Gli strumenti della scienza. Ovvero della misura.

La misura è una cosa seria, è il fondamento della Scienza e del suo metodo di porsi domande allo scopo di trovare risposte. Secoli di impegno in questo settore hanno condotto a un apparato formidabile che, seppure perfettibile, è quanto di meglio esista per sostenere razionalmente e oggettivamente discussioni sul perché e il percome di questo universo

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©antiquariato.myblog.it
I chirurghi usano il bisturi (e molti altri oggetti inquietanti ma necessari se vogliamo sperare in una pronta guarigione quando necessario). I chimici le provette e altra vetreria leggendaria, ma anche macchinari complessi, elettronici, modernissimi. Come pure i biologi. Gli ingegneri meccanici lavorano con bilance, calibri, dinamometri. Scienza che vai, strumentazione di misura che trovi. Ovvio?

Mica tanto. La scienza è, a tutti gli effetti, quella branca del sapere e della cultura dell’umanità che ha a che fare con i dati, i numeri. Con le osservazioni sperimentali. E per farlo ha un bisogno primario e insostituibile di mezzi di misura, di “bilance” (in senso lato) in grado di tradurre in numeri (che includono valori, unità di misura e incertezze) le grandezze fisiche acquisite nel laboratorio.

La differenza fondamentale fra scienza e ciò che scienza non è (e che non significa meglio o peggio di essa) è proprio qui: come scienziati abbiamo sete e fame insaziabili di dati sensibili (già auspicati da Galilei), senza i quali, per l’appunto, non si è in grado di dare un contributo razionale al sapere scientifico e oggettivo.

Allo scopo di fornire dati sperimentali, numeri e non solo opinioni, è necessario utilizzare strumenti di misura, ovvero apparati che possono interfacciarsi, collegarsi con il mondo naturale e trasferire valori secondo determinati standard in un sistema di acquisizione e confronto sistematico, ripetibile, universale.

Un semplice esempio: abbiamo bisogno di misurare la temperatura dell’aria in un dato luogo e a un dato istante. L’idea che subito ci viene è quella di utilizzare un termometro: lo strumento di misura per antonomasia che collega l’idea o il concetto di temperatura con la sua pesata, misura infatti, secondo un criterio che sia condivisibile e condiviso in tutti i laboratori o, più semplicemente, da tutte le persone che in questo mondo vogliono (o devono) dare un significato comune, secondo una convenzione universale, a questa grandezza (la temperatura) che, altrimenti, resterebbe una percezione soggettiva, individuale, relativa, discutibile. Anche uno strumento concettualmente semplice come un termometro ha una storia lunga e complessa: si parte dalla definizione operativa di temperatura, ossia della grandezza che è destinato a stimare per tramite della variazione di una qualche proprietà (fisica, in questo esempio) di un apposito sensore. Nel caso del termometro a mercurio per misurare la febbre – oggi “fuori legge”, il mercurio, non la febbre – la proprietà era il volume del mercurio contenuto dal capillare di vetro che, notoriamente, aumenta con la temperatura del corpo a contatto con il bulbo. Nei moderni termometri si utilizzano invece proprietà di tipo termoelettrico, come per esempio la variazione di resistenza elettrica di un materiale al variare della temperatura, oppure il diverso comportamento elettrico di differenti metalli in contatto fra di essi (le cosiddette termocoppie).

A prescindere dal particolare fenomeno utilizzato, come pure dalla grandezza sotto misura, lo strumento non è utile se non viene prima dell’uso calibrato, ovvero confrontato e allineato con i dati forniti da uno strumento di riferimento, usualmente noto come strumento campione. Si pensi per esempio al noto “metro campione” custodito nei laboratori degli standard metrologici (a Sèvres, presso Parigi): fino a non molti anni fa, e in un certo senso anche ai giorni nostri, tutti i metri (ovvero i loro multipli e sottomultipli) dovevano accordarsi nel modo più accurato possibile (da qui il termine accuratezza di una misura, da non confondersi con la sua precisione, di cui si accenna fra poco) con questo metro standard, unico al mondo. Una misura (di lunghezza, in questo caso) deve essere molto accurata (cioè il metro che si utilizza deve essere bene calibrato – d’accordo con quello di riferimento) ma, tipicamente, anche molto precisa. Quest’ultima caratteristica ha a che fare con il dettaglio con il quale si fornisce il valore misurato (se una lunghezza: aggiungere i millimetri ai centimetri implica una maggior precisione – e questo lo si ottiene con uno strumento che ha una corrispondentemente più elevata risoluzione, le tacche millimetriche invece che solo centimetriche). Ci si può ovviamente chiedere quale sia l’origine del metro campione, come pure di qualsiasi altra grandezza di riferimento… a proposito, quanti “tipi” differenti di grandezze ci sono a questo mondo? Anche qui si apre un grande capitolo della storia del pensiero scientifico e della tecnologia, che non può essere ridotto a poche righe di riassunto. La sostanza dei fatti è comunque questa: un metro lo si definisce arbitrariamente, e lo si fa per trovarsi tutti d’accordo per confrontare le dimensioni delle cose senza litigare. Fatto che accadeva regolarmente fra quando c’erano braccia, piedi, cubiti e altre unità di misura della lunghezza che variavano da paese a paese. A partire dal XVIII secolo, grazie soprattutto all’impegno del governo francese dell’epoca, il metro è stato definito in termini geofisici, come una parte del meridiano terrestre, e realizzato con una sbarra di lega platino-iridio che, come sopra accennato, è stata replicata innumerevoli volte. Ci si è dovuti accordare anche sulla misura del tempo, della massa, della temperatura, della quantità di sostanza, dell’intensità luminosa e della corrente elettrica. Altro? No, basta così: si tratta di sette grandezze, dette “fondamentali”, nel senso che non possono derivare da altre, che tutte assieme costituiscono la base del cosiddetto Sistema Internazionale di misura. Ognuna di queste grandezze ha il suo campione che è andato nel tempo raffinandosi sempre più, allo scopo di assicurare uno standard di affidabilità, stabilità, universalità insuperabile.

Per chiarire con un esempio: se fino al 1967 il secondo (unità di misura del tempo, ovviamente) era definito in termini astronomici, ovvero legati alla durata – più o meno regolare – di una giornata solare, ora ci si riferisce a questa stessa unità di misura in termini di periodicità delle oscillazioni che i nuclei di atomi di Cesio compiono con regolarità impressionante. Per quanto riguarda la lunghezza, il metro insomma, la sua definizione geografica è stata abbandonata e, dal 1983, si è passati a una lunghezza campione che è assegnata in termini di strada percorsa dalla luce nel vuoto in un dato intervallo di tempo, il tutto definito con una precisione elevatissima, visto che la velocità della luce è nota per l’appunto con tanta ricchezza di dettaglio.

A queste importanti, affascinanti “storie” della misura, si affiancano le altrettanto interessanti avventure dell’invenzione degli strumenti di misura. Siamo abbastanza abituati, tutto sommato, a convivere con il concetto e la pratica di «quanto è lungo questo tavolo», oppure «quanto tempo è passato dall’ultima volta che ti ho visto». Anche la pesata del prosciutto sulla bilancia del supermercato non ci preoccupa o ci stupisce (a meno che le unità di misura, invece che chilogrammi, siano espresse in euro). Le grandezze derivate da quelle fondamentali (velocità: quanti metri al secondo o chilometri all’ora percorri; densità: quanti chilogrammi ci sono in un metro cubo, etc.) sono anche abbastanza facilmente incluse nel nostro discorso, a livello concettuale. Altra cosa è però lo strumento utilizzabile per misurare queste nuove grandezze. La velocità si misura con il tachimetro. Bella roba. In pratica? Come funziona il tachimetro di un automobile? E quello di un aeroplano? Di una nave? Di un’astronave? Sono oggetti che viaggiano a una certa velocità, eppure hanno bisogno, di solito, di strumenti di misura molto diversi. Ogni grandezza, come si diceva all’inizio, ma anche ogni particolare intervallo di valori di questa grandezza (l’elevatissima velocità di un’astronave in confronto a quella di una barca a vela) hanno bisogno di strumenti diversi.

C’è una morale? Sì: la misura è una cosa seria, è il fondamento della Scienza e del suo metodo di porsi domande allo scopo di trovare risposte. Secoli di impegno in questo settore hanno condotto a un apparato formidabile che, seppure perfettibile (come tutto a questo umano mondo) è quanto di meglio esista per sostenere razionalmente e oggettivamente discussioni sul perché e il percome di questo universo.

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