Chi non ricorda la copertina de Il nome della rosa, con la riproduzione del labirinto disegnato sul pavimento della cattedrale di Reims? Ecco, viaggiare dentro il nuovo libro di Umberto Eco, Storia delle terre e dei luoghi leggendari, è come perdersi in quel labirinto, anzi in tanti labirinti fatti di svolte e di incroci, con tutta l’ebbrezza e la vertigine del caso. Perché si tratta, in realtà, di un libro di labirinti, se i luoghi leggendari di cui si parla sono in massima parte luoghi irraggiungibili, chimere, utopie, miraggi o invenzioni di menti talvolta razionali e lucide, talvolta ingenue, spesso diaboliche, per lo più paranoiche, deliranti; comunque fantasiose. Storia di storie impossibili o improbabili o illusorie, anche se reali, perché le terre e i luoghi leggendari di Eco non sono quelli della finzione o dei romanzi. Sono quelli che hanno stimolato nei secoli il desiderio di identificarle e di raggiungerle, il più delle volte senza grande successo, qualche volta producendo, per errore, altre scoperte. Una specie di trattato del fantasticare geografico, un Tresor con pagine di grande suggestione narrativa, accompagnato da immagini sorprendenti sul modello della Storia della bellezza e della Storia della bruttezza. «Il motore è il piacere della ricerca, anche quella iconografica. Nessuna pretesa di grande originalità: spesso basta andare per biblioteche o su internet per trovare certi materiali, caso mai il problema è distinguere le fonti attendibili. Il piacere dell’autore prevale forse su quello del lettore, che può usare il libro anche come coffee-table da sfogliare con gli amici». Un dedalo è anche la biblioteca di Eco, quella mentale e quella fisica: per rendersene conto, basta mettere piede nella sua casa di Piazza Castello, a Milano, dove il lungo corridoio tappezzato di libri conduce nello studio del semiologo e scrittore, con tavoli e scrivanie separati da tramezzi bianchi colmi di volumi creando snodi e antri tematici. Da un lato del corridoio, poi, si può accedere alla stanza delle rarità, opportunamente temperata e deumidificata. Lì e su altri scaffali rintracciabili chissà dove, nell’appartamento, ci sono tutti (ma proprio tutti) i libri antichi e moderni in cui ci si imbatte leggendo la Storia delle terre e dei luoghi leggendari. Titoli preziosi, spesso quasi introvabili, recuperati per mezzo mondo in anni di ricerche sui temi cari allo studioso.
«Sono sempre stato affascinato dal problema del falso», dice Eco, «per cui sbaglia chi mi annovera tra i relativisti, perché se uno si occupa del falso è perché è convinto che qualche cosa di vero c’è». L’elenco sarebbe lunghissimo. «Ci sono falsi che producono risultati positivi e altri che producono risultati negativi. Tra questi ultimi i Protocolli dei Savi di Sion di cui mi sono occupato nel mio ultimo romanzo. Mi ha sempre attratto il testo falso che a causa della credulità altrui o per ragioni di sfruttamento politico incide nella storia. Grazie alla Donazione di Costantino, almeno fino al Cinquecento l’idea che i domini temporali d’Occidente sono stati donati dall’imperatore al Papa provoca i risultati immensi che sappiamo. Poi c’è la dialettica tremenda per poter stabilire se qualcosa è falso: mentre non è impossibile dimostrare che un oggetto è falso, ciò che è infinitamente più difficile dimostrare è dimostrare che è autentico. Insomma, si può stabilire che tutte le Monna Lisa che girano per il mondo sono false, ma siamo sempre colti dal dubbio che quella del Louvre non sia autentica. Sono questioni che coinvolgono il tema filosofico della verità».
Ma qui ci si sofferma su quando e come i luoghi falsi o fittizi sono diventati benzina della storia. E con parecchi distinguo. Prendiamo il caso di un falso documento che comincia a circolare nel 1165, la lettera del prete Gianni, presunto re e sacerdote cristiano di una imprecisata terra dell’estremo Oriente, oltre le zone controllate dai musulmani. Qualcuno, nel Duecento, ritiene addirittura che quel personaggio favoloso sia in grado di favorire militarmente i crociati. Dice Eco: «È un chiaro falso che spinge un sacco di persone, compresi viaggiatori non sprovveduti come Pian del Carpine e Marco Polo, a cercare questo regno misterioso. Poi, verso la metà del Trecento, i portoghesi credono di identificarlo con l’Abissinia, dove ci sono i re cristiani, e alla fine il regno del prete Gianni incoraggia l’esplorazione e la colonizzazione dell’Africa».
Un rompicapo millenario. L’effetto labirinto è assicurato anche dai tanti incroci imprevisti. Non pensate di esservi sbarazzati del prete Gianni dopo aver concluso il capitolo sulle meraviglie dell’Oriente: ve lo ritroverete quando si parla del Graal e quando si parla del mito polare. L’Isola dei Beati di San Brandano tornerà anche nel racconto su Atlantide. E viaggiando nelle meraviglie d’Oriente a un certo punto si inciamperà nel Paradiso terrestre. Per non dire delle connessioni tra la Thule e le fantasie naziste. «Ci sono libri bellissimi», ricorda Eco, «come quello di Manguel e Guadalupi sui luoghi fittizi dei romanzi, per esempio la casa di Madame Bovary o quella di Geppetto, ma io non me ne sono occupato, tranne che nei casi in cui quei luoghi hanno creato luoghi reali, per credulità o per motivi turistici. Si pensi allo studio di Sherlock Holmes in Baker Street, che è stato ricostruito. Oppure alla casa di Nero Wolfe a Manhattan, che cambia numero a seconda dei romanzi, ma che a un certo punto, grazie a un accordo tra un’associazione di lettori fanatici e il municipio di New York, è stata collocata in un certo numero della 35ª Street West, dove peraltro non esistono case di arenaria. Vi hanno messo una lapide e i fedeli del famoso detective ne hanno fatto un termine di pellegrinaggio. Ma sono casi rari: nessuno va a cercare l’isola del Tesoro e solo io sono andato a cercare la casa di Sylvie raccontata nel romanzo di Nerval... Per il resto mi interessano i luoghi nati da una leggenda».
La leggenda può essere creata ex novo oppure può avere un appiglio reale. Prendiamo il rompicapo millenario di Atlantide. «Il primo documento su Atlantide è un racconto di Platone, ma la leggenda di una terra sprofondata nel mare ha circolato, e visti i sommovimenti che ha subìto il globo nel corso dei millenni non c’è niente di impossibile. Tant’è vero che il mito di Atlantide è stato ripreso dai positivisti tra Sette e Ottocento per spiegare problemi di tettonica. L’idea della Pangea per cui tutte le terre erano un solo corpo spiegherebbe come mai si sono trovati degli esseri umani in Australia, visto che l’umanità nasce in Africa». La questione del Paradiso terrestre è un po’ più complicata perché, essendo nato con la Bibbia, coinvolge tematiche religiose: «Ci sono due scelte. O non si crede alla Bibbia, e allora il Paradiso terrestre è una leggenda, o si crede che sia tutto vero. In questo caso bisognerebbe chiedersi che cosa se ne fa Dio del Paradiso terrestre dopo la cacciata di Adamo ed Eva. Evidentemente lo chiude o tutt’al più può venderlo per farne delle villette a schiera. Ebbene, la ricerca del Paradiso terrestre è continuata sino almeno a Cristoforo Colombo: poi, certo, ancora oggi ci sono i matti su internet che dimostrano che la terra è quadrata, ma non fanno testo... Ciò non toglie che la ricerca del Paradiso terrestre abbia prodotto la scoperta di terre davvero esistenti».
Dietro alla scoperta dell’America. Uno dei più colossali venditori di bufale della storia, per quanto involontario, è stato Cristoforo Colombo, non il primo uomo della modernità, secondo Eco, ma «uno degli ultimi personaggi del Medioevo»: «Colombo le ha sbagliate tutte. Intanto credeva che la terra fosse più piccola. Girano leggende assurde: che Colombo fu il primo a sostenere che la terra era rotonda è una palla straordinaria, perché che la terra fosse sferica lo sapevano tutti, i greci, i medievali... La disputa con i Saggi di Salamanca non era sulla rotondità della terra e sull’abisso cosmico. Loro gli dicevano: lei non ce la farà mai a percorrerla tutta, la terra. Avevano ragione nel sostenere che non sarebbe mai arrivato in quel Levante che Colombo voleva raggiungere da Ponente. L’incidente è che c’era in mezzo l’America e nessuno lo sapeva. Ebbene, Colombo arriva nelle terre americane, che dovevano essere lussureggianti e piene di pappagalli colorati, e pensa che siano il Paradiso terrestre. Ma interpretando in senso letterale le Scritture, ritiene che il Paradiso debba culminare in alto, verso il cielo, e si fa l’idea che il globo non è rotondo ma si allunga a forma di pera. Ho trovato una ricostruzione iconografica fatta da un geografo inglese ottocentesco, che è abbastanza straordinaria». Lasciamo Colombo nella schiera dei creduloni testardi e passiamo al cerchio magico dei mascalzoni più o meno ispirati. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Il mito della Thule ha prodotto parecchi guai: «Ne parlava già Erodoto. Dal mito del Nord nasce l’idea della stirpe ariana, non a caso la società segreta nazista occultista degli inizi si chiamava Thule Gesellschaft». Ma com’è che i greci conoscevano già la Thule? «Un libro di Felice Vinci del 1995 sposta tutta l’Odissea dal Mediterraneo alle isole del Nord, con dimostrazioni certe volte abbastanza convincenti. Vai a sapere. Ma sui viaggi di Ulisse c’è una letteratura vastissima: Sergio Frau ha scritto che in realtà le Colonne d’Ercole non erano a Gibilterra ma tra la Sicilia e la Tunisia, perché i Greci non potevano conoscere un mare così ampio e di là caso mai giravano i Fenici. Frau ne trae la convinzione che la mitica Atlantide sarebbe la Sardegna». È un continuo slittamento da Nord a Sud, da Est a Ovest. «Le terre del Graal si spostano come un’anguilla: stanno in Cornovaglia, poi il folle nazista Otto Rank le trasferisce in Provenza, poi si spostano in Galizia, poi in luoghi della mitologia germanica. Tutti alla ricerca del Graal come sacra coppa ma anche come luogo dei romanzi cavallereschi. Dov’è la mitica Avalon? Senza vergogna ciascuno se la sistema dove e come vuole. Per non dire della misteriosa rocca di Alamut, la rocca degli assassini di cui si parlava durante le crociate». Qualcuno è arrivato a teorizzare che la terra fosse cava. E anche qui le conseguenze non sono trascurabili: «È il mito più folle, che comincia già nel Seicento con Edmund Halley, quello della cometa. Secondo lui, all’interno della terra c’è il vuoto, ma poi nell’Ottocento americano nasce la convinzione che noi viviamo non sulla crosta convessa esterna ma sulla crosta concava interna e quelle che noi pensiamo siano le stelle e il sole in realtà sono delle entità all’interno del globo. La cosa bellissima è che è stato dimostrato che se la terra fosse concava tutta la nostra metrica non cambierebbe, quindi potremmo viverci senza accorgercene. L’idea arriva fino ai gruppi occultisti nazisti».
L’ultima tappa è dedicata alla bufala più colossale, quella di Rennes-le-Château, un villaggio a una quarantina di chilometri da Carcassonne. «All’inizio del Novecento girava la storia che il parroco dell’epoca avesse trovato un tesoro nella parrocchia, ma era un malfattore che si faceva pagare le messe dai fedeli. A un certo punto viene fuori un tale Pierre Plantard, un attivista di estrema destra che dicendosi discendente dai merovingi e capo del Priorato di Sion comincia a rinfocolare la storia del tesoro. Che fosse un mascalzone e collaborazionista è stato provato da una condanna, ma niente ha impedito che cominciassero ad arrivare in quel villaggio pellegrini e pellegrini. Finché tre inglesi, Lincoln, Baigent e Leigh, nel 1982 costruiscono una fantastoria su Rennes-le-Château, raccontando che vi sarebbe arrivato Gesù con Maria Maddalena sua sposa per dare origine alla dinastia dei merovingi. Successo incredibile del libro, perché la gente è sempre ansiosa di credere a qualcosa».
Chesterton diceva che quando gli uomini non credono più in Dio, non è che non credano a nulla, credono a tutto. Questa frase, che si trova a pagina 423 del libro di Eco, potrebbe in realtà esserne l’esergo. È facile creare delle leggende ex novo ed è ancora più facile agli spacciatori di fandonie – nonostante le smentite di tribunali, storici e ricercatori – trovare schiere di adepti. Dulcis in fundo, su Rennes-le-Château si butta anche Dan Brown: «Il suo potrebbe essere un romanzo qualunque se non avesse provocato, anche quello, pellegrinaggi a Rennes-le-Château, al Louvre, a St. Sulpice, dove diceva che c’era una strana Linea della Rosa, che invece è stata smentita dai canonici del posto. Ma la cosa più bella è che i tre inglesi gli fanno causa per plagio: ora, se sostenevano di aver scritto una storia autentica, che senso aveva accusare Dan Brown di plagio? È come se Stendhal avesse portato in tribunale Hugo perché aveva parlato della battaglia di Waterloo. Insomma, facendogli causa quei tre rivelavano che la loro storia era inventata. Ma Brown si difese nel modo più strano, negando di aver letto il libro, anche se è dimostrato il contrario». Dall’antichità a oggi, quale sarà mai l’epoca che produce più fantasia geografica? Risposta: «Fantasia creduta o creata? La nostra epoca con la fantascienza inventa un’infinità di mondi. E basta prendere in mano una rivista di settore per vedere quante bufale corrano ancora sui cerchi del grano, sul Graal, sugli Ufo, e basta vedere le tante trasmissioni tv, da cui viene fuori Kazzenger di Crozza, per capire come questa roba si venda ancora a piene mani. Certamente Grecia e Medioevo avevano più terre meravigliose su cui fantasticare perché avevano più terre ignote, ma noi fantastichiamo su ET e i complottisti continuano a credere che gli alieni sono arrivati ma il Pentagono lo ha tenuto nascosto». La morale più facile è relativista: tutto può essere vero, ma niente lo è davvero. «C’è da fare un ragionamento matematico. Immaginiamo che lei sia cattolico: evidentemente tutto quello che dicono gli indù, i buddhisti, il Corano, gli indiani sono palle e chiuso. Immaginiamo che lei sia musulmano: il 90 per cento di quel che dicono i Vangeli sono palle e così via. Anche a ritenere che una sola delle idee religiose sia vera, nel 90 per cento dei casi sono false. Lascio scegliere a lei qual è quella da salvare… Vede come si gonfia la storia della credulità?». Ma per Eco c’è sicuramente qualcosa che si salva. Ed è un’ennesima sorpresa. «Ho concluso il libro con una questione filosofica che mi sta a cuore. L’idea che la verità narrativa è l’unica verità. Se qualcuno verrà a dirci che Napoleone non è morto a Sant’Elena potremo sempre sospettare che ha ragione: magari un giorno negli atti dell’ammiragliato britannico si troverà un documento che dice che Napoleone era scappato in Argentina. Ma che Clark Kent è Superman non lo può negare neanche il Papa e che Madame Bovary è morta suicida ingoiando l’arsenico non si può discutere. Insomma, la verità romanzesca, che è vera in un mondo possibile, dà un criterio di verità per le verità non romanzesche».
Originariamente pubblicato su Sette del 2 ottobre 2013. Si ringraziano l'autore e l'editore per aver concesso il diritto di riproduzione.
«Sono sempre stato affascinato dal problema del falso», dice Eco, «per cui sbaglia chi mi annovera tra i relativisti, perché se uno si occupa del falso è perché è convinto che qualche cosa di vero c’è». L’elenco sarebbe lunghissimo. «Ci sono falsi che producono risultati positivi e altri che producono risultati negativi. Tra questi ultimi i Protocolli dei Savi di Sion di cui mi sono occupato nel mio ultimo romanzo. Mi ha sempre attratto il testo falso che a causa della credulità altrui o per ragioni di sfruttamento politico incide nella storia. Grazie alla Donazione di Costantino, almeno fino al Cinquecento l’idea che i domini temporali d’Occidente sono stati donati dall’imperatore al Papa provoca i risultati immensi che sappiamo. Poi c’è la dialettica tremenda per poter stabilire se qualcosa è falso: mentre non è impossibile dimostrare che un oggetto è falso, ciò che è infinitamente più difficile dimostrare è dimostrare che è autentico. Insomma, si può stabilire che tutte le Monna Lisa che girano per il mondo sono false, ma siamo sempre colti dal dubbio che quella del Louvre non sia autentica. Sono questioni che coinvolgono il tema filosofico della verità».
Ma qui ci si sofferma su quando e come i luoghi falsi o fittizi sono diventati benzina della storia. E con parecchi distinguo. Prendiamo il caso di un falso documento che comincia a circolare nel 1165, la lettera del prete Gianni, presunto re e sacerdote cristiano di una imprecisata terra dell’estremo Oriente, oltre le zone controllate dai musulmani. Qualcuno, nel Duecento, ritiene addirittura che quel personaggio favoloso sia in grado di favorire militarmente i crociati. Dice Eco: «È un chiaro falso che spinge un sacco di persone, compresi viaggiatori non sprovveduti come Pian del Carpine e Marco Polo, a cercare questo regno misterioso. Poi, verso la metà del Trecento, i portoghesi credono di identificarlo con l’Abissinia, dove ci sono i re cristiani, e alla fine il regno del prete Gianni incoraggia l’esplorazione e la colonizzazione dell’Africa».
Un rompicapo millenario. L’effetto labirinto è assicurato anche dai tanti incroci imprevisti. Non pensate di esservi sbarazzati del prete Gianni dopo aver concluso il capitolo sulle meraviglie dell’Oriente: ve lo ritroverete quando si parla del Graal e quando si parla del mito polare. L’Isola dei Beati di San Brandano tornerà anche nel racconto su Atlantide. E viaggiando nelle meraviglie d’Oriente a un certo punto si inciamperà nel Paradiso terrestre. Per non dire delle connessioni tra la Thule e le fantasie naziste. «Ci sono libri bellissimi», ricorda Eco, «come quello di Manguel e Guadalupi sui luoghi fittizi dei romanzi, per esempio la casa di Madame Bovary o quella di Geppetto, ma io non me ne sono occupato, tranne che nei casi in cui quei luoghi hanno creato luoghi reali, per credulità o per motivi turistici. Si pensi allo studio di Sherlock Holmes in Baker Street, che è stato ricostruito. Oppure alla casa di Nero Wolfe a Manhattan, che cambia numero a seconda dei romanzi, ma che a un certo punto, grazie a un accordo tra un’associazione di lettori fanatici e il municipio di New York, è stata collocata in un certo numero della 35ª Street West, dove peraltro non esistono case di arenaria. Vi hanno messo una lapide e i fedeli del famoso detective ne hanno fatto un termine di pellegrinaggio. Ma sono casi rari: nessuno va a cercare l’isola del Tesoro e solo io sono andato a cercare la casa di Sylvie raccontata nel romanzo di Nerval... Per il resto mi interessano i luoghi nati da una leggenda».
La leggenda può essere creata ex novo oppure può avere un appiglio reale. Prendiamo il rompicapo millenario di Atlantide. «Il primo documento su Atlantide è un racconto di Platone, ma la leggenda di una terra sprofondata nel mare ha circolato, e visti i sommovimenti che ha subìto il globo nel corso dei millenni non c’è niente di impossibile. Tant’è vero che il mito di Atlantide è stato ripreso dai positivisti tra Sette e Ottocento per spiegare problemi di tettonica. L’idea della Pangea per cui tutte le terre erano un solo corpo spiegherebbe come mai si sono trovati degli esseri umani in Australia, visto che l’umanità nasce in Africa». La questione del Paradiso terrestre è un po’ più complicata perché, essendo nato con la Bibbia, coinvolge tematiche religiose: «Ci sono due scelte. O non si crede alla Bibbia, e allora il Paradiso terrestre è una leggenda, o si crede che sia tutto vero. In questo caso bisognerebbe chiedersi che cosa se ne fa Dio del Paradiso terrestre dopo la cacciata di Adamo ed Eva. Evidentemente lo chiude o tutt’al più può venderlo per farne delle villette a schiera. Ebbene, la ricerca del Paradiso terrestre è continuata sino almeno a Cristoforo Colombo: poi, certo, ancora oggi ci sono i matti su internet che dimostrano che la terra è quadrata, ma non fanno testo... Ciò non toglie che la ricerca del Paradiso terrestre abbia prodotto la scoperta di terre davvero esistenti».
Dietro alla scoperta dell’America. Uno dei più colossali venditori di bufale della storia, per quanto involontario, è stato Cristoforo Colombo, non il primo uomo della modernità, secondo Eco, ma «uno degli ultimi personaggi del Medioevo»: «Colombo le ha sbagliate tutte. Intanto credeva che la terra fosse più piccola. Girano leggende assurde: che Colombo fu il primo a sostenere che la terra era rotonda è una palla straordinaria, perché che la terra fosse sferica lo sapevano tutti, i greci, i medievali... La disputa con i Saggi di Salamanca non era sulla rotondità della terra e sull’abisso cosmico. Loro gli dicevano: lei non ce la farà mai a percorrerla tutta, la terra. Avevano ragione nel sostenere che non sarebbe mai arrivato in quel Levante che Colombo voleva raggiungere da Ponente. L’incidente è che c’era in mezzo l’America e nessuno lo sapeva. Ebbene, Colombo arriva nelle terre americane, che dovevano essere lussureggianti e piene di pappagalli colorati, e pensa che siano il Paradiso terrestre. Ma interpretando in senso letterale le Scritture, ritiene che il Paradiso debba culminare in alto, verso il cielo, e si fa l’idea che il globo non è rotondo ma si allunga a forma di pera. Ho trovato una ricostruzione iconografica fatta da un geografo inglese ottocentesco, che è abbastanza straordinaria». Lasciamo Colombo nella schiera dei creduloni testardi e passiamo al cerchio magico dei mascalzoni più o meno ispirati. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Il mito della Thule ha prodotto parecchi guai: «Ne parlava già Erodoto. Dal mito del Nord nasce l’idea della stirpe ariana, non a caso la società segreta nazista occultista degli inizi si chiamava Thule Gesellschaft». Ma com’è che i greci conoscevano già la Thule? «Un libro di Felice Vinci del 1995 sposta tutta l’Odissea dal Mediterraneo alle isole del Nord, con dimostrazioni certe volte abbastanza convincenti. Vai a sapere. Ma sui viaggi di Ulisse c’è una letteratura vastissima: Sergio Frau ha scritto che in realtà le Colonne d’Ercole non erano a Gibilterra ma tra la Sicilia e la Tunisia, perché i Greci non potevano conoscere un mare così ampio e di là caso mai giravano i Fenici. Frau ne trae la convinzione che la mitica Atlantide sarebbe la Sardegna». È un continuo slittamento da Nord a Sud, da Est a Ovest. «Le terre del Graal si spostano come un’anguilla: stanno in Cornovaglia, poi il folle nazista Otto Rank le trasferisce in Provenza, poi si spostano in Galizia, poi in luoghi della mitologia germanica. Tutti alla ricerca del Graal come sacra coppa ma anche come luogo dei romanzi cavallereschi. Dov’è la mitica Avalon? Senza vergogna ciascuno se la sistema dove e come vuole. Per non dire della misteriosa rocca di Alamut, la rocca degli assassini di cui si parlava durante le crociate». Qualcuno è arrivato a teorizzare che la terra fosse cava. E anche qui le conseguenze non sono trascurabili: «È il mito più folle, che comincia già nel Seicento con Edmund Halley, quello della cometa. Secondo lui, all’interno della terra c’è il vuoto, ma poi nell’Ottocento americano nasce la convinzione che noi viviamo non sulla crosta convessa esterna ma sulla crosta concava interna e quelle che noi pensiamo siano le stelle e il sole in realtà sono delle entità all’interno del globo. La cosa bellissima è che è stato dimostrato che se la terra fosse concava tutta la nostra metrica non cambierebbe, quindi potremmo viverci senza accorgercene. L’idea arriva fino ai gruppi occultisti nazisti».
L’ultima tappa è dedicata alla bufala più colossale, quella di Rennes-le-Château, un villaggio a una quarantina di chilometri da Carcassonne. «All’inizio del Novecento girava la storia che il parroco dell’epoca avesse trovato un tesoro nella parrocchia, ma era un malfattore che si faceva pagare le messe dai fedeli. A un certo punto viene fuori un tale Pierre Plantard, un attivista di estrema destra che dicendosi discendente dai merovingi e capo del Priorato di Sion comincia a rinfocolare la storia del tesoro. Che fosse un mascalzone e collaborazionista è stato provato da una condanna, ma niente ha impedito che cominciassero ad arrivare in quel villaggio pellegrini e pellegrini. Finché tre inglesi, Lincoln, Baigent e Leigh, nel 1982 costruiscono una fantastoria su Rennes-le-Château, raccontando che vi sarebbe arrivato Gesù con Maria Maddalena sua sposa per dare origine alla dinastia dei merovingi. Successo incredibile del libro, perché la gente è sempre ansiosa di credere a qualcosa».
Chesterton diceva che quando gli uomini non credono più in Dio, non è che non credano a nulla, credono a tutto. Questa frase, che si trova a pagina 423 del libro di Eco, potrebbe in realtà esserne l’esergo. È facile creare delle leggende ex novo ed è ancora più facile agli spacciatori di fandonie – nonostante le smentite di tribunali, storici e ricercatori – trovare schiere di adepti. Dulcis in fundo, su Rennes-le-Château si butta anche Dan Brown: «Il suo potrebbe essere un romanzo qualunque se non avesse provocato, anche quello, pellegrinaggi a Rennes-le-Château, al Louvre, a St. Sulpice, dove diceva che c’era una strana Linea della Rosa, che invece è stata smentita dai canonici del posto. Ma la cosa più bella è che i tre inglesi gli fanno causa per plagio: ora, se sostenevano di aver scritto una storia autentica, che senso aveva accusare Dan Brown di plagio? È come se Stendhal avesse portato in tribunale Hugo perché aveva parlato della battaglia di Waterloo. Insomma, facendogli causa quei tre rivelavano che la loro storia era inventata. Ma Brown si difese nel modo più strano, negando di aver letto il libro, anche se è dimostrato il contrario». Dall’antichità a oggi, quale sarà mai l’epoca che produce più fantasia geografica? Risposta: «Fantasia creduta o creata? La nostra epoca con la fantascienza inventa un’infinità di mondi. E basta prendere in mano una rivista di settore per vedere quante bufale corrano ancora sui cerchi del grano, sul Graal, sugli Ufo, e basta vedere le tante trasmissioni tv, da cui viene fuori Kazzenger di Crozza, per capire come questa roba si venda ancora a piene mani. Certamente Grecia e Medioevo avevano più terre meravigliose su cui fantasticare perché avevano più terre ignote, ma noi fantastichiamo su ET e i complottisti continuano a credere che gli alieni sono arrivati ma il Pentagono lo ha tenuto nascosto». La morale più facile è relativista: tutto può essere vero, ma niente lo è davvero. «C’è da fare un ragionamento matematico. Immaginiamo che lei sia cattolico: evidentemente tutto quello che dicono gli indù, i buddhisti, il Corano, gli indiani sono palle e chiuso. Immaginiamo che lei sia musulmano: il 90 per cento di quel che dicono i Vangeli sono palle e così via. Anche a ritenere che una sola delle idee religiose sia vera, nel 90 per cento dei casi sono false. Lascio scegliere a lei qual è quella da salvare… Vede come si gonfia la storia della credulità?». Ma per Eco c’è sicuramente qualcosa che si salva. Ed è un’ennesima sorpresa. «Ho concluso il libro con una questione filosofica che mi sta a cuore. L’idea che la verità narrativa è l’unica verità. Se qualcuno verrà a dirci che Napoleone non è morto a Sant’Elena potremo sempre sospettare che ha ragione: magari un giorno negli atti dell’ammiragliato britannico si troverà un documento che dice che Napoleone era scappato in Argentina. Ma che Clark Kent è Superman non lo può negare neanche il Papa e che Madame Bovary è morta suicida ingoiando l’arsenico non si può discutere. Insomma, la verità romanzesca, che è vera in un mondo possibile, dà un criterio di verità per le verità non romanzesche».
Originariamente pubblicato su Sette del 2 ottobre 2013. Si ringraziano l'autore e l'editore per aver concesso il diritto di riproduzione.