Già pochi mesi dopo la pubblicazione de L’origine delle specie di Charles Darwin, si alzarono moltissime voci contro la teoria dell’evoluzione per selezione naturale. Al di là delle ragioni di questa opposizione (tecniche, scientifiche, religiose, etiche) è possibile riunire le critiche in alcuni punti, che sono ripetuti ancor oggi dai “nemici” di Darwin. Molte di esse fanno ricorso al senso comune e sono in apparenza plausibili, altre peccano di poca comprensione dei meccanismi dell’evoluzione. A esse si uniscono altre obiezioni che dimostrano la non conoscenza di altre scienze, o di come funziona la scienza in assoluto.
La critica più ovvia è che «nessuno ha mai visto una specie trasformarsi in un’altra». Anche se a volte assume forme ridicole (in un recente libro del creazionista turco Harun Yahya si obietta che nessun coccodrillo si è mai trasformato in uno scoiattolo…), è indubbio che alla scala temporale e visiva dell’uomo non è facile osservare la nascita di una nuova specie. Molti biologi fanno invece notare che, al di là del fatto che tutto dipende dalla definizione di specie, in molti casi la generazione di nuove specie è stata osservata, anche se non davanti agli occhi di tutti e spesso solo con strumenti particolari. Per esempio già nel 1905 il botanico olandese de Vries, studiando la genetica della rapunzia a grandi fiori (Oenothera lamarckiana), osservò la presenza tra esse di piante più grandi, e scoprì che il numero di cromosomi di questi esemplari era di 28, in confronto ai 14 delle piante originali. Poiché queste nuove rapunzie, chiamate Oenothera gigas, non erano in grado di accoppiarsi con le lamarckiana, non si potevano non definire nuove specie. Poiché il fenomeno del raddoppiamento dei cromosomi è piuttosto frequente nelle piante, si può dire che, con gli opportuni strumenti (conta dei cromosomi e esperimenti di incrocio) è possibile osservare facilmente la nascita di nuove specie vegetali. Un esempio di speciazione negli animali dovuta a un altro fenomeno, quello dell’ibridazione, è stato osservato e descritto un anno fa, utilizzando esperimenti di laboratorio. Partendo da due specie di farfalle del genere Heliconia (cydno e melpomene) si è ottenuto un ibrido che è identico a un’altra specie selvatica, H. heurippa, che a sua volta ha caratteristiche intermedie tra le altre due specie. Se H. melpomene ha una striscia rossa su ogni ala anteriore, e H. cydno ha le strisce bianche, H. heurippa ha strisce sia rosse sia bianche. E non è un semplice ibrido; queste farfalle infatti preferiscono accoppiarsi con quelle che hanno i loro stessi colori. I ricercatori non potevano quindi non pensare che la nuova specie si sia originata per ibridazione delle due “specie parentali”.
Un’altra obiezione spesso sollevata dagli oppositori (creazionisti e simili) è che «l’evoluzione viola la seconda legge della termodinamica», quando afferma, più o meno, che non è possibile la generazione spontanea di ordine (e quindi la diminuzione di entropia, che in questo caso è la misura del disordine) in un sistema chiuso, o energeticamente isolato. Questa critica dimostra una non conoscenza della termodinamica, oltre che della biologia. Infatti, non è possibile che l’ordine aumenti in un sistema chiuso, la Terra non lo è; riceve infatti dal Sole una quantità enorme di energia. E le forme di vita, che sono in effetti sistemi a ordine elevato, utilizzano l’energia del Sole per diminuire la propria entropia. Se l’ordine aumenta negli esseri viventi, così, diminuisce nella somma del sistema Terra+Sole.
Una critica spesso cavalcata non solo dai creazionisti “puri e duri”, ma anche da chi ha orecchiato anche solo in parte la teoria dell’evoluzione è la seguente: «Non esistono anelli di congiunzione». Il record fossile però ha dimostrato che questo non è vero; ci sono innumerevoli specie che nel passato avevano caratteristiche intermedie tra un gruppo e l’altro di animali. L’importante è capire che non devono essere necessariamente “ a metà strada” tra un gruppo e l’altro di specie. Anzi, spesso e volentieri le specie del passato andavano incontro alla cosiddetta “evoluzione a mosaico”. Uno degli esempi più famosi è Tiktaalik roseae, scoperto circa un anno fa; secondo uno dei suoi scopritori, Neil Shubin, non sarebbe né un pesce né un tetrapode (gli animali terrestri, che comprendono anfibi, rettili, uccelli e mammiferi), ma un pesciapode. Ha infatti scaglie e branchie da pesce, ossa degli arti e delle articolazioni a metà strada tra un gruppo e l’altro e collo mobile, costole e polmoni da animale terrestre.
Queste strutture sembrano a metà strada tra pesci e tetrapodi, ma dimostrano invece che ogni specie fossile non è un precursore imperfetto di una forma del lontano passato, e preludio di qualcosa di migliore che possiamo vedere oggi. È al contrario adattata all’ambiente in cui viveva (per Tiktaalik, 375 milioni di anni fa), tanto quanto lo sono le specie odierne. L’idea va contro tutto ciò che pensano gli oppositori della teoria, cioè che l’evoluzione contenga in sé una “freccia” che conduce nel corso del tempo da specie semplici ad altre più complesse. Che ci sia, in fondo, una tendenza verso l’ordine.
La critica mossa più frequentemente, perché più facile da formulare, è che «l’evoluzione è una teoria che spiega la vita con il caso». Nonostante l’utilizzo frequente della parola “caso” tra gli evoluzionisti, però, niente è più lontano dal vero. Se è corretto dire che le “parole d’ordine” dell’evoluzione sono “il caso e la necessità” – dal titolo di un famoso libro di Jacques Monod – non è difficile far notare due fatti:
1) le mutazioni sono, è vero, frutto del caso (o meglio di cause indeterminate) e danno origine nel patrimonio genetico a cambiamenti difficilissimi o impossibili da stabilire;
2) ogni mutazione dev’essere passata al setaccio dalla necessità, cioè la selezione naturale, che è perfettamente e strettamente deterministica, niente affatto casuale.
Se le mutazioni sono la benzina del cambiamento evolutivo, la selezione naturale o altre forze come la selezione sessuale o la deriva genetica ne sono il motore. Ed è solo con il motore che un mezzo può procedere. Così come è solo sottoponendo al vaglio della selezione naturale tutti i cambiamenti generati dalle mutazioni che le specie possono cambiare, adattarsi e in una parola evolversi.
Ecco infine l’obiezione per così dire epistemologica: «La teoria dell’evoluzione è, appunto, solo una teoria». La frase dimostra solo che chi usa questa critica non ha compreso la distinzione tra teoria in senso comune e quella in senso di filosofia della scienza. Nel primo caso, dicono i dizionari, una teoria è «un assunto basato su informazioni limitate, una congettura». Nel secondo è «un insieme di affermazioni o principi atti a spiegare un gruppo di fatti o fenomeni, specie se ripetutamente testati e ampiamente accettati, e che può essere utilizzato per fare predizioni su fenomeni naturali». L’evoluzione per selezione naturale è una teoria nel secondo senso, una teoria scientifica che spiega una serie così ampia di fenomeni della vita da non poter essere messa in crisi da poche, semplici, e un po’ ingenue, critiche. I biologi aspettano ancora che qualcuno la smentisca seriamente.
Marco Ferrari
Giornalista
caposervizio di Geo
e redattore di Pikaia
La critica più ovvia è che «nessuno ha mai visto una specie trasformarsi in un’altra». Anche se a volte assume forme ridicole (in un recente libro del creazionista turco Harun Yahya si obietta che nessun coccodrillo si è mai trasformato in uno scoiattolo…), è indubbio che alla scala temporale e visiva dell’uomo non è facile osservare la nascita di una nuova specie. Molti biologi fanno invece notare che, al di là del fatto che tutto dipende dalla definizione di specie, in molti casi la generazione di nuove specie è stata osservata, anche se non davanti agli occhi di tutti e spesso solo con strumenti particolari. Per esempio già nel 1905 il botanico olandese de Vries, studiando la genetica della rapunzia a grandi fiori (Oenothera lamarckiana), osservò la presenza tra esse di piante più grandi, e scoprì che il numero di cromosomi di questi esemplari era di 28, in confronto ai 14 delle piante originali. Poiché queste nuove rapunzie, chiamate Oenothera gigas, non erano in grado di accoppiarsi con le lamarckiana, non si potevano non definire nuove specie. Poiché il fenomeno del raddoppiamento dei cromosomi è piuttosto frequente nelle piante, si può dire che, con gli opportuni strumenti (conta dei cromosomi e esperimenti di incrocio) è possibile osservare facilmente la nascita di nuove specie vegetali. Un esempio di speciazione negli animali dovuta a un altro fenomeno, quello dell’ibridazione, è stato osservato e descritto un anno fa, utilizzando esperimenti di laboratorio. Partendo da due specie di farfalle del genere Heliconia (cydno e melpomene) si è ottenuto un ibrido che è identico a un’altra specie selvatica, H. heurippa, che a sua volta ha caratteristiche intermedie tra le altre due specie. Se H. melpomene ha una striscia rossa su ogni ala anteriore, e H. cydno ha le strisce bianche, H. heurippa ha strisce sia rosse sia bianche. E non è un semplice ibrido; queste farfalle infatti preferiscono accoppiarsi con quelle che hanno i loro stessi colori. I ricercatori non potevano quindi non pensare che la nuova specie si sia originata per ibridazione delle due “specie parentali”.
Un’altra obiezione spesso sollevata dagli oppositori (creazionisti e simili) è che «l’evoluzione viola la seconda legge della termodinamica», quando afferma, più o meno, che non è possibile la generazione spontanea di ordine (e quindi la diminuzione di entropia, che in questo caso è la misura del disordine) in un sistema chiuso, o energeticamente isolato. Questa critica dimostra una non conoscenza della termodinamica, oltre che della biologia. Infatti, non è possibile che l’ordine aumenti in un sistema chiuso, la Terra non lo è; riceve infatti dal Sole una quantità enorme di energia. E le forme di vita, che sono in effetti sistemi a ordine elevato, utilizzano l’energia del Sole per diminuire la propria entropia. Se l’ordine aumenta negli esseri viventi, così, diminuisce nella somma del sistema Terra+Sole.
Una critica spesso cavalcata non solo dai creazionisti “puri e duri”, ma anche da chi ha orecchiato anche solo in parte la teoria dell’evoluzione è la seguente: «Non esistono anelli di congiunzione». Il record fossile però ha dimostrato che questo non è vero; ci sono innumerevoli specie che nel passato avevano caratteristiche intermedie tra un gruppo e l’altro di animali. L’importante è capire che non devono essere necessariamente “ a metà strada” tra un gruppo e l’altro di specie. Anzi, spesso e volentieri le specie del passato andavano incontro alla cosiddetta “evoluzione a mosaico”. Uno degli esempi più famosi è Tiktaalik roseae, scoperto circa un anno fa; secondo uno dei suoi scopritori, Neil Shubin, non sarebbe né un pesce né un tetrapode (gli animali terrestri, che comprendono anfibi, rettili, uccelli e mammiferi), ma un pesciapode. Ha infatti scaglie e branchie da pesce, ossa degli arti e delle articolazioni a metà strada tra un gruppo e l’altro e collo mobile, costole e polmoni da animale terrestre.
Queste strutture sembrano a metà strada tra pesci e tetrapodi, ma dimostrano invece che ogni specie fossile non è un precursore imperfetto di una forma del lontano passato, e preludio di qualcosa di migliore che possiamo vedere oggi. È al contrario adattata all’ambiente in cui viveva (per Tiktaalik, 375 milioni di anni fa), tanto quanto lo sono le specie odierne. L’idea va contro tutto ciò che pensano gli oppositori della teoria, cioè che l’evoluzione contenga in sé una “freccia” che conduce nel corso del tempo da specie semplici ad altre più complesse. Che ci sia, in fondo, una tendenza verso l’ordine.
La critica mossa più frequentemente, perché più facile da formulare, è che «l’evoluzione è una teoria che spiega la vita con il caso». Nonostante l’utilizzo frequente della parola “caso” tra gli evoluzionisti, però, niente è più lontano dal vero. Se è corretto dire che le “parole d’ordine” dell’evoluzione sono “il caso e la necessità” – dal titolo di un famoso libro di Jacques Monod – non è difficile far notare due fatti:
1) le mutazioni sono, è vero, frutto del caso (o meglio di cause indeterminate) e danno origine nel patrimonio genetico a cambiamenti difficilissimi o impossibili da stabilire;
2) ogni mutazione dev’essere passata al setaccio dalla necessità, cioè la selezione naturale, che è perfettamente e strettamente deterministica, niente affatto casuale.
Se le mutazioni sono la benzina del cambiamento evolutivo, la selezione naturale o altre forze come la selezione sessuale o la deriva genetica ne sono il motore. Ed è solo con il motore che un mezzo può procedere. Così come è solo sottoponendo al vaglio della selezione naturale tutti i cambiamenti generati dalle mutazioni che le specie possono cambiare, adattarsi e in una parola evolversi.
Ecco infine l’obiezione per così dire epistemologica: «La teoria dell’evoluzione è, appunto, solo una teoria». La frase dimostra solo che chi usa questa critica non ha compreso la distinzione tra teoria in senso comune e quella in senso di filosofia della scienza. Nel primo caso, dicono i dizionari, una teoria è «un assunto basato su informazioni limitate, una congettura». Nel secondo è «un insieme di affermazioni o principi atti a spiegare un gruppo di fatti o fenomeni, specie se ripetutamente testati e ampiamente accettati, e che può essere utilizzato per fare predizioni su fenomeni naturali». L’evoluzione per selezione naturale è una teoria nel secondo senso, una teoria scientifica che spiega una serie così ampia di fenomeni della vita da non poter essere messa in crisi da poche, semplici, e un po’ ingenue, critiche. I biologi aspettano ancora che qualcuno la smentisca seriamente.
Marco Ferrari
Giornalista
caposervizio di Geo
e redattore di Pikaia