Presunti omicidi rituali e aggressioni xenofobe in Zambia

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  • 13-08-2016
  • di Sofia Lincos
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Nella Repubblica dello Zambia, uno Stato dell'Africa centro-meridionale confinante fra gli altri con il Malawi, la Tanzania e la Repubblica Democratica del Congo, si stanno diffondendo da diversi anni voci che vogliono il Paese vittima del satanismo: un fenomeno paragonabile al panico morale che ha interessato gli USA e i Paesi europei a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, e che in Zambia è attivamente sostenuto da leader religiosi.

Nei primi mesi di quest'anno, una serie di presunti omicidi rituali intorno alla capitale Lusaka (dove abitano quasi due milioni di persone) ha portato alla propagazione di nuove voci incontrollate che sono sfociate nel più grave episodio di disordini e saccheggi della storia del Paese.

Tutto inizia il 17 marzo, quando i giornali riferiscono il ritrovamento di quattro corpi in un distretto di Lusaka: le vittime sono state uccise, poi abbandonate vicino a un locale pubblico con orecchie e organi genitali rimossi.[1]

L'omicidio colpisce l'opinione pubblica, e comincia a diffondersi la voce secondo cui sono stati arrestati alcuni sospetti. Quando la notizia viene smentita cominciano le prime violenze, che sfociano nell'incendio di una stazione di polizia e delle auto parcheggiate.[2]

I giornali vanno a caccia di un colpevole, pubblicando notizie non verificate e frutto delle leggende metropolitane in diffusione: dell'omicidio vengono accusati prima alcuni musicisti locali (che avrebbero compiuto un sacrificio "di massa" per ottenere fama e ricchezza)[3], poi si ipotizza che siano omicidi “satanici” propiziatori in vista delle elezioni che si terranno entro alcuni mesi.[4]

Intanto le vittime non si fermano: a inizio aprile un uomo viene ritrovato abbandonato accanto a una chiesa, senza orecchie, cuore e organi sessuali[5]; il 16 aprile un altro viene trovato in casa nelle stesse condizioni.[6] E la voce popolare attribuisce alla stessa scia di delitti anche omicidi probabilmente del tutto scollegati, come quello di una guardia giurata trovata uccisa o alcuni incidenti d'auto definiti “insoliti”.[7]

Tra il 19 e il 20 aprile scoppiano i disordini più gravi: sui social media si diffonde la voce secondo cui i ladri d'organi sarebbero da individuarsi negli immigrati rwandesi, che li avrebbero usati come "amuleti" per assicurarsi prosperità negli affari. La folla si addensa intorno alla stazione di polizia dove sarebbero detenuti alcuni sospetti; poi, alla notizia che alcune persone di origine straniera sarebbero state rilasciate, volano i primi sassi. I rivoltosi cominciano ad assaltare i chioschi di proprietà degli stranieri; nel corso degli scontri 62 negozi vengono saccheggiati, due persone bruciate vive. Molti rwandesi sono costretti a rifugiarsi nelle chiese e nelle stazioni di polizia. Circa centocinquanta sfollati confluiscono nel campo profughi di Mayukwayukwa.

Il governo reagisce arrestando circa 250 persone e mandando le forze speciali dell'Esercito a pattugliare le strade. Tra fine aprile e inizio maggio la situazione va via via normalizzandosi, nonostante i rumors su nuovi omicidi rituali, immediatamente smentiti dalla polizia, che per fortuna non danno luogo a ulteriori disordini.[8]

Finito il tempo della violenza, arriva quello delle analisi. Mentre la natura degli omicidi che hanno scatenato gli eventi non è ancora del tutto chiarita, un dato di fatto è che la xenofobia si è concentrata soprattutto contro gli immigrati rwandesi, che in Zambia sono circa 6000, la maggior parte rifugiati nel Paese in seguito al genocidio del 1994 e attualmente ben integrati nel tessuto sociale. Per contro, gli autori dei saccheggi sono per lo più giovani: una generazione con altissimi tassi di disoccupazione, colpita dalla crisi delle miniere di rame e dal crollo della valuta locale. Il sospetto, quindi, è che a fomentare la xenofobia sia stata una forma di "invidia sociale", che ha reso le persone facile preda di leggende metropolitane di ogni sorta.[9]

Note

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