Errori e frodi nella scienza: gli articoli ritrattati

Il 2 febbraio 2010 su The Lancet, una tra le più prestigiose riviste scientifiche in ambito medico, è comparso un breve trafiletto in cui si annunciava la ritrattazione del discusso articolo in cui Andrew Wakefield descriveva una possibile correlazione tra l’autismo e il vaccino trivalente MMR.

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©italsanomat.it
Abbiamo parlato spesso su Query del famigerato studio di Wakefield e di quanto questo abbia contribuito alla sfiducia nei vaccini (si può vedere per esempio una descrizione dei fatti su Queryonline[1]). Dopo un’inchiesta giornalistica che sollevava non pochi dubbi etici e scientifici sullo studio, un’investigazione durata cinque anni del General Medical Council britannico giudicò l’articolo fraudolento, causando appunto la sua ritrattazione da parte della rivista e, successivamente, la radiazione di Wakefield dall’albo dei medici inglesi.

Ma cosa significa “ritrattare” un articolo scientifico?

Un articolo “ritrattato” o “ritirato” (“retracted” in inglese) è rimosso dagli archivi della rivista che lo aveva pubblicato, sostituito da una nota in cui si spiegano le ragioni della ritrattazione, e, almeno in teoria, a tutti gli effetti è come se non fosse mai stato pubblicato.

Abbiamo visto, qualche numero fa, che il meccanismo della peer review a cui vengono sottoposti gli articoli scientifici, pur con tutti i suoi difetti, assicura la qualità formale dell’articolo e mette al sicuro dagli errori più grossolani, ma non può garantire la correttezza dei dati riportati. Sarà la replicazione del risultato da parte di altri ricercatori a far sì che il contributo venga accettato dalla comunità scientifica.

È quindi naturale che, a volte, sia impossibile replicare un risultato, senza necessariamente trovare il problema o l’errore nel lavoro originale: anche di questo abbiamo già parlato nel numero 6 di questa rubrica. Questo non provoca certo la ritrattazione dell’articolo originale; anzi, è importante che anche i lavori in buona fede i cui risultati siano stati successivamente smentiti rimangano nel “record of science”. Per esempio, il fatto che un esperimento funzioni solo in un caso molto particolare, ma non possa essere replicato in altri, potrebbe essere indizio di qualcosa di nuovo e non ancora noto, che potrebbe essere compreso solo grazie a conoscenze o tecnologie non ancora disponibili.

La ritrattazione, invece, implica che l’articolo non debba in nessun caso essere usato come base per futuri studi, e che il suo risultato, se rimanesse negli archivi e nei database, inquinerebbe la letteratura scientifica.

Per quanto capiti, dopo la pubblicazione, di trovare un grave errore in un lavoro e magari gli stessi autori ne possano chiedere la ritrattazione, la principale causa è la scoperta di qualche forma di frode scientifica: la falsificazione di dati, il plagio, la pubblicazione multipla dello stesso risultato.

Per esempio, uno studio sulle discipline biomediche pubblicato nel 2012[2] ha analizzato più di 2000 articoli ritrattati indicizzati dal database PubMed. Solo il 21.3% delle ritrattazioni era dovuto a errori; quasi metà (43.4%) a frodi accertate o sospette, e il 24% a irregolarità nella pubblicazione (plagio o duplicazione).

Queste ultime, pur non avendo apparentemente effetti così importanti sul progresso scientifico, sono pur sempre gravi scorrettezze, dato che l’autorevolezza di un ricercatore è spesso misurata con il numero delle sue pubblicazioni, la loro collocazione in riviste più o meno prestigiose e il numero di citazioni che ricevono.

La ritrattazione di un articolo è dunque generalmente indice di comportamento scorretto o quantomeno di gravi errori da parte degli autori, e può comportare serie conseguenze sul loro prestigio scientifico e sulla loro carriera. Non ci addentriamo ora nella discussione sulla frode scientifica, sulle sue cause, effetti e diffusione, rimandando per esempio a un libro recentemente pubblicato da Enrico Bucci[3], per concentrarci sulla ritrattazione in sé.
Dopo la retraction, un articolo generalmente è sostituito da una nota (firmata da chi ha richiesto la ritrattazione, quindi generalmente dagli autori stessi o dagli editor della rivista). Rimane però di solito archiviato in una sezione separata, chiaramente etichettato, in modo da essere comunque accessibile; solo in rare occasioni può essere rimosso del tutto o sostituito. Per esempio, la grande casa editrice scientifica Elsevier[4] rimuove del tutto l’articolo in casi molto rari e solo per ragioni legali (per esempio un articolo che contenga una diffamazione), e ne permette la sostituzione quando il contenuto dell’articolo, per quanto ritirato, possa causare un grave rischio per la salute (per esempio descrivendo una cura in realtà pericolosa). In quest’ultimo caso l’articolo può essere sostituito con una versione corretta, che però conterrà la descrizione di quello che è successo (e l’articolo originale risulterà a tutti gli effetti ritirato, con tutto quello che questo comporta per gli autori).

Fino all’avvento del Web e degli archivi online, l’accesso alle riviste scientifiche avveniva attraverso le copie cartacee conservate nelle biblioteche universitarie, e naturalmente la ritrattazione non comportava la rimozione fisica delle copie dell’articolo; a meno di non cercare esplicitamente nei numeri successivi della rivista, non c’era modo di sapere se l’articolo che si stava consultando era stato ritirato. Ancora oggi non c’è un database generale degli articoli ritirati, anche se esiste almeno un progetto per crearlo. Dal 2010 il blog Retraction Watch[5], gestito all’inizio su base volontaria, cerca di tenere traccia degli articoli ritirati, lavoro che si è rivelato inaspettatamente improbo ai creatori e curatori del blog Adam Marcus e Ivan Oransky. Nel 2015 i due autori hanno ricevuto un finanziamento dalla Fondazione MacArthur proprio per collaborare con il Center of Open Science per la creazione di un database delle ritrattazioni.

Oggi l’accesso alle riviste scientifiche è quasi esclusivamente online, dove è semplice etichettare in modo inequivocabile un articolo ritirato; dunque la ritrattazione, anche in mancanza di un database completo, dovrebbe essere molto più efficace nell’evitare che risultati gravemente sbagliati o fraudolenti siano usati da altri ricercatori, con gli effetti che si possono immaginare.

Il numero di volte in cui un articolo scientifico è citato nella bibliografia di altri articoli successivi è in generale un indicatore dell’importanza del lavoro e della sua influenza; curiosamente si osserva come spesso i lavori ritirati ricevano citazioni anche dopo la ritrattazione. Per esempio, secondo Retraction Watch il più citato articolo mai ritirato è il lavoro di un gruppo di ricercatori giapponesi sulla visfatina, una proteina del tessuto adiposo. Pubblicato nel 2005 e ritirato due anni dopo, ha ricevuto 247 citazioni prima della ritrattazione e ben 776 dopo, con un numero medio di citazioni per anno che non è sensibilmente diminuito. Il lavoro in questione è stato ritirato su insistenza dell’Università di Osaka, che aveva finanziato lo studio; gli autori però continuavano a sostenere la validità dei loro risultati, e questo potrebbe aver in parte giustificato l’ulteriore attenzione ricevuta.

Il secondo della lista è proprio il famigerato paper di Wakefield di cui parlavamo all’inizio. Né una ritrattazione parziale nel 2004 né la completa retraction del 2010 hanno ridotto sensibilmente la media di 50–60 citazioni all’anno ricevute dal paper (per esempio, 47 nel 2015 secondo gli indici ISI), nonostante la grande risonanza della ritrattazione e la successiva radiazione di Wakefield dall’albo. In questo caso naturalmente una gran parte delle citazioni proviene da articoli che non riprendono i contenuti scientifici del lavoro originale, ma discutono dei suoi effetti sull’atteggiamento del pubblico nei confronti dei vaccini o sulla rinnovata diffusione di malattie per le quali esiste una vaccinazione.

Il problema della poca visibilità delle ritrattazioni, mostrato da questi e altri esempi, non è enorme: il numero di articoli ritrattati, pur molto cresciuto negli ultimi anni, è relativamente piccolo rispetto all’enorme mole di articoli pubblicati. Le ritrattazioni rimangono comunque un aspetto importante, e, come suggerisce Retraction Watch, possono essere una importante spia della salute e trasparenza del lavoro scientifico.

Note

2) F.C. Fang, R.G. Steen, A. Casadevall, “Misconduct accounts for the majority of retracted scientific publication” Proc. Natl. Acad. Sci. USA doi:10.1037/pnas.1212247102 (2012)
3) Enrico Bucci, Cattivi Scienziati. La frode nella ricerca scientifica. Torino: Add Editore (2015)

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