La Royal Society e il declino del magico

  • In Articoli
  • 17-10-2011
  • di Roberto Labanti
La Royal Society fu fondata a Londra nel 1661 da un gruppo di gentiluomini interessati alla filosofia naturale, divenendo presto una delle più importanti accademie scientifiche europee[1]. Secondo alcuni storici, essa ebbe un ruolo rilevante in quel processo storico attraverso cui, fra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700, l’élite intellettuale negò progressivamente legittimità al magico come sistema di spiegazione della realtà; processo che è noto – richiamandosi al titolo di un importante libro che ha contribuito alla nascita dell’antropologia storica[2] – come declino del magico. Secondo altri, invece, alcune idee magiche erano sostenute da diversi membri fondatori della Società e, quindi, erano nella natura della Società stessa.

In un recente articolo[3], lo storico della scienza britannico Michael Hunter è tornato a occuparsi di questa controversia storiografica che ha attraversato l’ultima parte del ventesimo secolo, grazie alla ricca documentazione disponibile su quel periodo di storia dell’istituzione: i resoconti interni, la corrispondenza e le pubblicazioni, come le Philosophical Transactions. Secondo Hunter, la politica istituzionale della Società si caratterizzava per la mancanza di una posizione esplicita a favore o contro questo genere di questioni. Ciò che emerge dalla sua analisi è piuttosto la mancanza d’interesse e la tendenza a ignorarle, al di là dei coinvolgimenti e delle pressioni dei singoli membri.

Un esempio fra i diversi che lo storico inglese presenta e che puntano verso tale conclusione è quello relativo a Robert Boyle (1627-1691). Fra i fondatori della Royal Society e oggi considerato uno dei padri della chimica moderna, era uno di quei primi membri con spiccati interessi per i fenomeni preternaturali (lo studio dei quali, peraltro, era legittimo, e perseguito, all’interno della prospettiva scientifica derivata da Francis Bacon cui la Società s’ispirava) e soprannaturali, tanto da essere considerato da alcuni, come sembrano suggerire alcune fonti dell’epoca, piuttosto credulone. Nel 1666 s’interessò, anche attraverso osservazioni dirette, alle supposte guarigioni straordinarie prodotte da un contadino irlandese appena giunto in Inghilterra, Valentine Greatrakes (1628-1683), che affermava di essere in grado di curare, attraverso il tocco delle proprie mani, una serie di malattie[4]. Attraverso i documenti, Hunter dimostra però che l’istituzione in quanto tale non fu coinvolta nella questione e Boyle non pubblicò nulla sull’argomento attraverso la Società.

Perché, pur in presenza di forti interessi da parte di alcuni esponenti, accadde ciò? Alla base di tale politica, secondo Hunter, possono esservi state sia ragioni interne sia ragioni esterne. Prima di tutto, diversi membri della Royal Society, come il primo segretario Henry Oldenburg (c. 1619-1677) e il responsabile degli esperimenti Robert Hooke (1635-1703) erano del tutto contrari alle interpretazioni soprannaturali dei fenomeni: la diversa sensibilità su questo genere di argomenti, anche per le possibili implicazioni dottrinali, e la volontà di evitare controversie interne possono avere spinto ad ignorarli. Altrettanto importante era la questione della reputazione: parte dell’opinione pubblica londinese, infatti, esprimeva posizioni radicalmente anti-magiche e se l’istituzione avesse preso posizione sarebbe potuta diventare oggetto di forti critiche; del resto, per la medesima ragione, lo stesso Boyle preferì non pubblicare parte del materiale da lui raccolto sui fenomeni soprannaturali.

La Royal Society non fu quindi una promotrice di ricerche in questi campi, come avrebbero voluto alcuni dei suoi primi membri. Neppure ebbe quel ruolo di attivo discredito che le è stato attribuito in seguito, in un periodo storico in cui il declino del magico era già avvenuto. È comunque, possibile sostenere che la decisione di evitare la discussione su questo genere di fenomeni sia stata rilevante: ha determinato, cosa non scontata, quali fossero gli argomenti destinati a un dibattito in un consesso scientifico e quali invece non lo fossero. Le indagini sui fenomeni magici furono considerate intellettualmente meno rispettabili, cosa che non sarebbe accaduta se la Società avesse adottato una qualche forma d’interesse nei loro confronti. Come chiosa Hunter, il comportamento dell’istituzione ha quindi aiutato a «relegare questo genere d’investigazioni nel regno della pseudo-scienza, dove sono rimaste fin d’allora».

Note

2) Thomas, K. 1971. Religion and the Decline of Magic. Studies in popular beliefs in sixteenth and seventeenth century England. London: Weidenfeld & Nicolson; sull’antropologia storica si veda Viazzo, P. P. 2000. Introduzione all’antropologia storica. Roma-Bari: Laterza.
3) Hunter, M. 2011. “The Royal Society and the Decline of Magic”. Notes & Records of the Royal Society, volume 65, n. 2: pp. 103-119, doi: 10.1098/rsnr.2010.0086.
4) Il diario di lavoro di Boyle su questa figura è stato edito da Hunter per il The Robert Boyle Project qui: http://www.bbk.ac.uk/boyle/workdiaries/WD26Clean.html

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