21 GRAMMI
Regia: Alejandro Gonzalez Inarritu
Interpreti: Sean Penn, Naomi Watts, Charlotte Gainsbourg, Benicio Del Toro
Abbiamo letto sui giornali qualche tempo fa che qualcuno avrebbe stabilito in 21 grammi il peso dell'anima, uguale per tutti, pesando un certo numero di persone un momento prima e un momento dopo la loro morte. Una "dimostrazione quantitativa" dell'esistenza di questo elemento umano che, vera o falsa che sia, comunque non ci diceva nulla di più sulla sua presunta essenza. Neppure il regista messicano, qui al suo secondo cimento (opera prima il sorprendente, bellissimo, Amores perros), ci si prova. Allora perché questo titolo esplicitamente ammiccante ad una affermazione assai azzardata?
Forse a interessare Inarritu è stato proprio il tentativo di materializzare uno degli aspetti più eterei dell'umanizzazione, così come lui ci racconta con grande talento visivo tre drammi psicologici profondi attraverso la ripresa delle loro sofferenze fisiche, del sangue, del dolore, della carne. Il suo è cinema di quello vero, che ci colpisce allo stomaco, senza mezze misure. Il film ha una struttura narrativa tripartita, tre storie apparentemente elaborate e concluse in sé stesse che l'autore spezza, mescola e ricompone in una esposizione temporale asistematica all'inizio piuttosto spiazzante e lo spettatore impiega almeno venti minuti prima di trovare il filo del racconto e comprendere il complesso intreccio che lega i personaggi, ma come ci si appropria della chiave di lettura il risultato è affascinante: Paul (S. Penn), cardiopatico gravissimo, avrà la donazione del cuore del marito di Cristina (N. Watts), ucciso coi due figli in un incidente causato da Jack (B. Del Toro).
La trama sta tutta nella voglia di Paul di conoscere il donatore, che lo porterà ad essere complice del tentativo di vendetta di Cristina, e la storia regge di per sé abbastanza bene, ma tanto il valore quanto il limite dell'opera stanno invece nella descrizione dei caratteri a tinte fortissime che, laddove coinvolgono e scioccano non sono però esenti da eccessi e velleitarismi: il violentissimo senso di peccato e conseguente necessità di espiazione di Jack è quello più esagerato e fuori dalle righe, ma anche il rapporto fra Paul e Cristina si trascina nella retorica e non risolve alcuni cortocircuiti narrativi (soprattutto quello che vede lui morente, col cuore del marito di lei, che la lascia incinta e che mi sembra più adatto ad una soap opera).
Al di là comunque dei suoi eccessi melodrammatici il film è molto bello e ci consegna un autore che sembra non avere sofferto troppo del suo passaggio da una piccola produzione locale a quella di una major hollywoodiana.
Dei tre splendidi attori principali (tutti bravissimi anche gli altri), sorvolando sulla mia personalissima predilezione per Benicio Del Toro, mi piace sottolineare l'intensità dell'interpretazione di Naomi Watts.
Infine non si può non parlare della direzione della fotografia di Rodrigo Prieto (La 25 ora di Spike Lee, Comandante di Oliver Stone, 8 Mile di Curtis Hanson): la sua scelta di un cromatismo diverso per ogni personaggio e di uno stile a volte sgranato a volte morbido per ogni situazione è indubbiamente di notevole effetto estetico ma, stesso discorso del film, scade a volte in eccessi di autocompiacimento e di puro esercizio di stile un po' stancanti.
Ciò non toglie che il risultato alla fine sia una grafica turgida e forte: si vede che Prieto si sente bravo, ma ne ha anche buone ragioni. In conclusione un bel film, da vedere, che avrebbe potuto essere ottimo.
Lucio Braglia
[email protected]
Regia: Alejandro Gonzalez Inarritu
Interpreti: Sean Penn, Naomi Watts, Charlotte Gainsbourg, Benicio Del Toro
Abbiamo letto sui giornali qualche tempo fa che qualcuno avrebbe stabilito in 21 grammi il peso dell'anima, uguale per tutti, pesando un certo numero di persone un momento prima e un momento dopo la loro morte. Una "dimostrazione quantitativa" dell'esistenza di questo elemento umano che, vera o falsa che sia, comunque non ci diceva nulla di più sulla sua presunta essenza. Neppure il regista messicano, qui al suo secondo cimento (opera prima il sorprendente, bellissimo, Amores perros), ci si prova. Allora perché questo titolo esplicitamente ammiccante ad una affermazione assai azzardata?
Forse a interessare Inarritu è stato proprio il tentativo di materializzare uno degli aspetti più eterei dell'umanizzazione, così come lui ci racconta con grande talento visivo tre drammi psicologici profondi attraverso la ripresa delle loro sofferenze fisiche, del sangue, del dolore, della carne. Il suo è cinema di quello vero, che ci colpisce allo stomaco, senza mezze misure. Il film ha una struttura narrativa tripartita, tre storie apparentemente elaborate e concluse in sé stesse che l'autore spezza, mescola e ricompone in una esposizione temporale asistematica all'inizio piuttosto spiazzante e lo spettatore impiega almeno venti minuti prima di trovare il filo del racconto e comprendere il complesso intreccio che lega i personaggi, ma come ci si appropria della chiave di lettura il risultato è affascinante: Paul (S. Penn), cardiopatico gravissimo, avrà la donazione del cuore del marito di Cristina (N. Watts), ucciso coi due figli in un incidente causato da Jack (B. Del Toro).
La trama sta tutta nella voglia di Paul di conoscere il donatore, che lo porterà ad essere complice del tentativo di vendetta di Cristina, e la storia regge di per sé abbastanza bene, ma tanto il valore quanto il limite dell'opera stanno invece nella descrizione dei caratteri a tinte fortissime che, laddove coinvolgono e scioccano non sono però esenti da eccessi e velleitarismi: il violentissimo senso di peccato e conseguente necessità di espiazione di Jack è quello più esagerato e fuori dalle righe, ma anche il rapporto fra Paul e Cristina si trascina nella retorica e non risolve alcuni cortocircuiti narrativi (soprattutto quello che vede lui morente, col cuore del marito di lei, che la lascia incinta e che mi sembra più adatto ad una soap opera).
Al di là comunque dei suoi eccessi melodrammatici il film è molto bello e ci consegna un autore che sembra non avere sofferto troppo del suo passaggio da una piccola produzione locale a quella di una major hollywoodiana.
Dei tre splendidi attori principali (tutti bravissimi anche gli altri), sorvolando sulla mia personalissima predilezione per Benicio Del Toro, mi piace sottolineare l'intensità dell'interpretazione di Naomi Watts.
Infine non si può non parlare della direzione della fotografia di Rodrigo Prieto (La 25 ora di Spike Lee, Comandante di Oliver Stone, 8 Mile di Curtis Hanson): la sua scelta di un cromatismo diverso per ogni personaggio e di uno stile a volte sgranato a volte morbido per ogni situazione è indubbiamente di notevole effetto estetico ma, stesso discorso del film, scade a volte in eccessi di autocompiacimento e di puro esercizio di stile un po' stancanti.
Ciò non toglie che il risultato alla fine sia una grafica turgida e forte: si vede che Prieto si sente bravo, ma ne ha anche buone ragioni. In conclusione un bel film, da vedere, che avrebbe potuto essere ottimo.
Lucio Braglia
[email protected]