Le molte facce della razionalità

Le persone usano la parola “razionale” o “irrazionale” come se avesse un solo chiaro significato, dal quale la loro posizione segue logicamente o, in alternativa, risulta illogica la posizione altrui. Non è così

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Promuovere la razionalità è uno dei nostri obiettivi principali e usarla nell'affrontare i problemi dovrebbe essere una delle caratteristiche che ci distinguono da chi crede alle pseudoscienze. I problemi cominciano quando gli scettici si rinfacciano a vicenda di non essere razionali, discutendo di economia o di politica, ma anche di teorie scientifiche come quella sul riscaldamento globale.

Forse siamo meno razionali di quanto crediamo, oppure la nostra definizione di razionalità non è scontata come tendiamo a pensare. Ne parliamo tornando a ospitare in questa rubrica Massimo Pigliucci, il filosofo statunitense che insieme con altri autori cura il blog Rationally Speaking (http://www.rationallyspeaking.org) dal quale è tratto questo intervento, riprodotto sotto licenza Creative Commons.

Troppo spesso nelle discussioni su questo blog o con gli amici incontro una confusione fondamentale: le persone usano la parola “razionale” (o “irrazionale”) come se avesse un solo chiaro significato, dal quale la loro posizione segue logicamente (o, in alternativa, risulta illogica la posizione altrui). Non è così[1].

Gli antichi Greci avevano già fatto una distinzione tra theoria (ragione teorica) e praxis (ragione pratica), dove la prima era il tipo di ragionamento che riflette un punto di vista impersonale, mentre la seconda è un tipo di razionalità strumentale sviluppato nel perseguire obiettivi specifici. (Sì, la filosofia e le scienze cognitive di oggi hanno rispettivamente sostenuto e dimostrato in modo convincente che per gli esseri umani è pressoché impossibile raggiungere un punto di vista totalmente oggettivo, ma si tratta di un ideale: quello che intendiamo è che in certi casi vogliamo trascendere il più possibile i nostri pregiudizi e le nostre idiosincrasie per guardare al mondo nel modo più ampio possibile).

Mentre tutti i sistemi di logica hanno bisogno di assunzioni di partenza (o assiomi, come vengono chiamati in matematica) e nessun singolo sistema abbastanza complesso da essere interessante può essere completamente giustificato al suo interno, gli obiettivi e le assunzioni della ragione teorica e pratica sono nondimeno chiaramente distinti. La ragione teorica è ciò che sviluppiamo quando vogliamo arrivare a principi generali di logica che si applichino indipendentemente dalle circostanze (per esempio il principio di non contraddizione), mentre la ragione pratica ci dice quello che dobbiamo fare per massimizzare una specifica funzione di utilità.

Naturalmente, molta della confusione a cui mi riferisco subentra quando discuto con persone di orientamento libertario, che non mancano mai di giocare la carta vincente dell'interesse personale razionale, o principio dell'egoismo razionale. Non c'è bisogno di entrare di nuovo nella pseudofilosofia alla maniera di Ayn Rand, perché l'egoismo razionale è già stato discusso e criticato seriamente da Henry Sidgwick nel suo The Methods of Ethics fin dal 1907. In questo caso i libertari/obiettivisti non tengono conto che c'è una distinzione fondamentale tra l'egoismo razionale (un tipo di ragionamento) e l'egoismo etico (una posizione etica). Si può prontamente concordare che l'egoismo razionale sia un tipo particolare di razionalità strumentale (cioè, non è “irrazionale”) senza dover concedere che sia etico (io certamente non lo faccio).

Indubbiamente, questa distinzione tra la logica (strumentale) e l'etica delle azioni di un individuo è una delle questioni che rendono l'economia un campo così affascinante. Con il dovuto rispetto per i più inclini allo scientismo tra i miei lettori e commentatori, questa è un'area dove vediamo chiaramente la differenza tra fatti e valori. (Sì, so che Quine ha negato tale distinzione[2], ma penso che Quine sia stato sovra-interpretato e sopravvalutato da questo punto di vista. Al massimo, è riuscito a sostenere che la differenza non è sempre netta, non che non esiste).

Penso che l'economia sia un tipo di scienza sociale (morbida), non una pseudoscienza, nonostante il fatto che ci vengano vendute in suo nome molte sciocchezze da parte di una moltitudine di esperti e sapientoni. Voglio dire che in economia ci sono fatti che non possiamo (o almeno, non dovremmo) ignorare, indipendentemente dai nostri valori in tema di giustizia, distribuzione della ricchezza, eccetera. Ma è anche ovvio che ciò che è “razionale” in economia non dipende solo da questi fatti: dipende molto dai valori di ognuno e da come questi ultimi determinano le sue priorità. Così, per esempio, può darsi benissimo che il capitalismo del laissez-faire sia il modo migliore per massimizzare l'efficienza economica nella distribuzione dei beni (non sto concedendo il punto, lo sto assumendo per amor di discussione), ma anche così potremmo e, in realtà, dovremmo decidere che devono essere calcolati nell'equazione anche altri criteri, e a volte possiamo anche passare sopra l'obiettivo di massimizzare l'efficienza della distribuzione (o perfino quello di massimizzare i profitti degli azionisti). Tra gli altri criteri che potremmo considerare ci sono l'equo accesso alle risorse come l'educazione e la sanità, la sicurezza, l'impatto ambientale, eccetera.

Così, non si può semplicemente assumere senza discussione che l'interesse personale razionale equivalga alla razionalità tout court. In primo luogo, perché è un tipo particolare di razionalità strumentale le cui assunzioni si possono e si devono mettere in discussione. In secondo luogo, perché sono possibili altri tipi di razionalità strumentale (come massimizzare il beneficio per la società, far avanzare la prosperità umana, eccetera). In terzo luogo, perché non è un tipo di razionalità generale che cerchi principi indipendenti da particolari punti di vista (cioè è un tipo di praxis, non di theoria).

Lasciatemi fare un altro esempio, che riguarda questioni sorte durante la preparazione di una raccolta di saggi sulla filosofia della pseudoscienza che Maarten Boudry e io stiamo preparando per la University of Chicago Press. Si impernia sulla seguente domanda: possiamo dire ragionevolmente (ah!) che è razionale allineare le proprie credenze all'evidenza disponibile (secondo il teorema di Bayes e il motto di Hume[3])? La maggior parte degli scettici direbbe: diavolo sì, e ripeterebbe il mantra di Sagan ispirato da Hume (e Truzzi, N.d.T.): affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie.

Sì, ma questo è vero dal punto di vista della ragione teorica. Le scienze cognitive hanno cominciato a dimostrare che gli esseri umani apparentemente hanno bisogno di credere, almeno per una parte del tempo, a cose per le quali non c'è evidenza (o che sono, di fatto, contraddette dall'evidenza). Gli ottimisti - che si possono definire come le persone che trascurano alcuni dei fatti negativi circa le loro stesse abilità o le condizioni del mondo - apparentemente vivono vite più lunghe e felici dei pessimisti (che in realtà tendono a essere realisti, cioè si avvicinano di più ad allineare le proprie credenze alle prove disponibili). Così, dal punto di vista della ragione pratica, si può sostenere che è effettivamente razionale per le persone non comportarsi troppo strettamente come calcolatori bayesiani, e al diavolo la teoria.

Il risultato è che noi scettici siamo perfettamente giustificati nel dire a qualcuno che crede, diciamo, all'astrologia, che è irrazionale dal punto di vista teorico, ma non necessariamente che lo è da quello strumentale. Ulteriore complicazione, se la persona comincia a comportarsi sulla base delle sue false credenze in situazioni in cui la sua salute è a rischio (usando, diciamo, rimedi omeopatici invece di procedure mediche dimostrate) allora siamo autorizzati a dirgli che si sta comportando in modo irrazionale sia dal punto di vista teorico sia da quello pratico - almeno se assumiamo che effettivamente valuti la propria salute più della sua temporanea soddisfazione psicologica.

Così, la prossima volta che state per scagliare contro qualcuno il giudizio “questo è irrazionale”, fermatevi a pensare in quale senso lo intendete, e considerate se si applica davvero alla situazione in questione. Potrebbe risparmiarvi dispiacere e frustrazione e, chissà, potreste perfino presentare il vostro punto di vista in modo meno minaccioso. Assumendo che vi importi farlo, naturalmente.

Note

2) http://www.rit.edu/cla/philosophy/quine/fact_value.html
3) Per approfondire il tema, vedere l'articolo di Massimo Pigliucci “On Miracles - Again” In Skeptical Inquirer, Vol. 35., No. 5, settembre-ottobre 2011, e l'articolo di questa stessa rubrica nel numero 3 di Query.
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