Vi è mai capitato, alla vostra richiesta di prove che supportino una certa asserzione, per esempio «tutto è un sogno», di sentirvi rispondere «prova a dimostrare che non lo è»? Oppure di sentirvi chiedere di provare che il pianeta Nibiru non esiste quando si cerca solo di criticare le prove della sua esistenza? Sì? Allora vi siete trovati di fronte alla fallacia dell’inversione dell’onere della prova, ossia quella strategia scorretta in cui l’interlocutore, al vostro dubbio verso la sua asserzione, chiede a voi di provare il contrario.
Andiamo per gradi. Noi sappiamo che esistono due tipi di disaccordo: unilaterali e bilaterali. In quelli unilaterali una sola persona, o parte, dubita o contesta l’asserzione del proprio interlocutore senza sostenere alcuna posizione, ad esempio quando l’Antitrust si chiede se sia una pratica commerciale scorretta asserire, da parte della Power Balance Italy S.r.l., che «Il braccialetto Power Balance ha effetti positivi sull’equilibrio di chi lo indossa[1]». In quelli bilaterali due persone, o parti, dubitano o contestano i reciproci punti di vista, ad esempio quando la comunità scientifica contesta i negazionisti perché respingono l’HIV come causa dell’AIDS mentre questi sostengono che è la comunità scientifica a sbagliarsi nel sostenere che l’HIV causi l’AIDS[2].
Per il nostro discorso è importante riconoscere che in entrambi questi casi troviamo almeno una persona che asserisce. Infatti, proprio all’asserire si lega l’onere della prova, ossia uno degli obblighi più importanti per ogni pratica della discussione: la sua corretta attribuzione garantisce la possibilità di presentare le prove.
Sebbene varii da contesto a contesto[3] nella discussione critica, ossia nelle discussioni in cui la prova delle reciproche tesi avviene attraverso l’argomentazione razionale, l’onere della prova impone che chi asserisce si assuma l’impegno di provare, qualora richiesto, la propria asserzione. Se, infatti, una proposizione fosse considerata di dubbia verità, non avrebbe senso assumerla come premessa: neanche la conclusione che ne deriverebbe sarebbe condivisa; se la proposizione fosse invece asserita come conclusione, solo la prova della sua verità, alta probabilità, o plausibilità, potrebbe dirimere il dubbio o il disaccordo. In ciascuno di questi casi continuare a discutere senza aver ottenuto prove e aver raggiunto un accordo, sarebbe poco ragionevole.
Non sempre, tuttavia, esprimere il proprio dubbio nei confronti della verità di un’asserzione conduce l’interlocutore a provare la proposizione asserita. È, come abbiamo detto, il caso della fallacia dell’inversione dell’onere della prova, ossia il caso in cui l’interlocutore quando gli manifestiamo il nostro dubbio verso la sua asserzione, chiede a noi di provare il contrario.
A rendere ingiustificata, e quindi fallace, l’inversione dell’onere della prova, è che in un disaccordo unilaterale l’inversione graverebbe di un onere immotivato la parte che non asserisce nulla, rendendo inoltre difficile il reperimento o l’elaborazione delle prove: «dimostrate voi che lo Yeti non esiste!».
In questi casi, e qualora fossimo gli “scettici”, per evitare quest’inversione è importante non accettare di sostenere una tesi che non è in effetti la nostra. Se, infatti, si è dubbiosi dell’esistenza degli spiriti, impegnarci nella prova della loro non esistenza ci vincolerebbe al sostegno di una tesi anti-spiritistica, quando in realtà siamo semplicemente scettici.
Per rispondere a questa fallacia e riversare l’onere su chi pretende di invertirlo dobbiamo pertanto mostrare che la nostra posizione è stata travisata o confusa. In questo modo potremmo reimpostare correttamente la discussione critica. Rispondere che non si sostiene che gli spiriti non esistano, ma che si è curiosi di capire e valutare quali prove o ragionamenti ci sono a favore della loro esistenza, permetterà di incalzare l’interlocutore a dimostrare la sua posizione.
Problema differente si ha invece in un disaccordo bilaterale; qui, infatti, non si tratta di capire chi ha l’onere della prova poiché entrambi gli interlocutori, o parti, asseriscono una loro proposizione. In questo caso è importante capire quale ordine seguire per la presentazione delle reciproche difese.
Solitamente in un disaccordo bilaterale l’onere della prova è attribuito alla parte che critica e desidera modificare lo status quo: la posizione consolidata non ha l’onere di mostrare la propria validità se non effettivamente indebolita dalle critiche[4]. Infatti, nel momento in cui sono contestate le leggi della fisica, si può a ragione chiedere cosa le rende controverse, visti gli importanti risultati raggiunti grazie alla loro assunzione. Tuttavia nella discussione tra believers e “scettici” sembra spesso che l’onere della prova gravi invece su chi sostiene lo status quo. Come può verificarsi tale situazione?
La posizione su cui grava l’onere della prova è solitamente quella più vulnerabile o che appare più fragile. Diventa pertanto comprensibile che, in un dibattito, ciascuno cerchi di rigettare quest’onere sull’avversario, presentando come acquisite le proposizioni che deve difendere. Questo è l’espediente impiegato, in modo più o meno consapevole, da alcuni believers: presentano l’esistenza dei fenomeni contestati come acquisita, spostando l’onere della prova sull’avversario che, a questo punto, sembrerà sostenere la posizione più debole apparendo inoltre incompetente. Non è insolito, infatti, sentir parlare degli innumerevoli e riusciti esperimenti riguardo alla telepatia, delle inequivocabili fotografie degli UFO o dell’efficacia del Feng Shui poiché conosciuto dalla notte dei tempi. Malauguratamente, troppo spesso, a un’accurata analisi, tali prove e garanzie non risultano così innegabili.
Tuttavia ci sono casi in cui non c’è realmente uno status quo o dove non c’è accordo su quale sia lo status quo. In questi casi è necessario fare appello al criterio di onestà. Secondo questo criterio, infatti, la posizione che può essere provata più facilmente dovrebbe essere provata per prima.
Saper gestire l’onere della prova è una capacità importante in una discussione critica. Senza tale capacità la stessa discussione critica potrebbe essere impostata in modo non corretto inducendoci alla difesa di posizioni che non ci appartengono, o all’assunzione di un lavoro di prova ingiustificato a volte anche impossibile. Per questo motivo è opportuno vigilare sulla sua corretta attribuzione, che spesso è minacciata anche dalla presenza di altre e insidiose fallacie come, ad esempio, il falso appello all’autorità, l’ad ignorantiam, l’ignoratio elenchi, la petitio principii, e l’ad hominem. Ma per queste rimandiamo alle prossime puntate di questa rubrica...
Andiamo per gradi. Noi sappiamo che esistono due tipi di disaccordo: unilaterali e bilaterali. In quelli unilaterali una sola persona, o parte, dubita o contesta l’asserzione del proprio interlocutore senza sostenere alcuna posizione, ad esempio quando l’Antitrust si chiede se sia una pratica commerciale scorretta asserire, da parte della Power Balance Italy S.r.l., che «Il braccialetto Power Balance ha effetti positivi sull’equilibrio di chi lo indossa[1]». In quelli bilaterali due persone, o parti, dubitano o contestano i reciproci punti di vista, ad esempio quando la comunità scientifica contesta i negazionisti perché respingono l’HIV come causa dell’AIDS mentre questi sostengono che è la comunità scientifica a sbagliarsi nel sostenere che l’HIV causi l’AIDS[2].
Per il nostro discorso è importante riconoscere che in entrambi questi casi troviamo almeno una persona che asserisce. Infatti, proprio all’asserire si lega l’onere della prova, ossia uno degli obblighi più importanti per ogni pratica della discussione: la sua corretta attribuzione garantisce la possibilità di presentare le prove.
Sebbene varii da contesto a contesto[3] nella discussione critica, ossia nelle discussioni in cui la prova delle reciproche tesi avviene attraverso l’argomentazione razionale, l’onere della prova impone che chi asserisce si assuma l’impegno di provare, qualora richiesto, la propria asserzione. Se, infatti, una proposizione fosse considerata di dubbia verità, non avrebbe senso assumerla come premessa: neanche la conclusione che ne deriverebbe sarebbe condivisa; se la proposizione fosse invece asserita come conclusione, solo la prova della sua verità, alta probabilità, o plausibilità, potrebbe dirimere il dubbio o il disaccordo. In ciascuno di questi casi continuare a discutere senza aver ottenuto prove e aver raggiunto un accordo, sarebbe poco ragionevole.
Non sempre, tuttavia, esprimere il proprio dubbio nei confronti della verità di un’asserzione conduce l’interlocutore a provare la proposizione asserita. È, come abbiamo detto, il caso della fallacia dell’inversione dell’onere della prova, ossia il caso in cui l’interlocutore quando gli manifestiamo il nostro dubbio verso la sua asserzione, chiede a noi di provare il contrario.
A rendere ingiustificata, e quindi fallace, l’inversione dell’onere della prova, è che in un disaccordo unilaterale l’inversione graverebbe di un onere immotivato la parte che non asserisce nulla, rendendo inoltre difficile il reperimento o l’elaborazione delle prove: «dimostrate voi che lo Yeti non esiste!».
In questi casi, e qualora fossimo gli “scettici”, per evitare quest’inversione è importante non accettare di sostenere una tesi che non è in effetti la nostra. Se, infatti, si è dubbiosi dell’esistenza degli spiriti, impegnarci nella prova della loro non esistenza ci vincolerebbe al sostegno di una tesi anti-spiritistica, quando in realtà siamo semplicemente scettici.
Per rispondere a questa fallacia e riversare l’onere su chi pretende di invertirlo dobbiamo pertanto mostrare che la nostra posizione è stata travisata o confusa. In questo modo potremmo reimpostare correttamente la discussione critica. Rispondere che non si sostiene che gli spiriti non esistano, ma che si è curiosi di capire e valutare quali prove o ragionamenti ci sono a favore della loro esistenza, permetterà di incalzare l’interlocutore a dimostrare la sua posizione.
Problema differente si ha invece in un disaccordo bilaterale; qui, infatti, non si tratta di capire chi ha l’onere della prova poiché entrambi gli interlocutori, o parti, asseriscono una loro proposizione. In questo caso è importante capire quale ordine seguire per la presentazione delle reciproche difese.
Solitamente in un disaccordo bilaterale l’onere della prova è attribuito alla parte che critica e desidera modificare lo status quo: la posizione consolidata non ha l’onere di mostrare la propria validità se non effettivamente indebolita dalle critiche[4]. Infatti, nel momento in cui sono contestate le leggi della fisica, si può a ragione chiedere cosa le rende controverse, visti gli importanti risultati raggiunti grazie alla loro assunzione. Tuttavia nella discussione tra believers e “scettici” sembra spesso che l’onere della prova gravi invece su chi sostiene lo status quo. Come può verificarsi tale situazione?
La posizione su cui grava l’onere della prova è solitamente quella più vulnerabile o che appare più fragile. Diventa pertanto comprensibile che, in un dibattito, ciascuno cerchi di rigettare quest’onere sull’avversario, presentando come acquisite le proposizioni che deve difendere. Questo è l’espediente impiegato, in modo più o meno consapevole, da alcuni believers: presentano l’esistenza dei fenomeni contestati come acquisita, spostando l’onere della prova sull’avversario che, a questo punto, sembrerà sostenere la posizione più debole apparendo inoltre incompetente. Non è insolito, infatti, sentir parlare degli innumerevoli e riusciti esperimenti riguardo alla telepatia, delle inequivocabili fotografie degli UFO o dell’efficacia del Feng Shui poiché conosciuto dalla notte dei tempi. Malauguratamente, troppo spesso, a un’accurata analisi, tali prove e garanzie non risultano così innegabili.
Tuttavia ci sono casi in cui non c’è realmente uno status quo o dove non c’è accordo su quale sia lo status quo. In questi casi è necessario fare appello al criterio di onestà. Secondo questo criterio, infatti, la posizione che può essere provata più facilmente dovrebbe essere provata per prima.
Conclusione
Saper gestire l’onere della prova è una capacità importante in una discussione critica. Senza tale capacità la stessa discussione critica potrebbe essere impostata in modo non corretto inducendoci alla difesa di posizioni che non ci appartengono, o all’assunzione di un lavoro di prova ingiustificato a volte anche impossibile. Per questo motivo è opportuno vigilare sulla sua corretta attribuzione, che spesso è minacciata anche dalla presenza di altre e insidiose fallacie come, ad esempio, il falso appello all’autorità, l’ad ignorantiam, l’ignoratio elenchi, la petitio principii, e l’ad hominem. Ma per queste rimandiamo alle prossime puntate di questa rubrica...
Bibliografia
- Cattani A., Discorsi ingannevoli. Argomenti per difendersi, attaccare, divertirsi, Edizioni GB, Padova, 1995.
- Doury Marianne, Le débat immobile. L’argumentation dans le débat médiatique sur le parasciences, Éditions Kimé, Parigi, 1997.
- Eemeren, F. H. van, Grootendorst, R., Argumentation, Communication and Fallacies. A Pragma –Dialectical Perspective, L. E. A. P., Hillsdale, 1992.
- Walton N. D., Informal Logic. A Pragmatic Approach, Cambridge U. P., New York, 2008.
Note
1) Comunicato stampa dell’Antitrust 03/08/2010 http://www.agcm.it/stampa/news/4891-avviato-procedimento-nei-confronti-di-power-balance... .
2) Duesberg, P., AIDS. Il virus inventato, Baldini & Castoldi, Milano, 1999.
3) In ambito giuridico l’onere della prova è attribuito a chi accusa mentre in ambito sociale e politico a chi contesta lo status quo.
4) A volte le asserzioni dei believers possono essere contestate efficacemente esplicitando la fondatezza dello status quo. Per difendere «Il pianeta Nibiru non esiste» possiamo, infatti, chiarire le leggi e le dinamiche del nostro sistema solare, e in base a queste concludere l’impossibilità della sua esistenza.