Ebe Giorgini cominciò a far parlare di sé a dodici anni, quando abitava nella campagna pratese, ed era una bambina “tutta casa e chiesa” che sognava di prendere il velo. Lo sognava tanto bene che cominciò a raccontare in giro di essere in contatto diretto con la Madonna, di operare guarigioni, e persino di aver ricevuto le stigmate: peccato che fossero stigmate un po’ strane, invisibili agli occhi degli estranei.
L’idea di farsi suora le passò rapidamente e, nel 1953, Ebe sposò un contadino trasferendosi a vivere al podere “Consuma” di Loretino, in una vecchia casa colonica dove però si ammalò ben presto. Era una strana malattia di cui i medici non capivano nulla. La poverina languiva nel letto e riprese ad avere visioni soprannaturali: la Madonna le apparve annunciandole che, per guarire, doveva andare da Padre Pio. Ebe ubbidì e ottenne la guarigione, poi tornata in Toscana prese a curare la gente in nome del frate di Pietrelcina, finché una lettera del padre provinciale di Foggia la diffidò dall’usare il nome del sacerdote.
Nel frattempo le stigmate erano spuntate di nuovo: si trattava di escoriazioni alle mani, ai piedi, al costato, alla fronte. Ebe, a suo dire, divenne cieca. «Mi si seccò il nervo ottico», diceva, «anche ora sono cieca. Ma ho sempre l’angelo custode al mio fianco per guidarmi». Altro che cani-guida!
L’attività di Ebe continuava, e le sue “guarigioni” fecero scalpore e le donarono una fama quale nessun “guaritore” aveva mai conquistato nel Pistoiese. Si disse che un indemoniato, benedetto e unto da lei con olio santo, aveva sputato un enorme rospo. E l’aia di Loretino divenne meta di pellegrinaggi religioso-terapeutici.
I devoti cominciavano ad arrivare all’alba e c’erano persone sull’aia fino a notte alta. Tutti aspettavano tranquillamente il proprio briciolo di speranza sulle prode dei campi, sotto gli alberi, seduti sulle stanghe di un barroccio se c’era il sole: nella fumosa cucina se tirava vento o se pioveva. Il paziente entrava nella stanza della cura, una camera da letto-santuario con le pareti tappezzate d’immagini sacre, candele, lumini e una grande statua che, si scoprì poi, veniva dalla chiesa di Sant’Angelo a Lecore. La statua riluceva di ori: cinque chili di preziosi. Una quantità di ex-voto adornava le pareti; unici tocchi profani, i formaggi e le mele a maturare sull’armadio.
In quest’ambiente si muoveva una donna giovane, tutt’altro che brutta; la santona di Loretino accoglieva cordialmente i devoti mettendo in mostra i mezzi guanti di filo, e raccomandando preghiere. Le unzioni si svolgevano rapidamente. Ai pazienti Ebe non chiedeva denaro: accettava soltanto oboli, polli, prosciutti, formaggi.
La sua attività però rendeva bene, ed Ebe acquistò una “millequattro” per le visite a domicilio, mentre il marito prese la patente di guida.
Il parroco del paese, intanto, si rivolse alla Curia che prese drastici provvedimenti: il vescovo le tolse i Sacramenti e la benedizione della casa.
Intanto il podere aveva acquistato nuovi ospiti. C’erano alcune ragazze, converse di un ordine che Ebe cercava di fondare, c’era un giovanotto, tale Giorgio Milan, “frate” laico nativo di Vicenza che aveva vissuto in un eremitaggio abruzzese.
Finalmente, nel febbraio 1957, arrivò nell’aia di Loretino la polizia a sirene spiegate. Il commissario trovò la santona a letto, bendata alla testa e alle mani: non si lasciò commuovere e le disse chiaro e tondo di smetterla in quanto l’articolo 121 del testo unico di pubblica sicurezza vieta il “mestiere di ciarlatano”. Non appena la polizia si allontanò, però, Ebe ricominciò le sue benedizioni.
L’aria a Loretino si era fatta pesante, ed Ebe decise di andare in esilio: firmò un contratto che la rendeva proprietaria di una bella villa a pochi chilometri da Montecatini. Il nome, San Baronto, non era affascinante come Loretino, ma poteva andare.
Ai primi di maggio 1957 Ebe entrò in clinica per sottoporre le stigmate a perizia medico-legale, ma a parte una crisi semi-catalettica accompagnata da parole bibliche, non una stilla di sangue sbocciò dalle escoriazioni. Quella sera stessa, riconfortati gli stanchi spiriti con una cenetta e un caffè, l’ex-santona di Loretino prese definitivamente la via dell’esilio apprestandosi a diventare la Maga di San Baronto.
Da allora la sua “carriera” continuò com’era cominciata: dal 1980 in poi fu a più riprese messa sotto accusa per reati che andavano dall’estorsione al plagio psicologico dei seguaci.
Nel giugno 2010 venne nuovamente arrestata, insieme col marito, con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’esercizio abusivo della professione medica e alla truffa aggravata.
Per una santa, non c’è male!
L’idea di farsi suora le passò rapidamente e, nel 1953, Ebe sposò un contadino trasferendosi a vivere al podere “Consuma” di Loretino, in una vecchia casa colonica dove però si ammalò ben presto. Era una strana malattia di cui i medici non capivano nulla. La poverina languiva nel letto e riprese ad avere visioni soprannaturali: la Madonna le apparve annunciandole che, per guarire, doveva andare da Padre Pio. Ebe ubbidì e ottenne la guarigione, poi tornata in Toscana prese a curare la gente in nome del frate di Pietrelcina, finché una lettera del padre provinciale di Foggia la diffidò dall’usare il nome del sacerdote.
Nel frattempo le stigmate erano spuntate di nuovo: si trattava di escoriazioni alle mani, ai piedi, al costato, alla fronte. Ebe, a suo dire, divenne cieca. «Mi si seccò il nervo ottico», diceva, «anche ora sono cieca. Ma ho sempre l’angelo custode al mio fianco per guidarmi». Altro che cani-guida!
L’attività di Ebe continuava, e le sue “guarigioni” fecero scalpore e le donarono una fama quale nessun “guaritore” aveva mai conquistato nel Pistoiese. Si disse che un indemoniato, benedetto e unto da lei con olio santo, aveva sputato un enorme rospo. E l’aia di Loretino divenne meta di pellegrinaggi religioso-terapeutici.
I devoti cominciavano ad arrivare all’alba e c’erano persone sull’aia fino a notte alta. Tutti aspettavano tranquillamente il proprio briciolo di speranza sulle prode dei campi, sotto gli alberi, seduti sulle stanghe di un barroccio se c’era il sole: nella fumosa cucina se tirava vento o se pioveva. Il paziente entrava nella stanza della cura, una camera da letto-santuario con le pareti tappezzate d’immagini sacre, candele, lumini e una grande statua che, si scoprì poi, veniva dalla chiesa di Sant’Angelo a Lecore. La statua riluceva di ori: cinque chili di preziosi. Una quantità di ex-voto adornava le pareti; unici tocchi profani, i formaggi e le mele a maturare sull’armadio.
In quest’ambiente si muoveva una donna giovane, tutt’altro che brutta; la santona di Loretino accoglieva cordialmente i devoti mettendo in mostra i mezzi guanti di filo, e raccomandando preghiere. Le unzioni si svolgevano rapidamente. Ai pazienti Ebe non chiedeva denaro: accettava soltanto oboli, polli, prosciutti, formaggi.
La sua attività però rendeva bene, ed Ebe acquistò una “millequattro” per le visite a domicilio, mentre il marito prese la patente di guida.
Il parroco del paese, intanto, si rivolse alla Curia che prese drastici provvedimenti: il vescovo le tolse i Sacramenti e la benedizione della casa.
Intanto il podere aveva acquistato nuovi ospiti. C’erano alcune ragazze, converse di un ordine che Ebe cercava di fondare, c’era un giovanotto, tale Giorgio Milan, “frate” laico nativo di Vicenza che aveva vissuto in un eremitaggio abruzzese.
Finalmente, nel febbraio 1957, arrivò nell’aia di Loretino la polizia a sirene spiegate. Il commissario trovò la santona a letto, bendata alla testa e alle mani: non si lasciò commuovere e le disse chiaro e tondo di smetterla in quanto l’articolo 121 del testo unico di pubblica sicurezza vieta il “mestiere di ciarlatano”. Non appena la polizia si allontanò, però, Ebe ricominciò le sue benedizioni.
L’aria a Loretino si era fatta pesante, ed Ebe decise di andare in esilio: firmò un contratto che la rendeva proprietaria di una bella villa a pochi chilometri da Montecatini. Il nome, San Baronto, non era affascinante come Loretino, ma poteva andare.
Ai primi di maggio 1957 Ebe entrò in clinica per sottoporre le stigmate a perizia medico-legale, ma a parte una crisi semi-catalettica accompagnata da parole bibliche, non una stilla di sangue sbocciò dalle escoriazioni. Quella sera stessa, riconfortati gli stanchi spiriti con una cenetta e un caffè, l’ex-santona di Loretino prese definitivamente la via dell’esilio apprestandosi a diventare la Maga di San Baronto.
Da allora la sua “carriera” continuò com’era cominciata: dal 1980 in poi fu a più riprese messa sotto accusa per reati che andavano dall’estorsione al plagio psicologico dei seguaci.
Nel giugno 2010 venne nuovamente arrestata, insieme col marito, con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’esercizio abusivo della professione medica e alla truffa aggravata.
Per una santa, non c’è male!