Torino. La Sacra Sindone è tornata a far parlare di sé recentemente sulle cronache dei quotidiani nazionali. Peccato, però, che il motivo non sia legato alle due notizie più rilevanti che, come spesso accade, erano passate sotto il silenzio più assoluto. Ma procediamo con ordine.
Nei mesi scorsi era stata ritrovata - frammentaria, ma praticamente completa - una sindone funebre palestinese, con al suo interno i resti di un maschio adulto, nella Valle di Hinnom nei pressi di Gerusalemme. Il prezioso ritrovamento era stata opera dell'archeologo Shimon Gibson a capo della Jerusalem Archaeological Field Unit. L'unico riferimento dei media italiani all'importante scoperta venne fatto dal prof. Giuseppe Ghiberti, decano dei sindonologi italiani, sulle pagine dell'Archivio Teologico Torinese. In esso, tuttavia, egli citava brevemente il ritrovamento di questo lenzuolo funebre senza entrare nel dettaglio. Come mai? Il motivo è presto detto. La sindone di Gibson - datata al 50 d.C. circa col Carbonio 14 nel laboratorio di Tucson in Arizona - non era per nulla simile a quella di Torino: il tessuto era lana e non lino, la tessitura molto meno elaborata e, soprattutto, la tecnica di sepoltura prevedeva un avvolgimento della salma, come si legge nei vangeli canonici ed era prassi ebraica, e non una semplice copertura del defunto come presuppone la Sindone di Torino.
La seconda notizia che non ha avuto eco è da riferire all'opera di restaurazione che la Sindone ha subito. Numerosi e dettagliati sono stati i resoconti giornalistici in merito. È mancato, tuttavia, un accenno alla tribolazione degli studiosi del Centro di Sindonologia di Torino che, dopo la pubblicazione delle nuove foto ad alta risoluzione della reliquia restaurata, avevano avuto insormontabili difficoltà nell'identificare le presunte ombre delle famigerate monetine pilatesche. Monetine che avevano occupato pagine e pagine di quotidiani, periodici e invaso lo spazio di trasmissioni televisive di ogni tipo per il sensazionalismo della scoperta e che ora, dopo la loro "scomparsa", non hanno trovato nemmeno due righe di una notizia breve.
Ed è proprio a una leggerezza giornalistica che la Sindone ha legato il proprio nome di recente. Sul quotidiano La Nazione, in due articoli diversi del 2 e del 4 gennaio, sono uscite le seguenti notizie: "Sul muro di San Giovanni comparso il volto di Cristo" e "Processione per la "Sindone" comparsa sul vecchio muro". Il tutto sarebbe avvenuto nel comune di Villafranca Lunigiana in provincia di Massa Carrara: durante alcuni lavori di restauro dei muri esterni della chiesa locale, calcinacci e intonaco di una parete avrebbero disvelato niente di meno che un volto sindonico. "La Sindone appare su un muro - si legge nell'articolo del 4 gennaio - e c'è chi grida al miracolo. Increspature di cemento e macchie disegnano straordinariamente l'icona della Sindone, così come compare sull'immagine negativa del sacro lenzuolo di Torino. Ed è subito fede".
La notizia del ritrovamento era stata data dal sindaco, ma, prudentemente, il parroco locale don Giovanni Barbieri, non aveva voluto commentare. Di fatto - come si può vedere dalla foto qui pubblicata - la notizia si commenterebbe da sola. "C'è chi guida all'osservazione - prosegue l'articolo - indicando i segni più evidenti della fisionomia del volto di Cristo: la fronte segnata dalla corona di spine, gli occhi infossati, il naso, la barba e i capelli. Se si confrontano le immagini del disegno apparso sul muro e il Volto santo si notano coincidenze eccezionali sui particolari ingranditi con una lente".
È davvero curioso notare, per l'ennesima volta, come sia sufficiente una "non notizia" giornalistica per rinfocolare la creduloneria popolare (dopo l'articolo, infatti, la gente si sarebbe messa in processione per visitare la chiesa). Tuttavia, soprattutto quando si tratta di temi legati alla fede, lo scrupolo e il vaglio giornalistico dovrebbero essere ancora maggiori. Ammettiamo pure che ciascuno - credente o non credente - veda in quel gioco di chiaroscuri ciò che riesce (o vuole) vedere. Ma la semplice comparazione delle due immagini, senza bisogno di alcun software sofisticato, mostra come l'unica cosa che le rende vagamente simili siano solo i colori bianco e nero di cui sono composte. Tutto qui.
Scrive J. Bentely nel classico Ossa senza pace (Sugarco 1988, p. 102): "In pieno Medioevo le reliquie e le immagini miracolose diventavano un grosso affare. Il commercio delle ossa, dei corpi, dei fazzoletti, delle vesti e delle scarpe generò un gruppo di attivissimi mediatori. Comprata e venduta, la reliquia era un investimento che dava al possessore l'opportunità di ricavare denaro, di attrarre i supplicanti e le loro offerte, di creare una riserva apparentemente inestinguibile di reliquie secondarie da vendere ai fedeli. Le reliquie procuravano il denaro necessario alla costruzione di abbazie, cattedrali e sacrari. Creavano lavoro. Stimolavano le fiere. Arricchivano gli uomini di Dio".
Ma noi non siamo nel Medioevo e questo non è il caso. Almeno si spera.
Antonio Lombatti