«Nel dicembre dell’anno 1873 la nave inglese Dei Gratia faceva rotta su Gibilterra con a rimorchio il brigantino abbandonato Marie Celeste. Diverse circostanze, connesse con la comparsa e le condizioni di questo vascello abbandonato, provocarono a quel tempo un notevole scalpore e suscitarono una curiosità che non fu mai appagata. Sul diario di bordo non c’è alcun accenno a cattivo tempo. Non è stata rinvenuta traccia di lotta o di violenza, nulla che possa spiegare la ragione della scomparsa dell’equipaggio. Come prova della mitezza del tempo facciamo notare che un rocchetto di seta è stato trovato in piedi sulla macchina per cucire. Le scialuppe erano intatte e issate sulla gru». Altri hanno fatto notare come i soccorritori del Dei Gratia, giunti a bordo del brigantino, abbiano trovato una zuppa ancora calda nei piatti e un sigaro acceso. Ulteriori indizi che la nave era stata abbandonata da poco per qualche ragione inesplicabile.
È così che viene spesso ripetuta la storia della Mary Celeste (questo il suo nome corretto). I suoi occupanti sarebbero stati, a seconda dei casi, vittime di un attacco pirata, divorati dagli squali, sbranati da mostri marini, trasportati in una diversa dimensione temporale o rapiti dagli alieni. La verità è probabilmente più terribile.
Le parole con cui si apre questo articolo furono scritte da Arthur Conan Doyle nel 1884, tre anni prima di esordire nella letteratura con il personaggio di Sherlock Holmes. Quello di Doyle, pubblicato dalla Cornhill magazine, era in realtà solo un racconto ispirato a un fatto vero e non aveva pretese di autenticità. Tuttavia, da allora, chi racconta la vicenda della Mary Celeste prende per oro colato il resoconto di Doyle.
Nella realtà, il brigantino Mary Celeste, che in origine si chiamava Amazon, salpò da New York il 7 novembre 1872, diretto a Genova, con un carico di 1701 barili di alcol industriale. A comandarlo c’era il capitano Benjamin Spooner Briggs, comproprietario della nave insieme all’armatore James H. Winchester, che imbarcò anche la moglie e la figlia di due anni Sophia Matilda, oltre a due aiuti e quattro marinai.
Circa un mese dopo, la Dei Gratia, un altro brigantino mercantile che aveva lasciato gli ormeggi nel porto di New York per dirigersi verso il Mediterraneo, venne a trovarsi a 350 miglia da Santa Maria, la più orientale delle Azzorre. Era il 4 dicembre e, dopo avere incontrato forti venti e mare grosso per gran parte del viaggio, quella mattina le onde si erano calmate e il sole filtrava tra le nubi.
Il capitano David Reed Morehouse era sul ponte e, verso le 13, notò una vela a cinque miglia di distanza, a destra rispetto alla prua. La osservò con il cannocchiale e notò qualcosa di insolito: l’imbarcazione tendeva a straorzare e navigava malamente. Quando furono più vicini, si accorse che la vela maestra era ammainata e la nave procedeva con le sole vele sussidiarie. La vela di gabbia superiore era stata spazzata via dal vento e quella inferiore era in pessimo stato.
La cosa più strana, però, era che in coperta non si vedeva nessuno: né al timone né di vedetta. Era chiaro che la nave era alla deriva. Quando furono abbastanza vicini da leggere il nome dell’imbarcazione, Morehouse ricordò che a comandare la Mary Celeste era il suo amico Biggs, con cui aveva cenato poco tempo prima a New York.
Chiamò ad alta voce e, quando nessuno rispose, incaricò il primo aiutante, Oliver Deveau, di prendere due uomini e raggiungere il brigantino con una scialuppa per dare un’occhiata.
Deveau e i suoi uomini passarono circa mezz’ora a bordo. Non c’era nessuno. La nave era in discrete condizioni, anche se nella stiva si era raccolto circa un metro d’acqua. Nulla che le pompe non avrebbero potuto risolvere in breve tempo. Rinvennero abbondanti riserve di cibo e acqua potabile in cambusa, ma nulla di cotto. Dunque, niente minestre calde, sigari accesi o rocchetti in bilico. Il letto del comandante era disfatto e gli indumenti erano gettati all’aria, tutti gli oggetti personali però erano al loro posto, mentre mancavano una scialuppa di salvataggio e alcuni strumenti di navigazione. Una cima strappata pendeva in mare dalla poppa. L’ultima annotazione sul libro di bordo era del 7 novembre, riferiva di forti venti e dell’avvistamento di Santa Maria. Probabilmente, la nave aveva continuato la sua rotta regolare per qualche giorno, dopo il 7, e poi era tornata indietro.
Morehouse ascoltò il resoconto del suo aiuto, che gli proponeva di restare a bordo del Mary Celeste con altri due uomini e portare il vascello fino a Gibilterra. Si sarebbe potuta reclamare una somma ragguardevole per il salvataggio della nave.
Il comandante esitò, temeva che il tempo peggiorasse e gli sarebbe potuto servire l’aiuto di tutto l’equipaggio. Alla fine, il senso degli affari di Morehouse ebbe la meglio. Le due navi attraccarono insieme a Gibilterra il 13 dicembre. E un minuto dopo iniziarono le polemiche.
Il Procuratore Generale di Gibilterra, Frederick Solly Flood, sequestrò la nave e aprì un’inchiesta. La sua prima ipotesi fu che l’equipaggio si fosse ubriacato con l’alcol a bordo e avesse massacrato gli ufficiali, la signora Briggs e la piccola Sophia. Era anche stata trovata a bordo una spada macchiata di rosso. Tuttavia, l’ipotesi fu abbandonata quando si scoprì che le macchie sulla spada erano di ruggine e, soprattutto, che con l’alcol a bordo sarebbe stato più facile suicidarsi che non ubriacarsi, visto che si trattava di alcol puro per uso industriale.
L’inventivo Procuratore immaginò allora un altro scenario. Briggs e Morehouse si erano messi d’accordo per defraudare Winchester, il proprietario della nave. Briggs aveva ucciso l’equipaggio e poi era stato raccolto da Morehouse. Una volta agguantata la ricompensa per il salvataggio, i due capitani se la sarebbero spartita. Il problema, qui, era che Briggs stesso era comproprietario del brigantino e la ricompensa non gli avrebbe risarcito che una parte del suo investimento.
Flood non si rassegnò e arrivò ad accusare Morehouse e il suo equipaggio di avere ucciso gli occupanti della Mary Celeste per riscuotere la ricompensa. Mancando ogni prova, alla fine l’inchiesta fu chiusa ma il compenso assegnato dai periti a Morehouse fu di soli 8.528 dollari, contro gli 80.000 che speravano di ricavare.
Fu solo qualche anno dopo, quando Conan Doyle pubblicò il suo racconto, che la storia della Mary Celeste tornò a far parlare di sé e le ipotesi su che cosa realmente fosse accaduto al suo equipaggio fiorirono.
Ci fu chi immaginò che l’aiutante capo di Briggs fosse impazzito e avesse ucciso tutti, per poi suicidarsi o fuggire in Sud Africa su un altro vascello. In realtà, l’ufficiale, Albert G. Richardson, era un cittadino rispettabile del New England e un reduce decorato della Guerra Civile.
Ai primi del ‘900 fu ipotizzato che l’equipaggio fosse stato spazzato via da una piovra gigante che aveva attaccato la nave. Ma una piovra del genere, ammesso che esista, avrebbe dovuto portarsi via anche la scialuppa di salvataggio, gli strumenti di navigazione e le carte del capitano, lasciando tutto il resto al suo posto. Piuttosto improbabile.
Nel 1913 la rivista Strand, la stessa che ospitava i racconti di Sherlock Holmes, pubblicò quelle che sembravano essere le memorie di un sopravvissuto della Mary Celeste: tale Abel Fosdyk, amico di Briggs e imbarcato di nascosto per fuggire dall’America. Fosdyk raccontava nei suoi diari che Briggs si era tuffato in acqua vestito, per una sfida coi marinai, mentre l’equipaggio e la sua famiglia lo osservavano da una piattaforma precaria. Quando questa si ruppe, finirono tutti in acqua. Proprio in quel momento sopraggiunse una famiglia di squali che divorò tutti quanti. Tranne Fosdyk che, aggrappato a un’asse di legno, galleggiò per centinaia di miglia fino a ritrovarsi su una spiaggia africana.
Oltre che assolutamente improbabile, il resoconto è falso perché gran parte dei dettagli forniti dal narratore sulla nave e il suo equipaggio sono sbagliati.
Nel 1929, Laurence Keating affermò nel suo libro The Great Mary Celeste Hoax di avere rintracciato un altro sopravvissuto della Mary Celeste, tale John Pemberton, il cuoco della nave. Nel suo racconto, Pemberton sostiene che durante una tempesta, la moglie di Briggs era stata schiacciata dal pianoforte che si era voluta portare sulla nave. Era nata una disputa tra il capitano e chi non aveva fissato il piano come si doveva e Briggs aveva avuto la peggio. Quindi, gran parte dell’equipaggio era sceso a terra a Santa Maria, e i tre rimasti a bordo, più l’inconsapevole Pemberton, avevano rubarto il brigantino. Il piano, stabilito in precedenza, era quello di incontrarsi al largo con Morehouse del Dei Gratia, fingere di far parte del suo equipaggio e poi dividersi la ricompensa per il salvataggio.
Ma anche questa storia era una vera e propria “hoax” come diceva il titolo del libro, una beffa. Pemberton non esisteva, il cuoco inoltre era tedesco, e Keating si era inventato tutto per rendere più accattivante il suo racconto di fantasia.
Come andarono allora veramente le cose? Ogni ipotesi deve tenere conto del fatto che la scialuppa mancava, dunque la nave era stata abbandonata volontariamente. Il letto disfatto e i vestiti gettati a terra suggeriscono che l’abbandono avvenne di fretta, ma non fu generato dal panico, visto che gli occupanti riuscirono a portarsi sulla barca alcuni documenti e strumenti di navigazione. Il fatto che non presero oggetti personali e nemmeno gli impermeabili o i salvagente suggerisce che l’equipaggio si aspettava di tornare sulla nave.
Perché allora lasciarla? Alcuni suggerirono che il cibo era avvelenato da ergot, un fungo che aggredisce la segale e provoca allucinazioni. Forse l’equipaggio saltò in mare in preda al delirio? Non è possibile, visto che i marinai del Dei Gratia si nutrirono dello stesso cibo finché non portarono la nave a Gibilterra.
La Mary Celeste non era danneggiata, era forse possibile qualche altro pericolo a bordo? In realtà sì. Poiché alcuni barili del carico erano danneggiati, il vapore fuoriuscito avrebbe potuto accumularsi e provocare un’esplosione. Secondo lo storico Conrad Byers, Briggs, che non aveva mai trasportato un carico tanto pericoloso, colto dal panico avrebbe ordinato di calare la scialuppa in mare in attesa che il vapore si disperdesse. La scialuppa sarebbe stata legata alla Mary Celeste, ma il tempo cambiò rapidamente, e il mare mosso strappò la cima vecchia e consunta. Si può solo immaginare l’orrore dei naufraghi che vedono la loro nave allontanarsi mentre il cielo si fa nero e le onde si fanno sempre più alte.
Si tratta dell’ipotesi ritenuta oggi più plausibile, certamente più credibile di chi ha suggerito che l’equipaggio sarebbe stato risucchiato da un vortice marino (che avrebbe però lasciato la nave intatta) o di chi ha immaginato Briggs, la sua famiglia e i suoi uomini vittime di un rapimento alieno.
Di sicuro, c’è solo che probabilmente non sapremo mai cosa accadde sulla Mary Celeste e questo resterà uno dei più discussi misteri del mare.
È così che viene spesso ripetuta la storia della Mary Celeste (questo il suo nome corretto). I suoi occupanti sarebbero stati, a seconda dei casi, vittime di un attacco pirata, divorati dagli squali, sbranati da mostri marini, trasportati in una diversa dimensione temporale o rapiti dagli alieni. La verità è probabilmente più terribile.
Una nave in mezzo al mare
Le parole con cui si apre questo articolo furono scritte da Arthur Conan Doyle nel 1884, tre anni prima di esordire nella letteratura con il personaggio di Sherlock Holmes. Quello di Doyle, pubblicato dalla Cornhill magazine, era in realtà solo un racconto ispirato a un fatto vero e non aveva pretese di autenticità. Tuttavia, da allora, chi racconta la vicenda della Mary Celeste prende per oro colato il resoconto di Doyle.
Nella realtà, il brigantino Mary Celeste, che in origine si chiamava Amazon, salpò da New York il 7 novembre 1872, diretto a Genova, con un carico di 1701 barili di alcol industriale. A comandarlo c’era il capitano Benjamin Spooner Briggs, comproprietario della nave insieme all’armatore James H. Winchester, che imbarcò anche la moglie e la figlia di due anni Sophia Matilda, oltre a due aiuti e quattro marinai.
Circa un mese dopo, la Dei Gratia, un altro brigantino mercantile che aveva lasciato gli ormeggi nel porto di New York per dirigersi verso il Mediterraneo, venne a trovarsi a 350 miglia da Santa Maria, la più orientale delle Azzorre. Era il 4 dicembre e, dopo avere incontrato forti venti e mare grosso per gran parte del viaggio, quella mattina le onde si erano calmate e il sole filtrava tra le nubi.
Il capitano David Reed Morehouse era sul ponte e, verso le 13, notò una vela a cinque miglia di distanza, a destra rispetto alla prua. La osservò con il cannocchiale e notò qualcosa di insolito: l’imbarcazione tendeva a straorzare e navigava malamente. Quando furono più vicini, si accorse che la vela maestra era ammainata e la nave procedeva con le sole vele sussidiarie. La vela di gabbia superiore era stata spazzata via dal vento e quella inferiore era in pessimo stato.
La cosa più strana, però, era che in coperta non si vedeva nessuno: né al timone né di vedetta. Era chiaro che la nave era alla deriva. Quando furono abbastanza vicini da leggere il nome dell’imbarcazione, Morehouse ricordò che a comandare la Mary Celeste era il suo amico Biggs, con cui aveva cenato poco tempo prima a New York.
Chiamò ad alta voce e, quando nessuno rispose, incaricò il primo aiutante, Oliver Deveau, di prendere due uomini e raggiungere il brigantino con una scialuppa per dare un’occhiata.
Deveau e i suoi uomini passarono circa mezz’ora a bordo. Non c’era nessuno. La nave era in discrete condizioni, anche se nella stiva si era raccolto circa un metro d’acqua. Nulla che le pompe non avrebbero potuto risolvere in breve tempo. Rinvennero abbondanti riserve di cibo e acqua potabile in cambusa, ma nulla di cotto. Dunque, niente minestre calde, sigari accesi o rocchetti in bilico. Il letto del comandante era disfatto e gli indumenti erano gettati all’aria, tutti gli oggetti personali però erano al loro posto, mentre mancavano una scialuppa di salvataggio e alcuni strumenti di navigazione. Una cima strappata pendeva in mare dalla poppa. L’ultima annotazione sul libro di bordo era del 7 novembre, riferiva di forti venti e dell’avvistamento di Santa Maria. Probabilmente, la nave aveva continuato la sua rotta regolare per qualche giorno, dopo il 7, e poi era tornata indietro.
Morehouse ascoltò il resoconto del suo aiuto, che gli proponeva di restare a bordo del Mary Celeste con altri due uomini e portare il vascello fino a Gibilterra. Si sarebbe potuta reclamare una somma ragguardevole per il salvataggio della nave.
Il comandante esitò, temeva che il tempo peggiorasse e gli sarebbe potuto servire l’aiuto di tutto l’equipaggio. Alla fine, il senso degli affari di Morehouse ebbe la meglio. Le due navi attraccarono insieme a Gibilterra il 13 dicembre. E un minuto dopo iniziarono le polemiche.
Spazio alla fantasia
Il Procuratore Generale di Gibilterra, Frederick Solly Flood, sequestrò la nave e aprì un’inchiesta. La sua prima ipotesi fu che l’equipaggio si fosse ubriacato con l’alcol a bordo e avesse massacrato gli ufficiali, la signora Briggs e la piccola Sophia. Era anche stata trovata a bordo una spada macchiata di rosso. Tuttavia, l’ipotesi fu abbandonata quando si scoprì che le macchie sulla spada erano di ruggine e, soprattutto, che con l’alcol a bordo sarebbe stato più facile suicidarsi che non ubriacarsi, visto che si trattava di alcol puro per uso industriale.
L’inventivo Procuratore immaginò allora un altro scenario. Briggs e Morehouse si erano messi d’accordo per defraudare Winchester, il proprietario della nave. Briggs aveva ucciso l’equipaggio e poi era stato raccolto da Morehouse. Una volta agguantata la ricompensa per il salvataggio, i due capitani se la sarebbero spartita. Il problema, qui, era che Briggs stesso era comproprietario del brigantino e la ricompensa non gli avrebbe risarcito che una parte del suo investimento.
Flood non si rassegnò e arrivò ad accusare Morehouse e il suo equipaggio di avere ucciso gli occupanti della Mary Celeste per riscuotere la ricompensa. Mancando ogni prova, alla fine l’inchiesta fu chiusa ma il compenso assegnato dai periti a Morehouse fu di soli 8.528 dollari, contro gli 80.000 che speravano di ricavare.
Fu solo qualche anno dopo, quando Conan Doyle pubblicò il suo racconto, che la storia della Mary Celeste tornò a far parlare di sé e le ipotesi su che cosa realmente fosse accaduto al suo equipaggio fiorirono.
Ci fu chi immaginò che l’aiutante capo di Briggs fosse impazzito e avesse ucciso tutti, per poi suicidarsi o fuggire in Sud Africa su un altro vascello. In realtà, l’ufficiale, Albert G. Richardson, era un cittadino rispettabile del New England e un reduce decorato della Guerra Civile.
Ai primi del ‘900 fu ipotizzato che l’equipaggio fosse stato spazzato via da una piovra gigante che aveva attaccato la nave. Ma una piovra del genere, ammesso che esista, avrebbe dovuto portarsi via anche la scialuppa di salvataggio, gli strumenti di navigazione e le carte del capitano, lasciando tutto il resto al suo posto. Piuttosto improbabile.
Sopravvissuti?
Nel 1913 la rivista Strand, la stessa che ospitava i racconti di Sherlock Holmes, pubblicò quelle che sembravano essere le memorie di un sopravvissuto della Mary Celeste: tale Abel Fosdyk, amico di Briggs e imbarcato di nascosto per fuggire dall’America. Fosdyk raccontava nei suoi diari che Briggs si era tuffato in acqua vestito, per una sfida coi marinai, mentre l’equipaggio e la sua famiglia lo osservavano da una piattaforma precaria. Quando questa si ruppe, finirono tutti in acqua. Proprio in quel momento sopraggiunse una famiglia di squali che divorò tutti quanti. Tranne Fosdyk che, aggrappato a un’asse di legno, galleggiò per centinaia di miglia fino a ritrovarsi su una spiaggia africana.
Oltre che assolutamente improbabile, il resoconto è falso perché gran parte dei dettagli forniti dal narratore sulla nave e il suo equipaggio sono sbagliati.
Nel 1929, Laurence Keating affermò nel suo libro The Great Mary Celeste Hoax di avere rintracciato un altro sopravvissuto della Mary Celeste, tale John Pemberton, il cuoco della nave. Nel suo racconto, Pemberton sostiene che durante una tempesta, la moglie di Briggs era stata schiacciata dal pianoforte che si era voluta portare sulla nave. Era nata una disputa tra il capitano e chi non aveva fissato il piano come si doveva e Briggs aveva avuto la peggio. Quindi, gran parte dell’equipaggio era sceso a terra a Santa Maria, e i tre rimasti a bordo, più l’inconsapevole Pemberton, avevano rubarto il brigantino. Il piano, stabilito in precedenza, era quello di incontrarsi al largo con Morehouse del Dei Gratia, fingere di far parte del suo equipaggio e poi dividersi la ricompensa per il salvataggio.
Ma anche questa storia era una vera e propria “hoax” come diceva il titolo del libro, una beffa. Pemberton non esisteva, il cuoco inoltre era tedesco, e Keating si era inventato tutto per rendere più accattivante il suo racconto di fantasia.
Un mistero ancora aperto
Come andarono allora veramente le cose? Ogni ipotesi deve tenere conto del fatto che la scialuppa mancava, dunque la nave era stata abbandonata volontariamente. Il letto disfatto e i vestiti gettati a terra suggeriscono che l’abbandono avvenne di fretta, ma non fu generato dal panico, visto che gli occupanti riuscirono a portarsi sulla barca alcuni documenti e strumenti di navigazione. Il fatto che non presero oggetti personali e nemmeno gli impermeabili o i salvagente suggerisce che l’equipaggio si aspettava di tornare sulla nave.
Perché allora lasciarla? Alcuni suggerirono che il cibo era avvelenato da ergot, un fungo che aggredisce la segale e provoca allucinazioni. Forse l’equipaggio saltò in mare in preda al delirio? Non è possibile, visto che i marinai del Dei Gratia si nutrirono dello stesso cibo finché non portarono la nave a Gibilterra.
La Mary Celeste non era danneggiata, era forse possibile qualche altro pericolo a bordo? In realtà sì. Poiché alcuni barili del carico erano danneggiati, il vapore fuoriuscito avrebbe potuto accumularsi e provocare un’esplosione. Secondo lo storico Conrad Byers, Briggs, che non aveva mai trasportato un carico tanto pericoloso, colto dal panico avrebbe ordinato di calare la scialuppa in mare in attesa che il vapore si disperdesse. La scialuppa sarebbe stata legata alla Mary Celeste, ma il tempo cambiò rapidamente, e il mare mosso strappò la cima vecchia e consunta. Si può solo immaginare l’orrore dei naufraghi che vedono la loro nave allontanarsi mentre il cielo si fa nero e le onde si fanno sempre più alte.
Si tratta dell’ipotesi ritenuta oggi più plausibile, certamente più credibile di chi ha suggerito che l’equipaggio sarebbe stato risucchiato da un vortice marino (che avrebbe però lasciato la nave intatta) o di chi ha immaginato Briggs, la sua famiglia e i suoi uomini vittime di un rapimento alieno.
Di sicuro, c’è solo che probabilmente non sapremo mai cosa accadde sulla Mary Celeste e questo resterà uno dei più discussi misteri del mare.