«Il 16 febbraio 1926, John Herbert Watson, dottore in medicina - meglio noto a milioni di persone come il 'dottor Watson' delle storie di Sherlock Holmes firmate da Arthur Conan Doyle - morì per le lesioni riportate in una caduta nella sua casa nei pressi di Lyndhurst, nell'Hampshire. Aveva settantatre anni. Quando venne letto il suo testamento, si scoprì che in un codicillo aveva lasciato istruzioni affinchè una cassa contenente diversi documenti venisse affidata in deposito alla sua banca per un periodo non inferiore a cinquant'anni, al termine dei quali la cassa avrebbe dovuto essere aperta e il suo contenuto reso pubblico....» Cosa sarebbe successo se Sherlock Holmes si fosse messo sulle tracce di Jack lo Squartatore? Questa è l’idea de L’ultima avventura di Sherlock Holmes, un’idea che sviluppa uno svolgimento inconsueto e mozzafiato – sia dal punto di vista narrativo che stilistico e di ambientazione – e un finale stupefacente. Certo, un grande scrittore come Michael Dibdin non abbandona per una volta il suo campo prediletto (l’Italia contemporanea e il suo amato Aurelio Zen) per scrivere un romanzo che vede come protagonista il celebre personaggio di Arthur Conan Doyle senza imprimervi il suo personalissimo stile: e infatti le novità qui sono molte e importantissime. Prima fra tutte, il personaggio di Sherlock Holmes, che Dibdin riporta a quello dei primi romanzi, un uomo geniale preso da un’indagine, un delitto, che accende la sua fantasia; un cocainomane tanto distrutto da sviluppare, così come il dottor Jeckill con Mister Hide, un alter ego nei momenti più drammatici. E poi la novità di inserire Sherlock Holmes in un caso reale, mai risolto, che è ancora capace di accendere la fantasia del mondo intero, e ancora, soprattutto dopo l’apertura degli archivi della polizia per quanto riguarda questo affaire, capace di far scrivere libri su libri. Senza dimenticare l’ambientazione nella Londra di fine '800 e le sue atmosfere brumose e misteriose che Dibdin riporta con stile e passione.
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