Astronavi preistoriche

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©Palenque astronaut, phoenix74n, deviantart
È possibile che gli alieni abbiano visitato la Terra in un passato remoto? O che siano esistiti dei “paleoastronauti”? Secondo alcuni sì, e tracce di questi avvenimenti si troverebbero in dipinti, bassorilievi, manufatti e altri reperti archeologici.

La nascita dell’archeologia misteriosa si deve a Charles Hoy Fort (1874-1932), un giornalista statunitense che dedicò la sua vita a catalogare fatti strani, insoliti e apparentemente inspiegabili. La sua opera oggi viene portata avanti dalle Società Fortiane, sorte in vari Paesi del mondo dopo la sua morte.

L’ipotesi che ci sia stato un contatto di umanoidi extraterrestri con le antiche civiltà umane quali Sumeri, Egizi e Precolombiani si è affermata a partire dalla metà del Novecento, con la teoria degli antichi astronauti, detta anche del paleocontatto o paleoufologia. A dare voce a questa teoria sono state le opere di Robert Charroux (1909-1978) in Francia, Peter Kolosimo (1922-1984) in Italia e Erich von Däniken (1935) in Svizzera.

L’esempio sicuramente più citato dai sostenitori della teoria degli antichi astronauti è il cosiddetto astronauta di Palenque. La rappresentazione conosciuta con questo nome è stata ritrovata nel 1953 su una pietra tombale maya nel Tempio delle Iscrizioni di Palenque, nello stato del Chiapas, in Messico, e ritrae una figura umana in una posa che può essere assimilata a quella di un astronauta intento a pilotare un razzo. L’uomo sembra impugnare i comandi di guida e avere il tallone del piede sinistro su un pedale che appare addirittura regolabile in diverse posizioni; nella parte posteriore del veicolo compare una struttura, che può essere interpretata come un motore, da cui sembrerebbero fuoriuscire fiamme (le appendici allungate sui lati), come se si trattasse di un tubo di scappamento. Si può notare anche la presenza di un sedile, di un apparato di respirazione e di una struttura esterna affusolata che ben si concilia con l’aspetto di un veicolo con propulsione a razzo.

A portare questo bassorilievo all’attenzione del pubblico fu lo scrittore svizzero Erich von Däniken nel 1968. Egli pubblicò alcuni libri, tra cui Gli extraterrestri torneranno e Ricordi dal futuro, in cui sosteneva che tale reperto fosse una testimonianza dell’esistenza di viaggiatori extraterrestri, i quali avevano visitato il nostro pianeta in tempi remoti. Le stesse teorie furono riprese e ampliate, in Italia, da Peter Kolosimo, pseudonimo di Pier Domenico Colosimo - scrittore, giornalista e divulgatore, considerato uno dei fondatori dell’archeologia misteriosa - nei suoi due libri: Non è terrestre (1969) e Astronavi sulla preistoria (1972).

La descrizione che von Däniken fa dell’incisione è piuttosto suggestiva:

«Ecco un essere umano seduto, con la parte superiore del corpo piegata in avanti come il pilota di una moto. Oggi pure un bambino identificherebbe il suo veicolo con un razzo. Ha una forma anteriore a punta; poi si modifica, con tacche stranamente incavate che sembrano portelli di immissione, e si allarga, per finire poi con una fiammata terminale. L’essere inclinato manipola una serie di indefinibili controlli e il tallone del piede sinistro preme su una sorta di pedale. [...] Il nostro viaggiatore spaziale (perché chiaramente è ritratto come tale) non solo è rigidamente piegato in avanti, ma sta anche fissando un apparecchio appeso davanti al suo viso[1]».

Tuttavia anche un bambino noterebbe le evidenti incongruenze che, anche agli occhi di chi non conosce l’arte e la cultura maya, rendono davvero poco convincente l’ipotesi dell’astronauta. Prima fra tutte il fatto che l’uomo raffigurato sia vestito solo con un perizoma decorativo e alcuni gioielli, sia scalzo, non indossi guanti: il suo abbigliamento non è affatto consono a un viaggio nello spazio, mentre dal confronto con altre raffigurazioni coeve si deduce che si tratta dell’abbigliamento tipico della nobiltà maya attorno al 700 d.C.

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©Palenque’s Astronaut, upui.altervista.com
Von Däniken tralascia volutamente l’approfondimento di questi aspetti a favore della sua teoria, secondo la quale la Terra sarebbe stata visitata nel remoto passato da esseri provenienti da altri mondi, e la tecnologia, l’arte e le organizzazioni sociali terrestri sarebbero state introdotte da tali esseri, i quali avrebbero influenzato in modo consistente l’evoluzione umana.

Per interpretare correttamente il significato della lastra, secondo i veri studiosi della cultura maya, non è necessario postulare improbabili incontri con alieni. Essi ritengono che la scena sulla pietra ritragga, in realtà, un sacerdote o un re raffigurato al momento della morte, durante il passaggio fra il mondo dei vivi e l’aldilà. Sembra che, con buona probabilità, a essere rappresentato sia il re Lord-Shield Pacal, nelle sembianze di una manifestazione del dio maya del mais, che sta emergendo o inabissandosi nel mondo dei morti. La data della sepoltura si fa risalire al 683 d.C.

I simboli raffigurati sulla lastra di pietra si ritrovano, come mostra l’archeologo statunitense William H. Stiebing, anche su altre pietre tombali maya, ad esempio nel Tempio della Croce e nel Tempio della Croce Fronzuta, e sono stati ben decifrati dagli studiosi.

Le date esatte di quando il re nacque, governò e morì si ricavano, ad esempio, dai glifi incisi sulla cornice.

Cerchiamo di esaminare uno per uno gli elementi del bassorilievo, all’interno del contesto dell’arte maya.

Il presunto razzo è una forma d’arte composita, il cui corretto orientamento è verticale e non orizzontale. Esso incorpora il disegno di una croce, che probabilmente raffigura una pianta di mais stilizzata simboleggiante l’universo quadripartito dei Maya, un serpente a due teste, simbolo di Itzamnà, un dragone celeste che rappresenta la vita e la morte, un uccello sacro, chiamato Quetzal, simbolo solare che indica la sorgente della vita, e alcune grandi foglie di granturco.

La cintura cerimoniale di Pacal è stata interpretata come una cintura di sicurezza, ma essa è della stessa foggia dei bracciali che il re sacerdote indossa ai polsi e alle caviglie, ed è da considerarsi solo un ornamento.

Lo strano “cappello” raffigurato è un copricapo da guerra, e non un casco spaziale, come, con grande fantasia, è stato asserito dai fantarcheologi. Raffigurazioni di copricapi analoghi si trovano, infatti, in altri bassorilievi che rappresentano scene belliche.

La leva che il soggetto raffigurato sembra azionare con la mano sinistra non è altro che l’estremità di uno dei motivi decorativi dell’albero del mondo, e non fa perciò parte di alcun dispositivo di pilotaggio.

Osservando il volto di Pacal, si nota una specie di tubo che arriva quasi fino alle narici del re sacerdote. Secondo i fantarcheologi rappresenta un inalatore d’aria. Tuttavia esso non penetra affatto nelle cavità nasali, e anzi non arriva neanche a toccare la punta del naso. Anche in questo caso, quindi, si può ritenere che la figura corrisponda a un motivo simbolico. Il presunto pedale attivato dal piede dell’astronauta è, invece, una conchiglia, oggetto che i Maya associavano alla morte.

Infine, quello che sembra il tubo di scappamento del razzo è, con tutta probabilità, la radice del sacro albero del mais, che simboleggia la pianta di granturco che sostiene la vita.

L’intera scena è quindi una illustrazione di natura religiosa, non tecnologica, e ciò si comprende bene inquadrandola all’interno del contesto dell’arte maya: non si tratta di un astronauta, bensì di un re raffigurato durante il passaggio fra il mondo dei vivi e l’aldilà.

Per concludere, è indubbio che in campo archeologico vi siano innumerevoli problemi tuttora aperti, ma le speculazioni di certi sedicenti archeologi, che ricercano il mistero a tutti i costi, appaiono pura fantasia e testimoniano solo la fertile immaginazione dei loro autori. L’appellativo “fantarcheologia” è perciò assolutamente adeguato.

Note

1) Von Däniken, E. 1968. Gli Extraterrestri torneranno. Ferro Edizioni - Erinnerungen an die Zukunf. Düsseldorf und Wien: Econ Verlag
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