Una delle argomentazioni utilizzate dai sostenitori di teorie alternative a quelle riconosciute dalla comunità scientifica può essere riassunta in questo modo: «La mia teoria è oggi inaccettabile e considerata eretica, come a suo tempo fu giudicata inaccettabile ed eretica la teoria eliocentrica. In realtà, io sono come Galileo, ingiustamente perseguito e discriminato». Purtroppo questa affermazione non ha fondamento e nasce da una inadeguata conoscenza delle ragioni che portarono alla nascita della scienza moderna. Vediamo sinteticamente perché.
Al tempo di Galileo, la scienza moderna ancora non esisteva, né esisteva la professione di scienziato (il termine “scienziato” cominciò a essere utilizzato solo nel corso dell’Ottocento). Dunque Galileo ha subito, com’è noto, il giudizio della Chiesa e dei filosofi aristotelici, ma non quello dei suoi “colleghi”. Infatti, è stato proprio Galileo, insieme ad altri grandi personaggi del suo tempo (Bacone, Cartesio, eccetera) a creare l’idea di comunità scientifica e, soprattutto, a “inventare” una nuova figura fino ad allora inesistente nella cultura europea: lo scienziato moderno. Ed è a Galileo che va il merito di aver posto le basi per la costruzione di ciò che oggi noi chiamiamo genericamente “metodo scientifico”, indicando quei criteri che devono essere rispettati se si intende essere accettati all’interno della comunità scientifica, e se si vuol cercare di provare la verità di una teoria o di un’affermazione. Cerchiamo di elencarne alcuni.
1) La scienza è l’unico luogo del sapere all’interno del quale non ha alcun valore l’appello ai testi e alle autorità del presente e del passato. Ecco come Galileo si esprimeva in uno dei suoi più celebri passi: «Venite pure con le ragioni e le dimostrazioni vostre o di Aristotele e non con testi e nude autorità, perché i discorsi nostri hanno da essere intorno al mondo sensibile e non sopra un mondo di carta». Nel discorso scientifico non ha senso fare riferimento alle testimonianze: «Addurre tanti testimoni non serve a niente. Perché noi non abbiamo mai negato che molti abbiano scritto o creduto tal cosa, ma si bene abbiamo detto tal cosa essere falsa». Di fronte a una certa dimostrazione della falsità di un affermazione, sosteneva Galileo, persino i grandi maestri dell’antichità avrebbero ammesso di essersi sbagliati. Per questo motivo, coloro che ritengono di essere giunti a qualche straordinaria scoperta o formulazione teorica possono stare tranquilli. La comunità scientifica, per sua natura costitutiva, è aperta alle novità ed è sempre ben disposta a vagliare proposte originali. Proposte che talvolta hanno portato a delle vere e proprie rivoluzioni.
Naturalmente (come tutti gli storici della scienza sanno), è certamente vero che anche in ambito scientifico non mancano interessi (prima di tutto economici), posizioni di potere, conservatorismi accademici e così via. Questa, però, non è una colpa del metodo scientifico (caso mai della natura umana), e la storia dimostra che, prima o poi, le affermazioni vere sono sempre diventate di dominio pubblico e largamente, se non unanimemente, accettate. È vero che Galileo venne giudicato eretico, ma non dagli scienziati, che nel giro di breve tempo si schierarono dalla sua parte e da quella del sistema copernicano. L’eliocentrismo, infatti, si rivelò essere vero, così come molte delle scoperte galileiane, sulla base di numerosissime verifiche.
Come ci ricorda Silvano Fuso nel suo ultimo libro, non sono rari i casi di risultati scientifici annunciati come straordinarie scoperte e poi rivelatisi falsi, alla prova degli esami della comunità scientifica. Le rivoluzioni nella scienza non avvengono tutti i giorni. «In fisica teorica» ha scritto Richard Feynman, esiste «un principio generale: qualunque ipotesi vi venga in mente è quasi sempre falsa. Ci sono cinque, forse dieci teorie rivelatesi giuste, nella storia della fisica, e sono quelle che vogliamo».
È vero comunque che le cose non sono sempre così semplici, e anche in questo caso gli storici lo sanno bene. Può infatti capitare che un’importante scoperta sia qualificata come una bufala. Nel 1984 Daniel Shechtman «osservò, in una lega metallica da lui preparata e contenente alluminio e manganese, qualcosa che le leggi della fisica allora conosciute escludevano assolutamente». In sostanza si trattava di una particolare forma di solido nel quale gli atomi sono disposti in una struttura deterministica ma non ripetitiva, cioè non periodica come avviene invece nei normali cristalli. Si trattava dei cosiddetti “quasi cristalli”. La scoperta di Shechtman incontrò però una forte diffidenza da parte della comunità scientifica. Linus Pauling, due volte premio Nobel (chimica e pace), «demolì le sue ricerche quasi con ribrezzo», paragonando i “quasi cristalli” alla più celebre “poliacqua”. Il problema è che mentre la poliacqua certamente non esiste, poiché si scoprì che «gli effetti osservati erano banalmente dovuti al fatto che l’acqua usata per gli esperimenti era contaminata con silicone», i “quasi cristalli” esistono realmente e sono oggi trattati nel libri di testo. Certo, ci sono voluti molti anni per accertarne l’esistenza e comprenderli meglio, ma alla fine Shechtman ha ricevuto il premio Nobel per la chimica nel 2011.
Non esiste dunque una regola generale per gestire le controversie scientifiche, né una “logica della scoperta” che ci permette di prevedere il loro esito. Come ha scritto giustamente Ezio Puppin, «la storia ci ha insegnato che la comunità scientifica risponde in modo molto diverso e imprevedibile». In alcuni casi «le peggiori sciocchezze assurgono immediatamente a nuove verità», in altri casi invece la prima reazione della comunità è di “rigetto”. Tuttavia, «prima o poi le sciocchezze vengono dimenticate e le vere scoperte si affermano».
Tutto ciò ci porta a prendere in considerazione un secondo criterio fondamentale alla base della nascita della scienza moderna, alla cui costruzione Galileo ha contribuito in maniera determinante.
2) Tutti coloro che propongono una nuova teoria o affermano di aver fatto un’incredibile scoperta devono accettare il confronto con la comunità scientifica, consentendo agli scienziati nei laboratori di tutto il mondo di poter sottoporre a verifica le affermazioni fatte o le prove addotte. Questo perché la scienza, in opposizione alla magia, nasce come sapere pubblico, controllabile e verificabile da tutti, universale e fondato sul principio dell’uguaglianza delle intelligenze. «Aggiungo poi» scriveva Galileo «che non è il mio solo occhiale, o gli altri fabbricati da me, che faccino vedere li quattro Pianeti Gioviali, ma tutti gli altri, fatti in qualsivoglia luogo e da qualunque artefice».
I sostenitori di nuove idee, teorie o scoperte non hanno dunque motivo di rifarsi all’autorità di Galileo per sottolineare una eventuale o presunta discriminazione delle loro proposte. Del resto, Galileo non approverebbe, avendo stabilito per primo il rifiuto di ogni autorità nell’ambito delle dimostrazioni scientifiche. Se veramente si vuole essere come Galileo, è molto semplice: basta sottoporsi al giudizio della comunità scientifica e alle regole – costruite faticosamente nel giro di alcuni secoli – che fanno della scienza moderna l’unica forma di sapere che può fornire certezze universali condivise da tutti. Forse ci vorrà un po’ di tempo, come è stato per Shechtman (e come fu ad esempio, tanto per citare un altro caso molto noto, per Avogadro), ma alla fine la verità verrà a galla, perché sono le regole del gioco scientifico a permettere questo. Porsi al di fuori di queste regole, significa abbandonare in partenza la possibilità di dimostrare che la scoperta o la teoria che si sostiene possa essere vera.
Al tempo di Galileo, la scienza moderna ancora non esisteva, né esisteva la professione di scienziato (il termine “scienziato” cominciò a essere utilizzato solo nel corso dell’Ottocento). Dunque Galileo ha subito, com’è noto, il giudizio della Chiesa e dei filosofi aristotelici, ma non quello dei suoi “colleghi”. Infatti, è stato proprio Galileo, insieme ad altri grandi personaggi del suo tempo (Bacone, Cartesio, eccetera) a creare l’idea di comunità scientifica e, soprattutto, a “inventare” una nuova figura fino ad allora inesistente nella cultura europea: lo scienziato moderno. Ed è a Galileo che va il merito di aver posto le basi per la costruzione di ciò che oggi noi chiamiamo genericamente “metodo scientifico”, indicando quei criteri che devono essere rispettati se si intende essere accettati all’interno della comunità scientifica, e se si vuol cercare di provare la verità di una teoria o di un’affermazione. Cerchiamo di elencarne alcuni.
1) La scienza è l’unico luogo del sapere all’interno del quale non ha alcun valore l’appello ai testi e alle autorità del presente e del passato. Ecco come Galileo si esprimeva in uno dei suoi più celebri passi: «Venite pure con le ragioni e le dimostrazioni vostre o di Aristotele e non con testi e nude autorità, perché i discorsi nostri hanno da essere intorno al mondo sensibile e non sopra un mondo di carta». Nel discorso scientifico non ha senso fare riferimento alle testimonianze: «Addurre tanti testimoni non serve a niente. Perché noi non abbiamo mai negato che molti abbiano scritto o creduto tal cosa, ma si bene abbiamo detto tal cosa essere falsa». Di fronte a una certa dimostrazione della falsità di un affermazione, sosteneva Galileo, persino i grandi maestri dell’antichità avrebbero ammesso di essersi sbagliati. Per questo motivo, coloro che ritengono di essere giunti a qualche straordinaria scoperta o formulazione teorica possono stare tranquilli. La comunità scientifica, per sua natura costitutiva, è aperta alle novità ed è sempre ben disposta a vagliare proposte originali. Proposte che talvolta hanno portato a delle vere e proprie rivoluzioni.
Naturalmente (come tutti gli storici della scienza sanno), è certamente vero che anche in ambito scientifico non mancano interessi (prima di tutto economici), posizioni di potere, conservatorismi accademici e così via. Questa, però, non è una colpa del metodo scientifico (caso mai della natura umana), e la storia dimostra che, prima o poi, le affermazioni vere sono sempre diventate di dominio pubblico e largamente, se non unanimemente, accettate. È vero che Galileo venne giudicato eretico, ma non dagli scienziati, che nel giro di breve tempo si schierarono dalla sua parte e da quella del sistema copernicano. L’eliocentrismo, infatti, si rivelò essere vero, così come molte delle scoperte galileiane, sulla base di numerosissime verifiche.
Come ci ricorda Silvano Fuso nel suo ultimo libro, non sono rari i casi di risultati scientifici annunciati come straordinarie scoperte e poi rivelatisi falsi, alla prova degli esami della comunità scientifica. Le rivoluzioni nella scienza non avvengono tutti i giorni. «In fisica teorica» ha scritto Richard Feynman, esiste «un principio generale: qualunque ipotesi vi venga in mente è quasi sempre falsa. Ci sono cinque, forse dieci teorie rivelatesi giuste, nella storia della fisica, e sono quelle che vogliamo».
È vero comunque che le cose non sono sempre così semplici, e anche in questo caso gli storici lo sanno bene. Può infatti capitare che un’importante scoperta sia qualificata come una bufala. Nel 1984 Daniel Shechtman «osservò, in una lega metallica da lui preparata e contenente alluminio e manganese, qualcosa che le leggi della fisica allora conosciute escludevano assolutamente». In sostanza si trattava di una particolare forma di solido nel quale gli atomi sono disposti in una struttura deterministica ma non ripetitiva, cioè non periodica come avviene invece nei normali cristalli. Si trattava dei cosiddetti “quasi cristalli”. La scoperta di Shechtman incontrò però una forte diffidenza da parte della comunità scientifica. Linus Pauling, due volte premio Nobel (chimica e pace), «demolì le sue ricerche quasi con ribrezzo», paragonando i “quasi cristalli” alla più celebre “poliacqua”. Il problema è che mentre la poliacqua certamente non esiste, poiché si scoprì che «gli effetti osservati erano banalmente dovuti al fatto che l’acqua usata per gli esperimenti era contaminata con silicone», i “quasi cristalli” esistono realmente e sono oggi trattati nel libri di testo. Certo, ci sono voluti molti anni per accertarne l’esistenza e comprenderli meglio, ma alla fine Shechtman ha ricevuto il premio Nobel per la chimica nel 2011.
Non esiste dunque una regola generale per gestire le controversie scientifiche, né una “logica della scoperta” che ci permette di prevedere il loro esito. Come ha scritto giustamente Ezio Puppin, «la storia ci ha insegnato che la comunità scientifica risponde in modo molto diverso e imprevedibile». In alcuni casi «le peggiori sciocchezze assurgono immediatamente a nuove verità», in altri casi invece la prima reazione della comunità è di “rigetto”. Tuttavia, «prima o poi le sciocchezze vengono dimenticate e le vere scoperte si affermano».
Tutto ciò ci porta a prendere in considerazione un secondo criterio fondamentale alla base della nascita della scienza moderna, alla cui costruzione Galileo ha contribuito in maniera determinante.
2) Tutti coloro che propongono una nuova teoria o affermano di aver fatto un’incredibile scoperta devono accettare il confronto con la comunità scientifica, consentendo agli scienziati nei laboratori di tutto il mondo di poter sottoporre a verifica le affermazioni fatte o le prove addotte. Questo perché la scienza, in opposizione alla magia, nasce come sapere pubblico, controllabile e verificabile da tutti, universale e fondato sul principio dell’uguaglianza delle intelligenze. «Aggiungo poi» scriveva Galileo «che non è il mio solo occhiale, o gli altri fabbricati da me, che faccino vedere li quattro Pianeti Gioviali, ma tutti gli altri, fatti in qualsivoglia luogo e da qualunque artefice».
I sostenitori di nuove idee, teorie o scoperte non hanno dunque motivo di rifarsi all’autorità di Galileo per sottolineare una eventuale o presunta discriminazione delle loro proposte. Del resto, Galileo non approverebbe, avendo stabilito per primo il rifiuto di ogni autorità nell’ambito delle dimostrazioni scientifiche. Se veramente si vuole essere come Galileo, è molto semplice: basta sottoporsi al giudizio della comunità scientifica e alle regole – costruite faticosamente nel giro di alcuni secoli – che fanno della scienza moderna l’unica forma di sapere che può fornire certezze universali condivise da tutti. Forse ci vorrà un po’ di tempo, come è stato per Shechtman (e come fu ad esempio, tanto per citare un altro caso molto noto, per Avogadro), ma alla fine la verità verrà a galla, perché sono le regole del gioco scientifico a permettere questo. Porsi al di fuori di queste regole, significa abbandonare in partenza la possibilità di dimostrare che la scoperta o la teoria che si sostiene possa essere vera.
Bibliografia
- M. Ciardi. 2013. Terra. Storia di un’idea. Roma-Bari: Laterza.
- R. P. Feynman. 1999. Il senso delle cose. Torino: Adelphi.
- S. Fuso. 2013. La falsa scienza. Roma: Carocci.
- E. Puppin. Se una rivoluzione sembra una bufala. “Il Sole-24 ore”, 23.10.2011.