Ecco perché è la mia (nostra) rubrica dedicata a quattro chiacchiere senza formule né conti difficili per provare a capirci qualcosa di più sui meravigliosi fenomeni che la natura e le tecnologie sviluppate dall’umanità ci mettono sotto il naso. In questo numero scrivo di uno di tali fatti spettacolari messo in atto lo scorso 9 luglio da un astronauta italiano, Luca Parmitano, che ha compiuto una “passeggiata spaziale”, meglio conosciuta in gergo come EVA (extra-vehicular activity), uscendo dalla stazione spaziale internazionale per compiere attività di manutenzione alle strutture esterne di questa mastodontica macchina che orbita sopra le nostre teste.
Uscire da una stazione orbitante è sicuramente un evento straordinario da vari punti di vista, non ultimo il rischio oggettivo associato a questo tipo di attività. Come dire, non è proprio una passeggiata… in ogni caso non si tratta di una grande novità: la prima fu eseguita nel 1965 dal cosmonauta sovietico Leonov, che uscì dalla capsula Voskhod 2 rischiando di non potervici rientrare per colpa di un aumento del volume della tuta pressurizzata che indossava. A quei “bei tempi” di guerra fredda, gli statunitensi cercavano di tenere il passo con i sovietici (all’inizio con scarso successo) e mandavano a spasso nello spazio l’astronauta White, fuori dalla sua capsula Gemini IV, ancora nel 1965. Anche lui rischiando nella manovra di rientro, questa volta per distrazione: troppo bello guardare la Terra scorrere sotto di sé a quasi trentamila chilometri all’ora, anche se così correndo il tramonto avveniva dopo una manciata di minuti dall’uscita. L’astronauta White sarebbe stato alla fine molto meno fortunato del suo predecessore Leonov, visto che finì arso vivo nel rogo che sancì l’inadeguatezza iniziale del progetto Apollo: tutto da rifare, sicurezza, alimentazione, comunicazioni. Tecnologie da migliorare, come sempre, magari senza mettere a repentaglio vite umane.
Cosa c’è di straordinario nella missione di Parmitano di oggi? Tutto, se si è ammiratori della tecnologia astronautica e, più in generale, della scienza dei nostri tempi. Molto meno, mi si permetta, se si vuole abbinare questa passeggiata con la bandiera italiana che pure con giusto orgoglio è cucita sulla tuta spaziale del nostro valido e valoroso astronauta.
Procediamo con ordine: prima i fatti, la parte scientifica di Ecco perché, poi un minimo di commento politico, se così si può dire.
Anzitutto andare in orbita è di per sé cosa non banale. Figuriamoci poi azzardarsi a uscire dalla stazione/navicella orbitante vestiti “solamente” di una tuta a tenuta stagna con sulle spalle una riserva di aria respirabile, oppure attaccati a un tubo (cordone ombelicale) che consente di non morire soffocati. Restare in orbita non è uno stato normale del nostro mondo, dove tutto prima o poi cadendo torna al suolo: maledetta gravità. Allora cosa succede sopra le nostre teste, sulla ISS (International Space Station) che ospita l’irrequieto Luca Parmitano? Cade o non cade? Certo che no, e non certo perché viaggia a quote elevate dal momento che quando passa sopra le nostre teste (più frequentemente di quanto non si immagini), dista da noi in linea d’aria meno di una tratta da Roma a Milano, intorno ai quattrocento chilometri. Dunque perché quando Parmitano lascia cadere una penna biro questa gli fluttua indifferente davanti al naso?
Non è una novità, queste sono cose vecchie di decenni. Però prendono quasi sempre alla sprovvista anche il cittadino più curioso e attento. Un’astronave in orbita, e tutto ciò che si porta dietro (astronauti inclusi), non è senza peso. Subisce tutta (o quasi) la forza di gravità, che fa quello che deve: accelera (trascina a sé variandone la velocità) il satellite, l’astronauta, la Luna, qualsiasi massa; solo che questi oggetti sono, naturalmente o artificialmente, in moto anche trasversale, tangente o come preferite pensare attorno alla Terra. Dunque succede che il satellite cade (trascinato “in giù” dalla gravità), ma è simultaneamente dotato di velocità laterale che, se sufficientemente elevata, fa sì che la caduta verso il centro della Terra non faccia precipitare la navicella perché la Terra è “curva”, si allontana proprio per il suo profilo essenzialmente circolare dalla traiettoria di caduta del satellite, della Luna, di Parmitano. Cadono tutti con la stessa accelerazione: sia Parmitano, sia la penna biro che ha lasciato andare. Il tutto conduce ai ben noti e a volte divertenti casi di “assenza di peso”, che è dunque un’espressione quanto meno ambigua, se non del tutto errata. Il peso (attrazione gravitazionale) c’è pressoché intero nel suo valore, ma si fa sentire solo quando qualcosa si oppone a esso e gli resiste, come per esempio un pavimento. Noi non possiamo continuare a essere accelerati dalla gravitazione terrestre perché il nostro sedere (e i piedi, certo) sono sostenuti dalla sedia e dal resto della nostra casa.
I nostri astronauti in orbita non hanno bisogno (né concepiscono più il senso) di un pavimento: è qualcosa che non ha un ruolo attivo, visto che cade assieme alla stazione spaziale internazionale.
Bene, spettacolare. Ma che c’entra tutto ciò con la missione di Parmitano o di qualunque suo predecessore in una missione EVA? Si tratta davvero di un evento epocale?
Lo è di certo per Luca Parmitano (ed è comprensibile sentirsi euforico, arrivato, felice quando si orbita a circa otto chilometri al secondo a quattrocento chilometri di quota di volo in pressoché totale assenza di atmosfera. Io mi sentirei terrorizzato, ma è per questo che giustamente parliamo di super-uomini riferendoci agli astronauti). Anche questi scienziati “cosmici” (indicati come «turisti delle stelle» da qualche testata giornalistica che non ha forse le idee chiare sulle distanze fra sole e stelle, anche quelle più prossime a noi) sono oggetti fisici, masse, porzioni di materia accelerate come lo sono pezzi di pietra, bulloni e qualsiasi altra cosa, inclusa la stazione spaziale che hanno appena lasciato per la loro missione EVA. Cadono in perfetto sincronismo, astronauti e navicelle, che dunque, gli uni rispetto alle altre, non cadono per nulla.
Si tratta di un moto-danza che ci è noto da quasi mezzo secolo (la prima uscita spaziale di Leonov, poco sopra citata) e che continua con densità notevolissima: centinaia, letteralmente, sono state le EVA di ogni genere, dalle pionieristiche missioni già citate di Leonov e White, alle camminate sul suolo lunare (dodici uomini per molte ore complessive) per giungere alle complesse manovre di costruzione, manutenzione, aggiornamento della MIR (stazione spaziale sovietica e poi russa ora distrutta per anzianità) e della ISS. Inclusa fra tutte queste la missione di Luca Parmitano.
Se capisco il suo meritato orgoglio personale, mi sento molto più freddo rispetto ai titoli di quotidiani nazionali che sottolineano l’impegno italiano che ha permesso di essere presenti in una passeggiata spaziale – la prima – dopo 48 (quarantotto) anni. Non mi pare un record di cui andare troppo orgogliosi, al di là (ripeto ancora, per non essere frainteso) del valore indiscutibile dell’uomo Parmitano. Ma non dell’italiano, nonostante il tricolore cucito sulla tuta spaziale.
Non giriamoci troppo attorno. Siamo un Paese che nella comunità europea è fanalino di coda per quanto riguarda il rapporto fra investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica e PIL. Se Parmitano è oggi in orbita sulla ISS a fare interessanti e importanti esperimenti non è grazie a una pressoché inesistente partecipazione e sforzo dei nostri ministeri (in)competenti. Lo si deve unicamente alla voglia di emergere, all’impegno personale e, terribile da scrivere, alla fuga di cervelli che, sistematicamente e inevitabilmente, caratterizzano lo scenario italiano.
Si dirà che non è vero, che abbiamo punte di diamante nelle tecnologie e nella scienza. Non credo sia così: le nostre punte di diamante sono persone, non agenzie, enti, università, imprese. E le persone fuggono da questa povera Italia, la cui economia è penalizzata da evasione, delinquenza organizzata e corruzione e che appare così poco interessata a sostenere e modernizzare le proprie istituzioni formative ed educative.
Io auguro a Luca Parmitano una felice permanenza sulla ISS, che gli sia “leggera” l’apparente assenza di gravità, e spero che ci invii ancora tante immagini fantastiche del nostro pianeta attraverso il suo canale twitter. Gli chiederei anche di spiegare ai giovani delle nostre scuole, ai loro insegnanti, e a chi ci governa, che è giunto il momento di cambiare molte cose nel nostro Paese. Anzi, non molte. Tutte.
Uscire da una stazione orbitante è sicuramente un evento straordinario da vari punti di vista, non ultimo il rischio oggettivo associato a questo tipo di attività. Come dire, non è proprio una passeggiata… in ogni caso non si tratta di una grande novità: la prima fu eseguita nel 1965 dal cosmonauta sovietico Leonov, che uscì dalla capsula Voskhod 2 rischiando di non potervici rientrare per colpa di un aumento del volume della tuta pressurizzata che indossava. A quei “bei tempi” di guerra fredda, gli statunitensi cercavano di tenere il passo con i sovietici (all’inizio con scarso successo) e mandavano a spasso nello spazio l’astronauta White, fuori dalla sua capsula Gemini IV, ancora nel 1965. Anche lui rischiando nella manovra di rientro, questa volta per distrazione: troppo bello guardare la Terra scorrere sotto di sé a quasi trentamila chilometri all’ora, anche se così correndo il tramonto avveniva dopo una manciata di minuti dall’uscita. L’astronauta White sarebbe stato alla fine molto meno fortunato del suo predecessore Leonov, visto che finì arso vivo nel rogo che sancì l’inadeguatezza iniziale del progetto Apollo: tutto da rifare, sicurezza, alimentazione, comunicazioni. Tecnologie da migliorare, come sempre, magari senza mettere a repentaglio vite umane.
Cosa c’è di straordinario nella missione di Parmitano di oggi? Tutto, se si è ammiratori della tecnologia astronautica e, più in generale, della scienza dei nostri tempi. Molto meno, mi si permetta, se si vuole abbinare questa passeggiata con la bandiera italiana che pure con giusto orgoglio è cucita sulla tuta spaziale del nostro valido e valoroso astronauta.
Procediamo con ordine: prima i fatti, la parte scientifica di Ecco perché, poi un minimo di commento politico, se così si può dire.
Anzitutto andare in orbita è di per sé cosa non banale. Figuriamoci poi azzardarsi a uscire dalla stazione/navicella orbitante vestiti “solamente” di una tuta a tenuta stagna con sulle spalle una riserva di aria respirabile, oppure attaccati a un tubo (cordone ombelicale) che consente di non morire soffocati. Restare in orbita non è uno stato normale del nostro mondo, dove tutto prima o poi cadendo torna al suolo: maledetta gravità. Allora cosa succede sopra le nostre teste, sulla ISS (International Space Station) che ospita l’irrequieto Luca Parmitano? Cade o non cade? Certo che no, e non certo perché viaggia a quote elevate dal momento che quando passa sopra le nostre teste (più frequentemente di quanto non si immagini), dista da noi in linea d’aria meno di una tratta da Roma a Milano, intorno ai quattrocento chilometri. Dunque perché quando Parmitano lascia cadere una penna biro questa gli fluttua indifferente davanti al naso?
Non è una novità, queste sono cose vecchie di decenni. Però prendono quasi sempre alla sprovvista anche il cittadino più curioso e attento. Un’astronave in orbita, e tutto ciò che si porta dietro (astronauti inclusi), non è senza peso. Subisce tutta (o quasi) la forza di gravità, che fa quello che deve: accelera (trascina a sé variandone la velocità) il satellite, l’astronauta, la Luna, qualsiasi massa; solo che questi oggetti sono, naturalmente o artificialmente, in moto anche trasversale, tangente o come preferite pensare attorno alla Terra. Dunque succede che il satellite cade (trascinato “in giù” dalla gravità), ma è simultaneamente dotato di velocità laterale che, se sufficientemente elevata, fa sì che la caduta verso il centro della Terra non faccia precipitare la navicella perché la Terra è “curva”, si allontana proprio per il suo profilo essenzialmente circolare dalla traiettoria di caduta del satellite, della Luna, di Parmitano. Cadono tutti con la stessa accelerazione: sia Parmitano, sia la penna biro che ha lasciato andare. Il tutto conduce ai ben noti e a volte divertenti casi di “assenza di peso”, che è dunque un’espressione quanto meno ambigua, se non del tutto errata. Il peso (attrazione gravitazionale) c’è pressoché intero nel suo valore, ma si fa sentire solo quando qualcosa si oppone a esso e gli resiste, come per esempio un pavimento. Noi non possiamo continuare a essere accelerati dalla gravitazione terrestre perché il nostro sedere (e i piedi, certo) sono sostenuti dalla sedia e dal resto della nostra casa.
I nostri astronauti in orbita non hanno bisogno (né concepiscono più il senso) di un pavimento: è qualcosa che non ha un ruolo attivo, visto che cade assieme alla stazione spaziale internazionale.
Bene, spettacolare. Ma che c’entra tutto ciò con la missione di Parmitano o di qualunque suo predecessore in una missione EVA? Si tratta davvero di un evento epocale?
Lo è di certo per Luca Parmitano (ed è comprensibile sentirsi euforico, arrivato, felice quando si orbita a circa otto chilometri al secondo a quattrocento chilometri di quota di volo in pressoché totale assenza di atmosfera. Io mi sentirei terrorizzato, ma è per questo che giustamente parliamo di super-uomini riferendoci agli astronauti). Anche questi scienziati “cosmici” (indicati come «turisti delle stelle» da qualche testata giornalistica che non ha forse le idee chiare sulle distanze fra sole e stelle, anche quelle più prossime a noi) sono oggetti fisici, masse, porzioni di materia accelerate come lo sono pezzi di pietra, bulloni e qualsiasi altra cosa, inclusa la stazione spaziale che hanno appena lasciato per la loro missione EVA. Cadono in perfetto sincronismo, astronauti e navicelle, che dunque, gli uni rispetto alle altre, non cadono per nulla.
Si tratta di un moto-danza che ci è noto da quasi mezzo secolo (la prima uscita spaziale di Leonov, poco sopra citata) e che continua con densità notevolissima: centinaia, letteralmente, sono state le EVA di ogni genere, dalle pionieristiche missioni già citate di Leonov e White, alle camminate sul suolo lunare (dodici uomini per molte ore complessive) per giungere alle complesse manovre di costruzione, manutenzione, aggiornamento della MIR (stazione spaziale sovietica e poi russa ora distrutta per anzianità) e della ISS. Inclusa fra tutte queste la missione di Luca Parmitano.
Se capisco il suo meritato orgoglio personale, mi sento molto più freddo rispetto ai titoli di quotidiani nazionali che sottolineano l’impegno italiano che ha permesso di essere presenti in una passeggiata spaziale – la prima – dopo 48 (quarantotto) anni. Non mi pare un record di cui andare troppo orgogliosi, al di là (ripeto ancora, per non essere frainteso) del valore indiscutibile dell’uomo Parmitano. Ma non dell’italiano, nonostante il tricolore cucito sulla tuta spaziale.
Non giriamoci troppo attorno. Siamo un Paese che nella comunità europea è fanalino di coda per quanto riguarda il rapporto fra investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica e PIL. Se Parmitano è oggi in orbita sulla ISS a fare interessanti e importanti esperimenti non è grazie a una pressoché inesistente partecipazione e sforzo dei nostri ministeri (in)competenti. Lo si deve unicamente alla voglia di emergere, all’impegno personale e, terribile da scrivere, alla fuga di cervelli che, sistematicamente e inevitabilmente, caratterizzano lo scenario italiano.
Si dirà che non è vero, che abbiamo punte di diamante nelle tecnologie e nella scienza. Non credo sia così: le nostre punte di diamante sono persone, non agenzie, enti, università, imprese. E le persone fuggono da questa povera Italia, la cui economia è penalizzata da evasione, delinquenza organizzata e corruzione e che appare così poco interessata a sostenere e modernizzare le proprie istituzioni formative ed educative.
Io auguro a Luca Parmitano una felice permanenza sulla ISS, che gli sia “leggera” l’apparente assenza di gravità, e spero che ci invii ancora tante immagini fantastiche del nostro pianeta attraverso il suo canale twitter. Gli chiederei anche di spiegare ai giovani delle nostre scuole, ai loro insegnanti, e a chi ci governa, che è giunto il momento di cambiare molte cose nel nostro Paese. Anzi, non molte. Tutte.