Vi parlerò di pandemia e globalizzazione, cioè di come i virus si adattano anche ai meccanismi della globalizzazione creando quelle che chiamiamo malattie emergenti.
Perché sono così importanti e così interessanti le malattie emergenti?
Le malattie emergenti sono delle malattie che perlopiù emergono dal serbatoio animale e sono in grado di passare a un’altra specie animale, ovvero l’uomo, attraverso le modalità più impensabili. Due esempi significativi sono quello dell’HIV, il virus emergente che ha avuto l’impatto più significativo sulla salute pubblica negli ultimi vent’anni, e quello della SARS, che ha provocato un grandissimo allarme internazionale tanto da rendere necessario mobilitare forze di ordine pubblico per fermarla.
I focolai di malattia infettiva emergente sono in aumento grazie alla capacità di questi patogeni di occupare delle nicchie precedentemente inaccessibili sfruttando proprio i meccanismi della globalizzazione.
Diamo uno sguardo alle motivazioni che sono alla base della preoccupazione degli scienziati sull’impatto delle malattie emergenti. La popolazione mondiale è in aumento, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, in particolare Asia e Africa. E gli abitanti di quei Paesi, come i nostri genitori e i nostri nonni dopo la guerra, vogliono giustamente avere più accesso a proteine di origine animale. Perché le proteine di origine animale, di cui in Occidente oggi cerchiamo di limitare il consumo, sono estremamente importanti nello sviluppo della popolazione. Non vogliono quindi più nutrirsi soltanto di prodotti vegetali, cereali, riso, eccetera, ma vogliono avere accesso a latte, uova e ovviamente anche a carne.
Per consumare più carne bisogna produrne di più, ma questo viene spesso fatto in condizioni ambientali e sociali inadeguate e pericolose. Una delle regole fondamentali prevede di non mescolare popolazioni animali di origini diverse. Si tratta però di una regola che in molti contesti, e soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, viene spesso violata. Per esempio alcuni ricorderanno che, quando l’influenza aviaria ha colpito molto duramente il Sud-Est asiatico, i giornali hanno pubblicato foto di volatili verosimilmente infetti, che scaricavano le loro deiezioni in testa ai maiali che le mangiavano. Più in generale in alcuni di quei Paesi gli animali hanno accesso all’ambiente selvatico e quindi a tutti i patogeni che sono trasportati dagli uccelli selvatici. Il risultato è che quando vi è la minaccia di una malattia infettiva, diventa estremamente complicato controllarla.
Gli animali allevati per essere consumati si spostano su base locale, ma anche su base internazionale: vi è un movimento veramente sorprendente di prodotti alimentari da un emisfero all’altro. Se voi volete andare a mangiare la bistecca argentina – oggi queste steak house sono molto comuni – la mezzena dell’animale che è stato allevato in Argentina viene caricata su una nave, arriva in Europa e poi viene smistata in Italia. Lo stesso movimento viene svolto da altri prodotti di origine animale, come i gamberetti che arrivano per larghissima parte dal Sud-Est Asiatico, la carne di suino o la carne di pollo, che l’Italia non importa, ma che arriva in Europa dal Brasile o dalla Thailandia, perché costa molto di meno.
Questo comporta lo spostamento di tonnellate e tonnellate di derrate alimentari che sono certificate. Ma insieme a queste si spostano anche dei prodotti che non sono certificati e che sono importati illegalmente. Qualche anno fa, proprio il mio laboratorio ricevette dal porto di Ancona del materiale che era stato importato illegalmente dalla Cina: erano delle carcasse di pollo nero. Si tratta di un pollo pigmentato che ha la pelle nera e che piace molti ai cinesi. Insomma, come gli emigranti italiani hanno girato tutto il mondo con gli spaghetti e il pomodoro dietro, anche i cinesi non vogliono rinunciare alle loro abitudini alimentari. E nel materiale importato illegalmente che le autorità avevano sequestrato al porto di Ancona, e cioè carcasse che erano congelate e sottovuoto, noi abbiamo isolato dei virus dell’influenza aviaria.
Vi è poi un’altra questione da considerare, relativa al consumo di prodotti che arrivano dall’ambiente selvatico. Una delle cose più rischiose dal punto di vista epidemiologico, è entrare in contatto con sangue di scimmia, perché le scimmie sono molto vicine a noi, e il salto di specie del virus fra la scimmia e l’uomo è abbastanza agevole. Per una serie di motivi, tra cui usanze culturali e abitudini alimentari, vi è un nutrito commercio di prodotti che derivano dalla caccia e dall’abbattimento di primati. Il commercio di animali vivi illegale, che riguarda tantissime specie di animali, è molto più importante di quanto non si possa pensare. Alcuni esperti sostengono che come volume e come giro di affari è secondo soltanto al commercio di armi e di droga.
Al di là del cibo, vi voglio fare un esempio per farvi capire quanto possiamo essere a rischio anche senza saperlo. Il primo esempio riguarda in particolare, ma non solo, l’Italia. È probabile che molti di voi abbiano a casa delle piantine che dovrebbero essere dei bambù, in realtà non lo sono ma questo ha poca importanza. La cosa importante è che queste piantine hanno una specie di provettina, in fondo dove ci sono le radici, che contiene acqua. Queste piantine vengono coltivate in Asia, principalmente in Cina, poi vengono confezionate con la loro provettina, e vengono spedite in Europa su delle navi. Il problema è che l’acqua che è contenuta nella provetta contiene larve di insetti, e alcuni di questi insetti sono degli insetti ematofagi che possono arrivare a colonizzare determinati Paesi nei quali prima non erano presenti.
Mi viene chiesto spesso: «Riusciremo a fermare queste malattie che arrivano dall’altra parte del mondo?». Per rispondere partirò da una malattia trasmessa da vettori che ci riguarda molto da vicino: il virus West Nile. È un virus trasmesso da vettori che arriva dall’Africa e ha come ospiti terminali l’uomo e il cavallo, nei quali manifesta una malattia molto grave. Il virus è arrivato in Italia qualche anno fa, nelle zone più umide, perché è necessario che vi sia un ambiente caldo-umido per sostenerne la diffusione. Ecco che cosa è successo con il West Nile negli Stati Uniti a partire dal 2001, quando l’infezione è stata introdotta a New York. Nella metropolitana di New York le zanzare hanno trovato un ambiente perfetto per moltiplicarsi, e la potenza infettante del virus si è quindi amplificata. Dal 2001 al 2008 il virus si è diffuso provocando un numero crescente e significativo di morti, sia tra gli animali – cavalli e uccelli in particolare – sia tra gli uomini. Uso questo esempio per spiegare che se gli americani non sono riusciti a fermare questa malattia, sarà molto difficile che ci possiamo riuscire noi.
Un altro esempio è quello del vaiolo della scimmia, una malattia molto dolorosa e invalidante che è presente principalmente in Africa centrale e in particolare in Congo. Qualche anno fa negli Stati Uniti decisero di importare dei roditori, i ratti del Gambia, come animali da compagnia. Delle persone senza scrupoli avevano disseminato delle trappole, avevano catturato questi roditori, e li avevano portati negli Stati Uniti su una nave. Questi animali però non sono piaciuti come bestie da compagnia, il commercio non ha funzionato, e i proprietari dei negozi di animali li hanno presi e li hanno liberati negli Stati Uniti. Questi ratti trasportavano il vaiolo delle scimmie e il virus è arrivato ai cani della prateria, che sono molto comuni negli Stati Uniti. E così c’è stata una serie di focolai, per fortuna non in numero molto elevato, di vaiolo della scimmia negli Stati Uniti.
Ho scaricato queste diapositive dal sito dell’OMS, vedete in alto a destra l’orologio, quindi 27 aprile 2009, i Paesi in arancione sono quelli colpiti con casi confermati e i pallini rossi sono il numero di morti.
Per chiudere vi dirò due cose sulle pandemie influenzali, che sono delle evenienze abbastanza rare per fortuna, che si verificano in media ogni 20-25 anni. Noi sappiamo che i virus pandemici arrivano dagli animali. Vi sono alcuni animali che possono far generare e far evolvere dei virus, che poi possono infettare l’uomo. Ma i virus possono anche trasmettersi in maniera efficiente da uomo a uomo. Mentre tutto il mondo era preoccupato dall’insorgenza del virus aviario, è arrivato il virus dal suino. Questo virus dell’influenza suina è molto particolare perché è un vero arlecchino dell’era globalizzata. Il genoma del virus è costituito da otto geni, sei arrivano dal lineaggio americano del virus e due dal lineaggio euro asiatico. Ciò significa che in qualche parte del mondo, come conseguenza dei meccanismi della globalizzazione che vi ho raccontato sopra, un virus americano e un virus europeo si sono trovati all’interno della stessa cellula. I genomi si sono mescolati e hanno dato origine a questo virus veramente molto particolare.
Vi sono alcune persone che pensano che l’H1N1 non sia stata una pandemia, ma che sia stata una bufala, una montatura. Cominciamo col chiarirci sul significato di pandemia. Il concetto non indica una malattia che ucciderà milioni di persone, ma un’epidemia che si diffonde in tutto il mondo. Il primo Paese europeo colpito è stato la Spagna nel 2009, e il motivo è abbastanza chiaro. La maggior parte dei voli che partono dal Sud America arrivano a Madrid, e quindi è palese che il trasporto aereo ha influenzato la diffusione dell’infezione. Nel giro di un anno, l’infezione si è diffusa in tutto il mondo provocando un numero significativo di morti. Questo conferma che si è trattato di una pandemia. Per fortuna il virus non è stato così aggressivo come si temeva, ma è molto difficile riuscire a prevedere l’aggressività di un virus che è presente nel serbatoio animale. Purtroppo l’aggressività e la virulenza si deve misurare solo nel nuovo ospite. Le pandemie influenzali inoltre hanno un’ecologia e un’epidemiologia molto complessa, perché tutti i virus si diffondono a una serie di ospiti tra cui uccelli domestici, suini, cavalli, cani, eccetera. Ma alla diffusione del virus contribuiscono anche altri fattori legati agli spostamenti delle derrate alimentari e ai movimenti migratori umani. Per questo è estremamente difficile fare delle previsioni, ma soprattutto fermarne la diffusione.
Rispetto a questo quadro viene spontaneo chiedersi che cosa ci aspetta e qual è la direzione che la ricerca deve prendere per affrontare questi problemi. È ovvio che io non ho la palla di vetro, però posso raccontarvi che cosa abbiamo fatto noi, come laboratorio italiano, per sviluppare dei meccanismi a livello internazionale che ci rendessero più preparati.
Partiamo dall’influenza aviaria, una malattia che è in grado di uccidere il 100 per cento degli animali che infetta in 48 ore, ed è quindi uno dei virus più aggressivi che vi sia sulla faccia della Terra. Il virus cosiddetto H5N1, il virus dell’aviaria presente in Asia e tutt’oggi in molti altri Paesi, si è mostrato in grado di uccidere il 50 per cento delle persone che infettava. Quindi è un virus che preoccupava tantissimo, e ancora preoccupa, la comunità internazionale. Noi ci siamo trovati in una posizione particolare: avevamo un tesoretto scientifico e lo abbiamo usato per cambiare le politiche sanitarie internazionali, promuovendo un approccio più trasparente alla gestione dei dati. Il nostro laboratorio aveva isolato e caratterizzato il primo virus dell’influenza aviaria africano; quando mi fu chiesto di depositare quella sequenza, e quindi l’impronta digitale di questo virus, in un database ad accesso limitato, io mi sono rifiutata, e ho deciso di depositarlo in un database ad accesso pubblico. Per questa decisione mi sono trovata sulle pagine delle più importanti riviste scientifiche al mondo, ma anche su quelle di testate giornalistiche importanti, dal “Wall Street Journal” al “New York Times”. E in seguito a questo gran rifiuto, è partito un dibattito internazionale sulla trasparenza dei dati. Ci si è chiesti: a fronte di una minaccia epidemica, ha senso tenere a disposizione solo di un numero molto limitato di ricercatori le informazioni che possono servire per sviluppare strumenti diagnostici o per sviluppare vaccini, ma anche per capire meglio come questa infezione si diffonde? Io ho sempre pensato di no e devo dire che il dibattito ha preso immediatamente una piega positiva, anche se ovviamente c’è stata qualche critica. L’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale ha approvato una risoluzione nella quale impone ai laboratori che operano per suo conto il deposito delle sequenze genetiche dei virus influenzali animali. Lo stesso ha fatto la FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di agricoltura e alimentazione e l’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità). Ma la cosa di cui io vado particolarmente orgogliosa è che nel 2011, dopo una negoziazione durata cinque anni, l’OMS ha approvato una risoluzione, che loro stessi definiscono una svolta epocale, nella quale raccomanda la trasparenza dei dati a livello internazionale, per essere tutti più preparati a rispondere alle pandemie. E tutto questo è partito dall’azione di un laboratorio pubblico italiano, e grazie alla credibilità e alla visibilità internazionale di questo laboratorio dal nome un po’ obsoleto, zooprofilattico, un nome che vorrei cambiare come chiedo sempre ai referenti istituzionali con cui mi confronto. Al di là di questo, voglio sottolineare che da un istituto pubblico italiano è partito un meccanismo che ha modificato i giochi a livello internazionale. Questo cambiamento è importante non solo per le epidemie influenzali, anche se per l’influenza suina che è arrivata dopo l’influenza aviaria è stato utilissimo avere già un meccanismo che funzionava per la trasparenza dei dati. Ma più in generale questo nuovo approccio può servire da modello per tutte le emergenze sanitarie. In questo modo sarà possibile avere a disposizione uno strumento che ci permetta di reagire in maniera più efficiente e migliore.
Voglio perciò concludere con un messaggio: la globalizzazione ci impone una gestione più trasparente dei dati e la creazione di reti interdisciplinari, che coinvolgano sia i medici sia i veterinari, per una salute migliore di tutti. Perché poi alla fine anche le istituzioni e le politiche, i massimi sistemi, possono essere cambiati soltanto grazie all’azione delle persone.
Trascrizione dall'intervento di Ilaria Capua al XII Convegno del CICAP, a cura di Sonia Ciampoli e Valentina Bonvini
Perché sono così importanti e così interessanti le malattie emergenti?
Le malattie emergenti sono delle malattie che perlopiù emergono dal serbatoio animale e sono in grado di passare a un’altra specie animale, ovvero l’uomo, attraverso le modalità più impensabili. Due esempi significativi sono quello dell’HIV, il virus emergente che ha avuto l’impatto più significativo sulla salute pubblica negli ultimi vent’anni, e quello della SARS, che ha provocato un grandissimo allarme internazionale tanto da rendere necessario mobilitare forze di ordine pubblico per fermarla.
I focolai di malattia infettiva emergente sono in aumento grazie alla capacità di questi patogeni di occupare delle nicchie precedentemente inaccessibili sfruttando proprio i meccanismi della globalizzazione.
Diamo uno sguardo alle motivazioni che sono alla base della preoccupazione degli scienziati sull’impatto delle malattie emergenti. La popolazione mondiale è in aumento, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, in particolare Asia e Africa. E gli abitanti di quei Paesi, come i nostri genitori e i nostri nonni dopo la guerra, vogliono giustamente avere più accesso a proteine di origine animale. Perché le proteine di origine animale, di cui in Occidente oggi cerchiamo di limitare il consumo, sono estremamente importanti nello sviluppo della popolazione. Non vogliono quindi più nutrirsi soltanto di prodotti vegetali, cereali, riso, eccetera, ma vogliono avere accesso a latte, uova e ovviamente anche a carne.
Per consumare più carne bisogna produrne di più, ma questo viene spesso fatto in condizioni ambientali e sociali inadeguate e pericolose. Una delle regole fondamentali prevede di non mescolare popolazioni animali di origini diverse. Si tratta però di una regola che in molti contesti, e soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, viene spesso violata. Per esempio alcuni ricorderanno che, quando l’influenza aviaria ha colpito molto duramente il Sud-Est asiatico, i giornali hanno pubblicato foto di volatili verosimilmente infetti, che scaricavano le loro deiezioni in testa ai maiali che le mangiavano. Più in generale in alcuni di quei Paesi gli animali hanno accesso all’ambiente selvatico e quindi a tutti i patogeni che sono trasportati dagli uccelli selvatici. Il risultato è che quando vi è la minaccia di una malattia infettiva, diventa estremamente complicato controllarla.
Gli animali allevati per essere consumati si spostano su base locale, ma anche su base internazionale: vi è un movimento veramente sorprendente di prodotti alimentari da un emisfero all’altro. Se voi volete andare a mangiare la bistecca argentina – oggi queste steak house sono molto comuni – la mezzena dell’animale che è stato allevato in Argentina viene caricata su una nave, arriva in Europa e poi viene smistata in Italia. Lo stesso movimento viene svolto da altri prodotti di origine animale, come i gamberetti che arrivano per larghissima parte dal Sud-Est Asiatico, la carne di suino o la carne di pollo, che l’Italia non importa, ma che arriva in Europa dal Brasile o dalla Thailandia, perché costa molto di meno.
Questo comporta lo spostamento di tonnellate e tonnellate di derrate alimentari che sono certificate. Ma insieme a queste si spostano anche dei prodotti che non sono certificati e che sono importati illegalmente. Qualche anno fa, proprio il mio laboratorio ricevette dal porto di Ancona del materiale che era stato importato illegalmente dalla Cina: erano delle carcasse di pollo nero. Si tratta di un pollo pigmentato che ha la pelle nera e che piace molti ai cinesi. Insomma, come gli emigranti italiani hanno girato tutto il mondo con gli spaghetti e il pomodoro dietro, anche i cinesi non vogliono rinunciare alle loro abitudini alimentari. E nel materiale importato illegalmente che le autorità avevano sequestrato al porto di Ancona, e cioè carcasse che erano congelate e sottovuoto, noi abbiamo isolato dei virus dell’influenza aviaria.
Vi è poi un’altra questione da considerare, relativa al consumo di prodotti che arrivano dall’ambiente selvatico. Una delle cose più rischiose dal punto di vista epidemiologico, è entrare in contatto con sangue di scimmia, perché le scimmie sono molto vicine a noi, e il salto di specie del virus fra la scimmia e l’uomo è abbastanza agevole. Per una serie di motivi, tra cui usanze culturali e abitudini alimentari, vi è un nutrito commercio di prodotti che derivano dalla caccia e dall’abbattimento di primati. Il commercio di animali vivi illegale, che riguarda tantissime specie di animali, è molto più importante di quanto non si possa pensare. Alcuni esperti sostengono che come volume e come giro di affari è secondo soltanto al commercio di armi e di droga.
Al di là del cibo, vi voglio fare un esempio per farvi capire quanto possiamo essere a rischio anche senza saperlo. Il primo esempio riguarda in particolare, ma non solo, l’Italia. È probabile che molti di voi abbiano a casa delle piantine che dovrebbero essere dei bambù, in realtà non lo sono ma questo ha poca importanza. La cosa importante è che queste piantine hanno una specie di provettina, in fondo dove ci sono le radici, che contiene acqua. Queste piantine vengono coltivate in Asia, principalmente in Cina, poi vengono confezionate con la loro provettina, e vengono spedite in Europa su delle navi. Il problema è che l’acqua che è contenuta nella provetta contiene larve di insetti, e alcuni di questi insetti sono degli insetti ematofagi che possono arrivare a colonizzare determinati Paesi nei quali prima non erano presenti.
Mi viene chiesto spesso: «Riusciremo a fermare queste malattie che arrivano dall’altra parte del mondo?». Per rispondere partirò da una malattia trasmessa da vettori che ci riguarda molto da vicino: il virus West Nile. È un virus trasmesso da vettori che arriva dall’Africa e ha come ospiti terminali l’uomo e il cavallo, nei quali manifesta una malattia molto grave. Il virus è arrivato in Italia qualche anno fa, nelle zone più umide, perché è necessario che vi sia un ambiente caldo-umido per sostenerne la diffusione. Ecco che cosa è successo con il West Nile negli Stati Uniti a partire dal 2001, quando l’infezione è stata introdotta a New York. Nella metropolitana di New York le zanzare hanno trovato un ambiente perfetto per moltiplicarsi, e la potenza infettante del virus si è quindi amplificata. Dal 2001 al 2008 il virus si è diffuso provocando un numero crescente e significativo di morti, sia tra gli animali – cavalli e uccelli in particolare – sia tra gli uomini. Uso questo esempio per spiegare che se gli americani non sono riusciti a fermare questa malattia, sarà molto difficile che ci possiamo riuscire noi.
Un altro esempio è quello del vaiolo della scimmia, una malattia molto dolorosa e invalidante che è presente principalmente in Africa centrale e in particolare in Congo. Qualche anno fa negli Stati Uniti decisero di importare dei roditori, i ratti del Gambia, come animali da compagnia. Delle persone senza scrupoli avevano disseminato delle trappole, avevano catturato questi roditori, e li avevano portati negli Stati Uniti su una nave. Questi animali però non sono piaciuti come bestie da compagnia, il commercio non ha funzionato, e i proprietari dei negozi di animali li hanno presi e li hanno liberati negli Stati Uniti. Questi ratti trasportavano il vaiolo delle scimmie e il virus è arrivato ai cani della prateria, che sono molto comuni negli Stati Uniti. E così c’è stata una serie di focolai, per fortuna non in numero molto elevato, di vaiolo della scimmia negli Stati Uniti.
Ho scaricato queste diapositive dal sito dell’OMS, vedete in alto a destra l’orologio, quindi 27 aprile 2009, i Paesi in arancione sono quelli colpiti con casi confermati e i pallini rossi sono il numero di morti.
Per chiudere vi dirò due cose sulle pandemie influenzali, che sono delle evenienze abbastanza rare per fortuna, che si verificano in media ogni 20-25 anni. Noi sappiamo che i virus pandemici arrivano dagli animali. Vi sono alcuni animali che possono far generare e far evolvere dei virus, che poi possono infettare l’uomo. Ma i virus possono anche trasmettersi in maniera efficiente da uomo a uomo. Mentre tutto il mondo era preoccupato dall’insorgenza del virus aviario, è arrivato il virus dal suino. Questo virus dell’influenza suina è molto particolare perché è un vero arlecchino dell’era globalizzata. Il genoma del virus è costituito da otto geni, sei arrivano dal lineaggio americano del virus e due dal lineaggio euro asiatico. Ciò significa che in qualche parte del mondo, come conseguenza dei meccanismi della globalizzazione che vi ho raccontato sopra, un virus americano e un virus europeo si sono trovati all’interno della stessa cellula. I genomi si sono mescolati e hanno dato origine a questo virus veramente molto particolare.
Vi sono alcune persone che pensano che l’H1N1 non sia stata una pandemia, ma che sia stata una bufala, una montatura. Cominciamo col chiarirci sul significato di pandemia. Il concetto non indica una malattia che ucciderà milioni di persone, ma un’epidemia che si diffonde in tutto il mondo. Il primo Paese europeo colpito è stato la Spagna nel 2009, e il motivo è abbastanza chiaro. La maggior parte dei voli che partono dal Sud America arrivano a Madrid, e quindi è palese che il trasporto aereo ha influenzato la diffusione dell’infezione. Nel giro di un anno, l’infezione si è diffusa in tutto il mondo provocando un numero significativo di morti. Questo conferma che si è trattato di una pandemia. Per fortuna il virus non è stato così aggressivo come si temeva, ma è molto difficile riuscire a prevedere l’aggressività di un virus che è presente nel serbatoio animale. Purtroppo l’aggressività e la virulenza si deve misurare solo nel nuovo ospite. Le pandemie influenzali inoltre hanno un’ecologia e un’epidemiologia molto complessa, perché tutti i virus si diffondono a una serie di ospiti tra cui uccelli domestici, suini, cavalli, cani, eccetera. Ma alla diffusione del virus contribuiscono anche altri fattori legati agli spostamenti delle derrate alimentari e ai movimenti migratori umani. Per questo è estremamente difficile fare delle previsioni, ma soprattutto fermarne la diffusione.
Rispetto a questo quadro viene spontaneo chiedersi che cosa ci aspetta e qual è la direzione che la ricerca deve prendere per affrontare questi problemi. È ovvio che io non ho la palla di vetro, però posso raccontarvi che cosa abbiamo fatto noi, come laboratorio italiano, per sviluppare dei meccanismi a livello internazionale che ci rendessero più preparati.
Partiamo dall’influenza aviaria, una malattia che è in grado di uccidere il 100 per cento degli animali che infetta in 48 ore, ed è quindi uno dei virus più aggressivi che vi sia sulla faccia della Terra. Il virus cosiddetto H5N1, il virus dell’aviaria presente in Asia e tutt’oggi in molti altri Paesi, si è mostrato in grado di uccidere il 50 per cento delle persone che infettava. Quindi è un virus che preoccupava tantissimo, e ancora preoccupa, la comunità internazionale. Noi ci siamo trovati in una posizione particolare: avevamo un tesoretto scientifico e lo abbiamo usato per cambiare le politiche sanitarie internazionali, promuovendo un approccio più trasparente alla gestione dei dati. Il nostro laboratorio aveva isolato e caratterizzato il primo virus dell’influenza aviaria africano; quando mi fu chiesto di depositare quella sequenza, e quindi l’impronta digitale di questo virus, in un database ad accesso limitato, io mi sono rifiutata, e ho deciso di depositarlo in un database ad accesso pubblico. Per questa decisione mi sono trovata sulle pagine delle più importanti riviste scientifiche al mondo, ma anche su quelle di testate giornalistiche importanti, dal “Wall Street Journal” al “New York Times”. E in seguito a questo gran rifiuto, è partito un dibattito internazionale sulla trasparenza dei dati. Ci si è chiesti: a fronte di una minaccia epidemica, ha senso tenere a disposizione solo di un numero molto limitato di ricercatori le informazioni che possono servire per sviluppare strumenti diagnostici o per sviluppare vaccini, ma anche per capire meglio come questa infezione si diffonde? Io ho sempre pensato di no e devo dire che il dibattito ha preso immediatamente una piega positiva, anche se ovviamente c’è stata qualche critica. L’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale ha approvato una risoluzione nella quale impone ai laboratori che operano per suo conto il deposito delle sequenze genetiche dei virus influenzali animali. Lo stesso ha fatto la FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di agricoltura e alimentazione e l’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità). Ma la cosa di cui io vado particolarmente orgogliosa è che nel 2011, dopo una negoziazione durata cinque anni, l’OMS ha approvato una risoluzione, che loro stessi definiscono una svolta epocale, nella quale raccomanda la trasparenza dei dati a livello internazionale, per essere tutti più preparati a rispondere alle pandemie. E tutto questo è partito dall’azione di un laboratorio pubblico italiano, e grazie alla credibilità e alla visibilità internazionale di questo laboratorio dal nome un po’ obsoleto, zooprofilattico, un nome che vorrei cambiare come chiedo sempre ai referenti istituzionali con cui mi confronto. Al di là di questo, voglio sottolineare che da un istituto pubblico italiano è partito un meccanismo che ha modificato i giochi a livello internazionale. Questo cambiamento è importante non solo per le epidemie influenzali, anche se per l’influenza suina che è arrivata dopo l’influenza aviaria è stato utilissimo avere già un meccanismo che funzionava per la trasparenza dei dati. Ma più in generale questo nuovo approccio può servire da modello per tutte le emergenze sanitarie. In questo modo sarà possibile avere a disposizione uno strumento che ci permetta di reagire in maniera più efficiente e migliore.
Voglio perciò concludere con un messaggio: la globalizzazione ci impone una gestione più trasparente dei dati e la creazione di reti interdisciplinari, che coinvolgano sia i medici sia i veterinari, per una salute migliore di tutti. Perché poi alla fine anche le istituzioni e le politiche, i massimi sistemi, possono essere cambiati soltanto grazie all’azione delle persone.
Trascrizione dall'intervento di Ilaria Capua al XII Convegno del CICAP, a cura di Sonia Ciampoli e Valentina Bonvini