAP, per esempio. Non ritiene che questi programmi di intrattenimento, anche se in onda in una fascia d’orario mattutina, debbano anche educare e informare correttamente, soprattutto perché parliamo della televisione di Stato?
«La risposta ovviamente è sì. È una lunga battaglia, che molti di noi conducono da tempo tra una diffusa insensibilità. C’è molta poca attenzione nel controllare le cose che vengono dette. Inoltre esiste un problema generale di cultura scientifica in Italia. E questo contribuisce a rafforzare le credenze in fenomeni straordinari».
E questo avviene anche perché in Italia abbiamo prevalentemente una cultura filosofica e letteraria.
«Sì, ma negli altri Paesi non è molto diverso. Il “pensiero magico” ha molta presa sulla psicologia umana e ha un potere aggregante molto forte».
Un’ultima domanda che La riguarda. La rivedremo in televisione con il consueto appuntamento di Superquark in estate? Oppure ci sono sorprese per qualche speciale all’inizio del nuovo anno?
«Ci sono due speciali che ho finito di girare da poco e che stiamo montando. Sono due speciali collegati che si intitoleranno 13 miliardi di anni. È la storia dell’Universo e della vita sulla Terra, che ripercorre la storia del Big Bang fino al cervello; riassumendo un po’ tutto quello che è successo nel Cosmo e poi sulla Terra».
In che modo si è formato il nostro cervello? Cosa succede se si ledono alcune zone cerebrali che determinano comportamenti e decisioni? Come funziona l’interpretazione dei nostri ricordi? Sono sempre attendibili? Il cervello utilizza sempre il 100% delle proprie capacità? Ha senso parlare di fenomeni paranormali? Oppure questi rappresentano una contraddizione in termini? Un grandissimo progetto di ricerca, coordinato dal Politecnico di Losanna, potrà un giorno non lontano darci maggiori informazioni su come curare alcune patologie legate al sistema nervoso centrale e che sono fortemente invalidanti sia a livello personale sia a livello sociale.
Per affrontare questi temi e altri argomenti connessi ho incontrato il celebre giornalista e divulgatore scientifico Piero Angela, autore del recente libro Viaggio dentro la mente, Mondadori, pp. 198, 18.00 €.
Per usare le sue parole potremmo dire che il cervello è un pezzetto di universo in grado di vedere, sentire, ragionare, capace di voltarsi indietro nel passato per capire la propria origine. Possiamo vedere dunque questa macchina straordinaria come un universo formato, non da galassie e da stelle, ma da miliardi di neuroni (oltre cento miliardi) e da meccanismi complessi che ne regolano il funzionamento?
«Sì, diciamo che è il risultato di una lunga evoluzione durata oltre 13 miliardi di anni: una evoluzione fisica, prima di tutto, che riguarda la nascita dell’Universo, poi chimica, biologica e infine neurologica e culturale. Il cervello è il risultato di questo progressivo montaggio di atomi e molecole che hanno portato a questo straordinario organo, di un chilo e mezzo di neuroni, che abbiamo dentro la testa».
Vogliamo sfatare un mito? Più che parlare di un emisfero razionale e di uno irrazionale, potremmo parlare di una parte specializzata nell’analisi e una nella sintesi? Tenendo conto naturalmente delle profonde interazioni e collegamenti tra le due parti.
«Questo è quello che si dice per semplificare. Come lei ha detto l’interazione tra le due parti è essenziale e continua, e quindi la nostra personalità e le nostre scelte derivano dall’azione complessiva non solo delle zone corticali ma di tutto il cervello e dal coinvolgimento delle varie aree, compreso il corpo. È molto importante il ruolo della corteccia, che è la parte più raffinata, ma è l’insieme del cervello che determina in definitiva il nostro comportamento».
Nel libro lei ricorda il caso di un minatore americano addetto alla costruzione di una ferrovia, Phineas Gage, che nel settembre del 1848, mentre collocava una carica, ebbe un incidente: la roccia esplose e la barra che stava utilizzando lo trafisse da sotto lo zigomo alla calotta cranica, attraversandogli il cervello. Si salvò, ma i danni riportati in alcune aree cerebrali gli cambiarono completamente il carattere, trasformandolo in una persona scortese e aggressiva.
«Qui si vede come questa orologeria che abbiamo dentro il cervello sia molto delicata: se si rompono alcuni meccanismi si producono delle distorsioni nel comportamento. Questo caso è stato molto utile ai ricercatori per cominciare a definire le aree coinvolte nelle varie funzioni».
Potremmo usare la metafora della struttura secondo il concetto antropologico prodotto da Claude Lèvi-Strauss, secondo cui basta che venga meno una parte o che essa non funzioni per comprometterne l’intero funzionamento e il suo ingranaggio.
«Certo. Ci sono tante aree specializzate, che però possono funzionare solo attraverso il collegamento con le altre. È come un’automobile in cui una parte da sola non può far niente: ogni pezzo dell’ingranaggio è importante nel sistema, ma deve funzionare in collegamento con gli altri pezzi. Se la macchina ha un guasto da qualche parte si compromettono l’andamento e le prestazioni dell’intera automobile».
Soffermiamoci ora sulla memoria. Il processo di archiviazione dei dati è piuttosto complesso e vi sono ancora meccanismi da chiarire. Ma sappiamo oggi che la memoria non funziona in modo riproduttivo (cioè come una registrazione da rivedere) e che impulsi e codici che arrivano nei vari archivi di raccolta vengono poi ricostruiti e interpretati per farci “vedere” il nostro “teatrino mentale”, per usare una sua felice espressione. Sappiamo che addirittura è possibile impiantare un falso ricordo. Insomma le testimonianze basate sui ricordi, soprattutto a distanza di tempo, possono non essere attendibili?
«Le nostre memorie sono valide e funzionano naturalmente, ma entro certi limiti. In certi casi possono essere fallaci. Per esempio in certi casi giudiziari le persone possono essere influenzate dal modo in cui vengono interrogate. Questo perché come lei diceva la memoria non funziona come un registratore che permette di riascoltare la voce. La memoria è il risultato di una serie di frammenti disseminati (o forse di “parametri”) che ogni volta vengono rimontati e richiamati dalla persona; e quindi il ricordo può essere fallace perché influenzato da vari fattori del momento».
E si può cadere in autoinganno anche in buona fede. Questo meccanismo può trovarsi alla base di testimonianze di persone che asseriscono, per esempio, di aver avvistato un UFO o addirittura aver incontrato abitanti di un altro pianeta.
«Beh... in questo caso allora non siamo più nella fisiologia ma nella patologia...».
Una parte molto interessante e istruttiva riguarda i presunti poteri sovrannaturali del nostro cervello. Per chi non lo avesse ancora letto, mi permetto di ricordare un libro fondamentale che Lei ha scritto qualche anno fa. Mi riferisco al “Viaggio nel mondo del paranormale”, che è diventato un percorso fondamentale per chi studia seriamente questi fenomeni e vuole comprenderli. Ebbene, un credo popolare sostiene che noi utilizzeremmo soltanto il 10% del nostro cervello e questo spiegherebbe alcuni fenomeni tra cui la telepatia, la telecinesi, la lettura dei libri chiusi e altre straordinarie capacità. Le cose, in realtà, stanno diversamente?
«Come ho scritto nel libro, in realtà, noi usiamo sempre il cento per cento delle nostre potenzialità. Ho fatto l’esempio del nuotatore principiante che usa tutte le sue capacità in gara, dando il massimo di se stesso. Altrettanto fa ogni altro atleta che gareggia (nella categoria juniores oppure olimpica) dando il cento per cento di sé. Così è per il nostro cervello, alle diverse età, e in diversi momenti. Non abbiamo un serbatoio dal quale attingiamo solo il 10%, mentre l’altro 90% contiene facoltà straordinarie, quelle che produrrebbero, tra l’altro, prestazioni paranormali.
Per quanto riguarda i cosiddetti fenomeni paranormali, la regola è molto semplice: bisogna provarli. Non ha senso formulare teorie se manca il fenomeno. Una volta non si sapeva cosa fosse il fulmine: però esisteva e bruciava gli alberi, a volte anche delle persone. Non c’era la spiegazione, ma esisteva il fenomeno. In questi casi, invece, non c’è proprio il fenomeno. I fenomeni cosiddetti paranormali in realtà non sono mai stati osservati in condizioni controllate, quindi è del tutto inutile creare delle teorie sulla telepatia, sulla chiaroveggenza se poi queste cose non sono mai state osservate sotto controlli. È una vera contraddizione».
Quando i controlli sono zero i fenomeni tendono al cento e quando i controlli sono cento i fenomeni tendono allo zero. Alcuni ricordano Uri Geller che fu esaminato negli anni Settanta allo Stanford Research Institute da due parapsicologi, Russel Targ e Harold Puthoff, credenti nel paranormale e che sperarono di trovare in lui un autentico fenomeno extra-natura, e pensarono addirittura di esserci riusciti.
«È una lotta impari tra lo scienziato e il prestigiatore. Il primo, infatti, non è esperto e sta misurando un fenomeno che si comporta diversamente da quelli scientifici che conosce. Semplicemente non è competente, come invece lo può essere un prestigiatore».
Uno dei primi ad occuparsene fu James Randi...
«Randi è stato uno straordinario indagatore che ha mostrato come gli scienziati possono tutelarsi da eventuali inganni valendosi della collaborazione di prestigiosi esperti».
Nell’ultima parte del libro Lei ci parla di un grandissimo progetto di ricerca internazionale da un miliardo di euro in dieci anni, finanziato per la metà dalla Comunità Europea. Un progetto molto ambizioso coordinato dal politecnico di Losanna al quale prenderanno parte oltre 80 istituti internazionali. Vuole anticipare di cosa si tratta?
«È un’occasione per concentrare tutti gli sforzi nella ricerca sul cervello, con l’ambizione di capire meglio questo organo straordinario. Ma c’è anche, e soprattutto, una ragione pratica, perché ci sono malattie che si annidano nel cervello che sono fortemente penalizzanti, anche dal punto di vista sociale ed economico. Pensiamo, per esempio, al morbo di Parkinson e soprattutto al morbo di Alzheimer. Visto l’attuale invecchiamento della popolazione lo studio del cervello diventa importante per capire come prevenire e curare certe patologie che sono costosissime.
Anni fa fu fatta una ricerca da parte del CNR, per capire i vari problemi posti dal crescente invecchiamento della popolazione. I risultati furono abbastanza sconcertanti: e cioè che se tutti i tumori venissero guariti la spesa sanitaria aumenterebbe del 6%, perché ci sarebbero più persone anziane da curare. Se l’Alzheimer fosse debellato invece la spesa sanitaria diminuirebbe del 6%. Questo è uno studio che risale a vari anni fa. Oggi le cifre certamente sarebbero superiori. Quindi diciamo paradossalmente che se si trovano rimedi efficaci per le malattie cardiocircolatorie e i tumori, la spesa sanitaria aumenta moltissimo. Guarire l’Alzheimer vuol dire risparmiare su un’assistenza che copre le 24 ore, e che oggi è supportata nella maggior parte dei casi dalle famiglie, ma che sempre più inciderà sulla collettività. Pensiamo inoltre a malattie come la depressione e ai problemi che provoca non solo all’individuo ma anche alla società».
Questi dati aiutano a capire meglio l’importanza di ricerche in questo campo. E ora una domanda sulla televisione. Di recente su RAI UNO (Storie Vere), e precisamente il 26 dicembre scorso, è stato ospite della trasmissione un sensitivo, tale Craig Warwick con alcuni ospiti, ma nessuno che andasse a costituire un controcanto, nessuno del CICAP, per esempio. Non ritiene che questi programmi di intrattenimento, anche se in onda in una fascia d’orario mattutina, debbano anche educare e informare correttamente, soprattutto perché parliamo della televisione di Stato?
«La risposta ovviamente è sì. È una lunga battaglia, che molti di noi conducono da tempo tra una diffusa insensibilità. C’è molta poca attenzione nel controllare le cose che vengono dette. Inoltre esiste un problema generale di cultura scientifica in Italia. E questo contribuisce a rafforzare le credenze in fenomeni straordinari».
E questo avviene anche perché in Italia abbiamo prevalentemente una cultura filosofica e letteraria.
«Sì, ma negli altri Paesi non è molto diverso. Il “pensiero magico” ha molta presa sulla psicologia umana e ha un potere aggregante molto forte».
Un’ultima domanda che La riguarda. La rivedremo in televisione con il consueto appuntamento di Superquark in estate? Oppure ci sono sorprese per qualche speciale all’inizio del nuovo anno?
«Ci sono due speciali che ho finito di girare da poco e che stiamo montando. Sono due speciali collegati che si intitoleranno 13 miliardi di anni. È la storia dell’Universo e della vita sulla Terra, che ripercorre la storia del Big Bang fino al cervello; riassumendo un po’ tutto quello che è successo nel Cosmo e poi sulla Terra».