I misteriosi lampi di luce che astronauti e piloti raccontano di vedere nello spazio o ad alta quota cominciano a trovare delle spiegazioni. Le ricerche in corso da anni non sono soltanto una curiosità scientifica ma mirano a capire che cosa succede nel cervello quando gli occhi rivelano gli enigmatici lampi e, soprattutto, se questi producono dei danni. Del fenomeno cominciarono a parlarne seriamente gli astronauti in viaggio verso la Luna (dicevano di vedere un lampo ogni tre minuti) e ai quali si aggiunsero i piloti dei caccia in volo ad altezze rilevanti (da 9 a 16 chilometri).
Anzi talvolta i racconti di questi ultimi venivano interpretati come avvistamenti di UFO.
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Qualche indagine negli anni Settanta sul laboratorio orbitale americano Skylab e durante la missione Apollo-Soyuz non produsse risultati. Allora si provò anche nei laboratori terrestri sottoponendo occhio e cervello a fasci di neutroni constatando che se l' energia delle particelle superava i 5 milioni di elettronvolt allora il soggetto vedeva un lampo di luce. Ma l' enigma rimaneva. Finchè a metà degli anni Novanta un gruppo internazionale formato da scienziati russi, italiani, svedesi e tedeschi non avviavano un' indagine più approfondita grazie alla collaborazione dei cosmonauti a bordo della stazione russa Mir. Per l'Italia si impegnava l' Istituto Nazionale di Fisica Nucleare che con i tecnici di Laben-Finmeccanica metteva a punto un semplice casco da far indossare ai cosmonauti e capace di catturare i lampi che colpivano la retina. Era il progetto "SiEye" e il cosmonauta Sergei Avdeev nell'arco di due missioni nel 1995 e nel 1997 sperimentava il sistema. "Così si raccolsero centinaia di eventi - spiegano i professori Piergiorgio Picozza e Livio Narici dell' Università Tor Vergata di Roma responsabili degli esperimenti - consentendo per la prima volta di analizzare il fenomeno in modo approfondito e dimostrando che esiste una correlazione significativa tra il flusso di particelle passanti attraverso l' occhio e la anomala percezione di lampi di luce". Le particelle ad alta energia piovono dallo spazio e dal Sole. "Le prove raccolte in questo decennio - aggiungono Picozza e Narici - impongono una riflessione e uno studio sulle possibili conseguenze di una lunga permanenza nello spazio sia sulla visione chesull'insieme delle funzioni cerebrali". "Le cellule colpite dalle particelle potrebbero funzionare diversamente - dice il professor Walter Sannita, neurologo dell' Università di Genova che partecipa alle ricerche - e quindi generare problemi. Bisogna perciò stabilire se il bombardamento produce delle alterazioni transitorie o permanenti capaci di mettere a rischio la salute dell' astronauta e di conseguenza la missione di cui è protagonista". "Tra l' altro - aggiunge Sannita - abbiamo riscontrato che anche a terra, persone cieche o soggette ad attacchi di emicrania o attacchi epilettici "vedono" gli stessi lampi. L' interesse sta ora nel valutare i meccanismi che li generano". Con simili premesse è partito un nuovo esperimento battezzato Altea che sarà realizzato a bordo della stazione spaziale internazionale nel 2003. In tal caso al gruppo precedente di scienziati si sono aggiunti anche i ricercatori di tre centri americani (i laboratori di Brookhaven, l'Università di New York e il centro Johnson della Nasa).
L'esperimento gestito dall' Asi italiana prevede un casco ben più complesso (disegno accanto), sempre realizzato nei laboratori milanesi di Laben-Finmeccanica, dotato di sei rilevatori sistemati questa volta tutto intorno alla testa per poter intercettare con maggior precisione le particelle che colpiscono il cervello e determinarne percorsi ed energie così da stabilire con esattezza il tipo di bombardamento in atto.
E ciò è il primo passo per valutare eventuali danni. Prima di Altea, nel 2002 sulla stazione sarà portato il prototipo "Alteino" che permetterà di collaudare il sistema.
Giovanni Caprara
(da: Corriere della Sera, 3 dicembre 2000)
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