È noto a tutti il significato dei geroglifici che compongono il sigillo posto all'ingresso della tomba di Tutankhamen, il faraone bambino: «La morte colpirà con le sue ali chiunque disturberà il sonno del faraone». Ci vuole senza dubbio una gran dose di coraggio per ignorare tali parole, ma stando a quel che si dice, coloro che scoprirono la tomba e lavorarono agli scavi di coraggio dovevano averne molto, unito a una buona dose di scetticismo, perché non si fecero per niente intimorire dalla minacciosa frase. Purtroppo, però, come si può leggere ad esempio nel libro “La maledizione dei faraoni”[1], di Philipp Vandenberg e nel successivo “Il libro dei fatti incredibili ma veri”[2], di Charles Berlitz, essi pagarono con la vita il loro ardire: Lord Carnarvon, finanziatore della spedizione, morì due mesi dopo l'apertura della prima porta del sepolcro e, alla stessa ora, a Londra, morì inspiegabilmente anche la sua cagnetta. George Jay Gould, intimo amico di Carnarvon, si recò in Egitto dopo la morte dell'amico, ma morì di peste bubbonica ventiquattro ore dopo aver visitato la tomba di Tutankhamen. Delle venti persone che avevano assistito all'apertura della tomba, dodici morirono entro la fine dell'anno; altre sedici persero la vita nei quattro anni successivi all'apertura del sarcofago, che avvenne tre anni dopo aver scoperto l'ingresso della tomba. Queste e altre le morti associate alla maledizione della tomba di Tutankhamen: una storia angosciante che, a prima vista, sembrerebbe non essere spiegabile tirando in ballo semplicemente il caso.
Prima di avanzare ipotesi, però, è meglio fare un passo indietro e verificare che gli eventi descritti sopra siano realmente accaduti e in quali circostanze.
Innanzitutto: esiste davvero il famoso sigillo con la maledizione? Pare di no: Howard Carter, l'archeologo che scoprì l'ingresso della tomba e ne condusse gli scavi, non fa mai cenno, nei suoi scritti, a tale sigillo, né ad alcun geroglifico contenente frasi analoghe o che potessero essere interpretate come una minaccia di morte. Appurato, quindi, che non è mai esistito alcun mònito riguardante gli eventuali intrusi nella tomba, rimangono da verificare le numerose e misteriose morti.
Iniziamo a esaminare la principale, quella di Lord Carnarvon. Carnarvon si era recato in Egitto non solo per assecondare la sua passione per l'archeologia, ma anche per beneficiare del clima secco, in quanto i suoi polmoni non erano in buono stato e la sua salute era malferma. Mentre era in Egitto, fu punto sul mento da una zanzara. La ferita, in seguito a un taglio che si era procurato radendosi, si infettò. Ignorando i consigli del medico, egli continuò ad andare in giro nonostante la febbre, aggravando così le sue condizioni. Fu allora ricoverato in un ospedale del Cairo, dove l'infezione guarì, ma si ammalò di polmonite, a causa delle già pessime condizioni in cui si trovavano i suoi polmoni. Fu così che Carnarvon morì, all'età di 57 anni, due mesi dopo la scoperta della tomba, ma un anno prima che si arrivasse alla sala del sarcofago e ben due anni prima del rinvenimento della mummia. Alquanto divertente è anche la storia della sua cagna che, secondo il resoconto di Vandenberg, iniziò a guaire, si rizzò sulle zampe posteriori e morì all'improvviso, alla stessa ora del suo padrone, a Londra. Vandenberg riporta il resoconto del figlio di Carnarvon che dice: «Mio padre [...] morì poco prima delle 2, ora della capitale egiziana. Successivamente venni a sapere che qui a Highclere, poco prima delle 4 del mattino ora di Londra (quindi alla stessa ora), era accaduto qualcosa di strano: la nostra cagna fox terrier [...] morì[3]». Non è facile notare subito l'incongruenza presente nel racconto, ma questa non sfugge se si riflette con attenzione: la differenza di fuso orario tra Londra e il Cairo non quadra! Quando al Cairo sono le 2, a Londra è mezzanotte perché la differenza di fuso orario tra le due città è di due ore, ma nella direzione opposta... È difficile stabilire chi sia stato il “bugiardo malaccorto”, se Vandenberg, l'autore del libro, o il figlio di Carnarvon.
Anche le altre morti non sembrano poi così misteriose quando si va a vedere cosa è successo realmente. Alcune, addirittura, non sono affatto accadute nei luoghi e negli anni indicati da Berlitz e Vandenberg. Tanto per citare un esempio, l'amico di Carnarvon, George Jay Gould non morì affatto nelle 24 ore successive alla sua visita alla tomba, bensì in Francia, di polmonite. Molte delle altre persone incluse nella lista non erano neanche mai entrate in contatto con la tomba. Risulta chiaro, a questo punto, che non esiste alcuna maledizione riguardante la tomba di Tutankhamen, tant'è che, se si cercano le biografie di coloro che lavorarono agli scavi, si nota che essi vissero ancora a lungo dopo l'apertura della tomba: ad esempio, il chimico che condusse le analisi sui tessuti della mummia e sugli oggetti della tomba, Alfred Lucas, morì ventisette anni dopo l'apertura di questa. La figlia di Carnarvon, Lady Evelyn Herbert, morì cinquantasette anni dopo, nonostante fosse stata una delle tre persone che erano entrate per prime nella camera sepolcrale. I fautori della maledizione, invece, includono nella lista delle persone colpite dalla maledizione la moglie di Carnarvon, sebbene non avesse mai visitato la tomba. Se fosse esistita una maledizione fulminante, il primo a morire avrebbe dovuto essere Carter, lo scopritore della tomba, mentre egli lavorò a lungo nel sepolcro, e morì all'età di 66 anni, cioè 14 anni dopo l'apertura della tomba. Bisogna inoltre tenere presente che la durata della vita media all'epoca era stimata intorno ai 46 anni e, nonostante il caldo, le zanzare, gli scorpioni, le condizioni igieniche non ottimali e le malattie tropicali, coloro che erano stati in diretto contatto con gli scavi morirono avendo raggiunto un'età ben superiore alla media.
Nel 2002, su una prestigiosa rivista scientifica britannica, il British Medical Journal, venne pubblicato un articolo dal titolo The Mummy's Curse: Historical Cohort Study[4]. Scopo dello studio era esaminare la durata della vita media degli individui che potevano esser stati esposti alla maledizione della mummia in quanto associati all'apertura della tomba tra il 1923 e il 1926. I ricercatori risalirono alle biografie di 44 occidentali che avevano vissuto in Egitto in quegli anni, 25 dei quali, secondo le memorie di Carter, presenti agli scavi. Tra le 25 persone potenzialmente esposte alla maledizione, la durata della vita media è stata di 70 anni, contro i 75 anni del gruppo di controllo, per il quale è stato possibile, però, possibile risalire alla data di morte solo del 58% degli individui, ovvero di 11 persone. L'articolo giunge alla conclusione che non vi è alcuna evidenza che possa portare a ritenere efficace la presunta maledizione.
Assodato, dunque, che non sono mai avvenute morti misteriose che possano essere associate ad una maledizione, rimane da stabilire come sia nata tale leggenda. Non è improbabile che a mettere in giro la voce della maledizione sia stato lo stesso Carter, nel tentativo di scoraggiare i curiosi e i ladri: «se non si fosse preso qualche provvedimento, avremmo trascorso l'intera stagione a fare da ciceroni, senza riuscire a svolgere la minima attività[5]», scrisse Carter nelle sue memorie, mentre uno degli addetti alla sicurezza della "tomba nel 1980 dichiarò": «Avevamo fatto in modo che la storia della maledizione circolasse, perché ci aiutava a ridurre i rischi di furti durante la notte[6]». Tuttavia, ad alimentare la leggenda, falsando deliberatamente i fatti, sono stati gli scrittori come Vandenberg e Berlitz, i cui libri hanno avuto un enorme successo.
Prima di avanzare ipotesi, però, è meglio fare un passo indietro e verificare che gli eventi descritti sopra siano realmente accaduti e in quali circostanze.
Innanzitutto: esiste davvero il famoso sigillo con la maledizione? Pare di no: Howard Carter, l'archeologo che scoprì l'ingresso della tomba e ne condusse gli scavi, non fa mai cenno, nei suoi scritti, a tale sigillo, né ad alcun geroglifico contenente frasi analoghe o che potessero essere interpretate come una minaccia di morte. Appurato, quindi, che non è mai esistito alcun mònito riguardante gli eventuali intrusi nella tomba, rimangono da verificare le numerose e misteriose morti.
Iniziamo a esaminare la principale, quella di Lord Carnarvon. Carnarvon si era recato in Egitto non solo per assecondare la sua passione per l'archeologia, ma anche per beneficiare del clima secco, in quanto i suoi polmoni non erano in buono stato e la sua salute era malferma. Mentre era in Egitto, fu punto sul mento da una zanzara. La ferita, in seguito a un taglio che si era procurato radendosi, si infettò. Ignorando i consigli del medico, egli continuò ad andare in giro nonostante la febbre, aggravando così le sue condizioni. Fu allora ricoverato in un ospedale del Cairo, dove l'infezione guarì, ma si ammalò di polmonite, a causa delle già pessime condizioni in cui si trovavano i suoi polmoni. Fu così che Carnarvon morì, all'età di 57 anni, due mesi dopo la scoperta della tomba, ma un anno prima che si arrivasse alla sala del sarcofago e ben due anni prima del rinvenimento della mummia. Alquanto divertente è anche la storia della sua cagna che, secondo il resoconto di Vandenberg, iniziò a guaire, si rizzò sulle zampe posteriori e morì all'improvviso, alla stessa ora del suo padrone, a Londra. Vandenberg riporta il resoconto del figlio di Carnarvon che dice: «Mio padre [...] morì poco prima delle 2, ora della capitale egiziana. Successivamente venni a sapere che qui a Highclere, poco prima delle 4 del mattino ora di Londra (quindi alla stessa ora), era accaduto qualcosa di strano: la nostra cagna fox terrier [...] morì[3]». Non è facile notare subito l'incongruenza presente nel racconto, ma questa non sfugge se si riflette con attenzione: la differenza di fuso orario tra Londra e il Cairo non quadra! Quando al Cairo sono le 2, a Londra è mezzanotte perché la differenza di fuso orario tra le due città è di due ore, ma nella direzione opposta... È difficile stabilire chi sia stato il “bugiardo malaccorto”, se Vandenberg, l'autore del libro, o il figlio di Carnarvon.
Anche le altre morti non sembrano poi così misteriose quando si va a vedere cosa è successo realmente. Alcune, addirittura, non sono affatto accadute nei luoghi e negli anni indicati da Berlitz e Vandenberg. Tanto per citare un esempio, l'amico di Carnarvon, George Jay Gould non morì affatto nelle 24 ore successive alla sua visita alla tomba, bensì in Francia, di polmonite. Molte delle altre persone incluse nella lista non erano neanche mai entrate in contatto con la tomba. Risulta chiaro, a questo punto, che non esiste alcuna maledizione riguardante la tomba di Tutankhamen, tant'è che, se si cercano le biografie di coloro che lavorarono agli scavi, si nota che essi vissero ancora a lungo dopo l'apertura della tomba: ad esempio, il chimico che condusse le analisi sui tessuti della mummia e sugli oggetti della tomba, Alfred Lucas, morì ventisette anni dopo l'apertura di questa. La figlia di Carnarvon, Lady Evelyn Herbert, morì cinquantasette anni dopo, nonostante fosse stata una delle tre persone che erano entrate per prime nella camera sepolcrale. I fautori della maledizione, invece, includono nella lista delle persone colpite dalla maledizione la moglie di Carnarvon, sebbene non avesse mai visitato la tomba. Se fosse esistita una maledizione fulminante, il primo a morire avrebbe dovuto essere Carter, lo scopritore della tomba, mentre egli lavorò a lungo nel sepolcro, e morì all'età di 66 anni, cioè 14 anni dopo l'apertura della tomba. Bisogna inoltre tenere presente che la durata della vita media all'epoca era stimata intorno ai 46 anni e, nonostante il caldo, le zanzare, gli scorpioni, le condizioni igieniche non ottimali e le malattie tropicali, coloro che erano stati in diretto contatto con gli scavi morirono avendo raggiunto un'età ben superiore alla media.
Nel 2002, su una prestigiosa rivista scientifica britannica, il British Medical Journal, venne pubblicato un articolo dal titolo The Mummy's Curse: Historical Cohort Study[4]. Scopo dello studio era esaminare la durata della vita media degli individui che potevano esser stati esposti alla maledizione della mummia in quanto associati all'apertura della tomba tra il 1923 e il 1926. I ricercatori risalirono alle biografie di 44 occidentali che avevano vissuto in Egitto in quegli anni, 25 dei quali, secondo le memorie di Carter, presenti agli scavi. Tra le 25 persone potenzialmente esposte alla maledizione, la durata della vita media è stata di 70 anni, contro i 75 anni del gruppo di controllo, per il quale è stato possibile, però, possibile risalire alla data di morte solo del 58% degli individui, ovvero di 11 persone. L'articolo giunge alla conclusione che non vi è alcuna evidenza che possa portare a ritenere efficace la presunta maledizione.
Assodato, dunque, che non sono mai avvenute morti misteriose che possano essere associate ad una maledizione, rimane da stabilire come sia nata tale leggenda. Non è improbabile che a mettere in giro la voce della maledizione sia stato lo stesso Carter, nel tentativo di scoraggiare i curiosi e i ladri: «se non si fosse preso qualche provvedimento, avremmo trascorso l'intera stagione a fare da ciceroni, senza riuscire a svolgere la minima attività[5]», scrisse Carter nelle sue memorie, mentre uno degli addetti alla sicurezza della "tomba nel 1980 dichiarò": «Avevamo fatto in modo che la storia della maledizione circolasse, perché ci aiutava a ridurre i rischi di furti durante la notte[6]». Tuttavia, ad alimentare la leggenda, falsando deliberatamente i fatti, sono stati gli scrittori come Vandenberg e Berlitz, i cui libri hanno avuto un enorme successo.
Note
1) Vandenberg, P. 1991. La maledizione dei faraoni, Milano
2) Berlitz, C. 1989, Il libro dei fatti incredibili ma veri, Milano
3) Vandenberg, P., op. cit., pag 27
4) Nelson, M. R, 2002, “The Mummy's Curse: Historical Cohort Study”. British Medical Journal, Volume 325, Numero 7378. L'articolo è disponibile anche online all'indirizzo: http://bmj.com/cgi/content/full/325/7378/1482
5) Carter, H, Tutankhamen, Milano 1981, pp. 102-106
6) Skeptical Inquirer, Fall 1980, pag. 13