Nel mese di dicembre è stato reso noto l’ultimo rapporto dell’OCSE dal titolo Does Homework Perpetuate Inequities in Education?[1]. Dal rapporto risulta che gli studenti quindicenni italiani sono i secondi al mondo per le ore trascorse a svolgere i compiti a casa. Si parla di una media di 9 ore settimanali. Gli studenti degli altri Paesi OCSE hanno invece un carico di compiti che li impegna per una media di circa 5 ore la settimana. Superano gli italiani solamente gli studenti di Shanghai con 14 ore alla settimana. In Finlandia e Corea, che sono ai vertici delle classifiche internazionali per il rendimento dei propri studenti, le ore si riducono a tre.
La quantità di tempo domestico trascorso sui libri non corrisponde necessariamente a brillanti risultati. Com'è noto, infatti, gli studenti italiani sono piuttosto indietro nelle classifiche internazionali. Una possibile spiegazione può essere quella dedotta dall’analista dell’OCSE Francesca Borgonovi, che ha affermato: «Paragonando le prestazioni medie dei paesi partecipanti e le ore trascorse dai ragazzi, fino a 4 ore di compiti a casa hanno conseguenze positive sulla prestazione generale. Dopo le 4 ore, non vi è aggiunta di effetti significativamente favorevoli»[2].
Secondo l’analisi fatta dall'OCSE, gli esiti negativi nel rendimento scolastico riguardano soprattutto una fascia di studenti più deboli con situazioni familiari problematiche e instabili. Questi studenti sarebbero sfavoriti poiché non trovano un supporto nella famiglia, a causa delle disagiate condizioni socio-economiche e culturali. Emerge quindi abbastanza chiaramente che, in questi casi, dovrebbe essere la scuola a intervenire per fornire a questi ragazzi un supporto in orario extra scolastico.
Come ha sottolineato Paolo Ragusa, pedagogista, formatore e autore del saggio La scuola che ci serve (Lir Edizioni, 2014), il quadro emerso dal documento OCSE «è una fotografia che rispecchia perfettamente i sistemi scolastici. In Finlandia, dove si punta tutto sul lavoro in classe, non occorre esercitarsi a casa. Da noi è il contrario: le ore in aula sono quasi un optional; che il ragazzo partecipi o meno, che sia interessato o no, non importa: conta che studi. Un modello purtroppo sempre più diffuso, soprattutto alle superiori e sempre più condiviso dai genitori, che se devono esercitare un controllo lo fanno non sulla qualità della didattica e dei programmi, ma sul fatto che i figli facciano i compiti»[3].
Il dibattito sull'utilità dei compiti a casa è una annosa questione. Una vecchia circolare ministeriale del 1969 (recentemente recuperata dal sito Skuola.net e subito divulgata da molti siti gestiti da studenti), ad esempio, invitava gli insegnanti a non assegnare compiti nei weekend. Diverse normative successive, tuttavia, hanno superato questa circolare, lasciando sostanzialmente al singolo docente la scelta se assegnare o no i compiti. Recentemente, ben due ministri dell’istruzione sono intervenuti in materia di compiti. Nel 2012 Francesco Profumo si espresse favorevolmente all'idea di limitare i compiti a causa della “presenza di altri stimoli” cui i nostri ragazzi sono oramai sottoposti. Nell'estate 2013 anche l'allora ministra Maria Chiara Carrozza si espresse in maniera piuttosto critica sull'opportunità di assegnare compiti durante le vacanze estive.
Al di là dei politici, anche tra chi si occupa professionalmente di didattica si trovano spesso posizioni contrastanti. Ad esempio, Maurizio Parodi, pedagogista e dirigente scolastico attivo presso il Coordinamento Genitori Democratici, sostiene senza mezzi termini che i compiti a casa non servono e ha spiegato le sue motivazioni in un libro dal titolo esplicito: Basta compiti! Non è così che si impara (Sonda editore, 2012). Per contro Manuela Cantoia, psicologa e coordinatrice delle attività formative dello SPAEE (Servizio di Psicologia dell’Apprendimento e dell’Educazione in Età Evolutiva dell’Università Cattolica di Milano), sostiene l'utilità dei compiti a casa e ne illustra le ragioni nel libro Come si impara. Teorie, costrutti e procedure nella psicologia dell’apprendimento (Mondadori, 2010), di cui è coautrice.
Gli insegnanti, dal canto loro, solitamente assegnano i compiti a casa soprattutto per consuetudine, perché così si è sempre fatto. Non sono molti, infatti, quelli che riflettono seriamente sull'effettiva utilità dei compiti. Tuttavia, un recente sondaggio online[4] organizzato da La tecnica della scuola ha mostrato che il 54,7% dei lettori (in gran parte costituito proprio da insegnanti) è favorevole ai compiti a casa e il 45,3% è contrario.
Un altro sondaggio[5], condotto da Scuola.net, ha invece interrogato i ragazzi per sapere quanti di loro hanno eseguito i compiti a casa assegnati per le ultime vacanze natalizie. Meno di uno studente su tre li ha completati e il 14% non li ha neppure guardati. Il dato più significativo, tuttavia, è che ben il 65% non ha esitato a scopiazzare qua e là, sfruttando in primo luogo Internet, mentre il 45% ha sostenuto orgogliosamente di non aver copiato nulla. Tra i "copioni", il 38% ha usato il web, il 13% ha sfruttato qualche compagno più studioso, mentre solo il 4% ha cercato un aiuto sui libri. Tra gli altri dati interessanti, dal sondaggio emerge che 2 studenti su 3 hanno valutato eccessivi i compiti assegnati per il periodo natalizio. Solo il 32% ha finito di studiare in tempo. Un 30% circa ha eseguito solo il 75% dei compiti assegnati, il 25% ne ha svolto una percentuale compresa tra il 25% e il 50% e tutti gli altri non hanno fatto nulla. Il 43% degli studenti ha cominciato a pensare ai compiti solo all’ultimo momento e il 29% ha cominciato tra Natale e Capodanno. Il 40%, infine, ha letto per intero i libri di lettura che erano stati assegnati, e il 25% ha almeno provato a farlo. Uno su 3, invece, non ha neppure aperto i libri.
Sia da parte di coloro che sono favorevoli ai compiti, sia da parte di coloro che sono contrari emergono considerazioni ragionevoli. Sicuramente dai risultati del sondaggio condotto tra gli studenti emerge però in modo abbastanza chiaro che i compiti vengono da essi percepiti come un'incombenza prevalentemente formale cui si deve adempiere obbligatoriamente, magari copiando. Purtroppo i compiti non vengono affatto recepiti come un allenamento e un'opportunità di apprendimento. Svolti in questo modo e con questo atteggiamento non penso che i compiti abbiano una grande utilità. E sicuramente la scuola e gli insegnanti hanno la loro responsabilità sul modo in cui gli studenti percepiscono i compiti.
Quello che mi sembra manchi, in tutto il dibattito sui compiti, è un approccio scientifico al problema. Ognuno esprime le proprie convinzioni, ma difficilmente porta prove a sostegno di ciò che afferma. Non so francamente se sia mai stato fatto, ma sarebbe estremamente interessante effettuare uno studio comparativo che confronti i risultati di apprendimento ottenuti su gruppi omogenei di studenti assegnando o non assegnando i compiti a casa, a parità di tutti gli altri interventi didattici. Si tratta di un bel "compito" che, questa volta, potrebbero essere gli insegnati a svolgere, magari solo per un periodo di tempo e su una porzione limitata del programma. Qualche collega che legge Query vuole provare? Il dibattito è aperto. Potete comunicarmi le vostre esperienze all'indirizzo [email protected] .
La quantità di tempo domestico trascorso sui libri non corrisponde necessariamente a brillanti risultati. Com'è noto, infatti, gli studenti italiani sono piuttosto indietro nelle classifiche internazionali. Una possibile spiegazione può essere quella dedotta dall’analista dell’OCSE Francesca Borgonovi, che ha affermato: «Paragonando le prestazioni medie dei paesi partecipanti e le ore trascorse dai ragazzi, fino a 4 ore di compiti a casa hanno conseguenze positive sulla prestazione generale. Dopo le 4 ore, non vi è aggiunta di effetti significativamente favorevoli»[2].
Secondo l’analisi fatta dall'OCSE, gli esiti negativi nel rendimento scolastico riguardano soprattutto una fascia di studenti più deboli con situazioni familiari problematiche e instabili. Questi studenti sarebbero sfavoriti poiché non trovano un supporto nella famiglia, a causa delle disagiate condizioni socio-economiche e culturali. Emerge quindi abbastanza chiaramente che, in questi casi, dovrebbe essere la scuola a intervenire per fornire a questi ragazzi un supporto in orario extra scolastico.
Come ha sottolineato Paolo Ragusa, pedagogista, formatore e autore del saggio La scuola che ci serve (Lir Edizioni, 2014), il quadro emerso dal documento OCSE «è una fotografia che rispecchia perfettamente i sistemi scolastici. In Finlandia, dove si punta tutto sul lavoro in classe, non occorre esercitarsi a casa. Da noi è il contrario: le ore in aula sono quasi un optional; che il ragazzo partecipi o meno, che sia interessato o no, non importa: conta che studi. Un modello purtroppo sempre più diffuso, soprattutto alle superiori e sempre più condiviso dai genitori, che se devono esercitare un controllo lo fanno non sulla qualità della didattica e dei programmi, ma sul fatto che i figli facciano i compiti»[3].
Il dibattito sull'utilità dei compiti a casa è una annosa questione. Una vecchia circolare ministeriale del 1969 (recentemente recuperata dal sito Skuola.net e subito divulgata da molti siti gestiti da studenti), ad esempio, invitava gli insegnanti a non assegnare compiti nei weekend. Diverse normative successive, tuttavia, hanno superato questa circolare, lasciando sostanzialmente al singolo docente la scelta se assegnare o no i compiti. Recentemente, ben due ministri dell’istruzione sono intervenuti in materia di compiti. Nel 2012 Francesco Profumo si espresse favorevolmente all'idea di limitare i compiti a causa della “presenza di altri stimoli” cui i nostri ragazzi sono oramai sottoposti. Nell'estate 2013 anche l'allora ministra Maria Chiara Carrozza si espresse in maniera piuttosto critica sull'opportunità di assegnare compiti durante le vacanze estive.
Al di là dei politici, anche tra chi si occupa professionalmente di didattica si trovano spesso posizioni contrastanti. Ad esempio, Maurizio Parodi, pedagogista e dirigente scolastico attivo presso il Coordinamento Genitori Democratici, sostiene senza mezzi termini che i compiti a casa non servono e ha spiegato le sue motivazioni in un libro dal titolo esplicito: Basta compiti! Non è così che si impara (Sonda editore, 2012). Per contro Manuela Cantoia, psicologa e coordinatrice delle attività formative dello SPAEE (Servizio di Psicologia dell’Apprendimento e dell’Educazione in Età Evolutiva dell’Università Cattolica di Milano), sostiene l'utilità dei compiti a casa e ne illustra le ragioni nel libro Come si impara. Teorie, costrutti e procedure nella psicologia dell’apprendimento (Mondadori, 2010), di cui è coautrice.
Gli insegnanti, dal canto loro, solitamente assegnano i compiti a casa soprattutto per consuetudine, perché così si è sempre fatto. Non sono molti, infatti, quelli che riflettono seriamente sull'effettiva utilità dei compiti. Tuttavia, un recente sondaggio online[4] organizzato da La tecnica della scuola ha mostrato che il 54,7% dei lettori (in gran parte costituito proprio da insegnanti) è favorevole ai compiti a casa e il 45,3% è contrario.
Un altro sondaggio[5], condotto da Scuola.net, ha invece interrogato i ragazzi per sapere quanti di loro hanno eseguito i compiti a casa assegnati per le ultime vacanze natalizie. Meno di uno studente su tre li ha completati e il 14% non li ha neppure guardati. Il dato più significativo, tuttavia, è che ben il 65% non ha esitato a scopiazzare qua e là, sfruttando in primo luogo Internet, mentre il 45% ha sostenuto orgogliosamente di non aver copiato nulla. Tra i "copioni", il 38% ha usato il web, il 13% ha sfruttato qualche compagno più studioso, mentre solo il 4% ha cercato un aiuto sui libri. Tra gli altri dati interessanti, dal sondaggio emerge che 2 studenti su 3 hanno valutato eccessivi i compiti assegnati per il periodo natalizio. Solo il 32% ha finito di studiare in tempo. Un 30% circa ha eseguito solo il 75% dei compiti assegnati, il 25% ne ha svolto una percentuale compresa tra il 25% e il 50% e tutti gli altri non hanno fatto nulla. Il 43% degli studenti ha cominciato a pensare ai compiti solo all’ultimo momento e il 29% ha cominciato tra Natale e Capodanno. Il 40%, infine, ha letto per intero i libri di lettura che erano stati assegnati, e il 25% ha almeno provato a farlo. Uno su 3, invece, non ha neppure aperto i libri.
Sia da parte di coloro che sono favorevoli ai compiti, sia da parte di coloro che sono contrari emergono considerazioni ragionevoli. Sicuramente dai risultati del sondaggio condotto tra gli studenti emerge però in modo abbastanza chiaro che i compiti vengono da essi percepiti come un'incombenza prevalentemente formale cui si deve adempiere obbligatoriamente, magari copiando. Purtroppo i compiti non vengono affatto recepiti come un allenamento e un'opportunità di apprendimento. Svolti in questo modo e con questo atteggiamento non penso che i compiti abbiano una grande utilità. E sicuramente la scuola e gli insegnanti hanno la loro responsabilità sul modo in cui gli studenti percepiscono i compiti.
Quello che mi sembra manchi, in tutto il dibattito sui compiti, è un approccio scientifico al problema. Ognuno esprime le proprie convinzioni, ma difficilmente porta prove a sostegno di ciò che afferma. Non so francamente se sia mai stato fatto, ma sarebbe estremamente interessante effettuare uno studio comparativo che confronti i risultati di apprendimento ottenuti su gruppi omogenei di studenti assegnando o non assegnando i compiti a casa, a parità di tutti gli altri interventi didattici. Si tratta di un bel "compito" che, questa volta, potrebbero essere gli insegnati a svolgere, magari solo per un periodo di tempo e su una porzione limitata del programma. Qualche collega che legge Query vuole provare? Il dibattito è aperto. Potete comunicarmi le vostre esperienze all'indirizzo [email protected] .
Note
2) F. Foradini, "Ocse: molte ore per i compiti a casa non garantiscono il rendimento scolastico", Il Sole 24 Ore, 14 dicembre 2014
3) A. De Gregorio, "Compiti a casa, italiani da record. Studiamo il triplo dei coreani", Corriere della Sera, 11 dicembre 2014