La Neuromoda

Perché i neuroscienziati non si divertono ai party anche se il cocktail è perfetto, gli invitati sono tutti simpatici e la musica è quella giusta

Passando davanti a un MacDonald's, potremmo lasciarci tentare dalle invitanti immagini che campeggiano sui cartelloni pubblicitari, nelle quali appaiono succulenti hamburger, di tenero filetto, che grondano bontà, formaggio fresco e lattuga delicata. Provate poi a paragonare quelle immagini pubblicitarie ritoccate, con ciò che vi trovate davanti nel piattino di cartone traslucido. Ecco, questo è un esperimento scientifico rudimentale, c'è un'affermazione (falsa immagine) e una prova (quello che avete davvero acquistato). Se spendo i miei denari, acquisisco realmente quello che mi viene promesso? Ogni affermazione dovrebbe essere sostenuta dall'evidenza dei fatti. Anche, e soprattutto, nell'ambito della scienza, dei rimedi per migliorare il nostro benessere e delle terapie.

Per questa ragione, trial controllati vengono condotti per controllare l'efficacia di un farmaco, di una procedura chirurgica, di un trattamento riabilitativo. I trial controllati costituiscono l'ossatura della medicina moderna: si sottopone un gruppo di pazienti ad una determinata terapia e se ne controlla l'efficacia paragonandone gli effetti con quelli che si otterrebbero attraverso un'altra procedura o attraverso un "placebo", cioè una condizione sperimentale che riproduce tutte le caratteristiche della terapia sotto osservazione, tranne il principio attivo. Per esempio si dà a un secondo gruppo di pazienti una pillola di zucchero del tutto identica a quella terapeutica in esame: se la terapia funziona, i suoi benefici devono essere visibilmente superiori a quelli ottenuti somministrando zuccherini o acqua fresca.

Non dovrebbero esserci dubbi sulla chiarezza della metodologia e sulla sua necessità. Ciononostante, quando si tratta di esercizi che stimolerebbero il cervello, sospendiamo tutte le nostre capacità critiche e accettiamo ciecamente procedure e programmi la cui efficacia non è mai stata dimostrata.

Piace a molti discutere di come funziona la mente, di come opera il cervello. È un tema intrigante, che attrae l'attenzione di settimanali scientifici e non, che ci presentano spesso immagini colorate del cervello, facendoci vedere quale area si attiva durante un determinato compito. Così siamo stati esposti alle aree dell'amore, della violenza, del senso religioso solo per citarne alcune. Da cosa deriva questo interesse? E come mai siamo così disposti ad accettare queste affermazioni in senso acritico? Due lavori pubblicati di recente ne abbozzano una possibile spiegazione. Deena Weisberg, con i suoi colleghi della Yale University, pochi mesi fa ha pubblicato sul Journal of Cognitive Neuroscience un lavoro dall'invitante titolo "The seductive allure of neuroscience as an explanation". Gli autori sono partiti dal presupposto che anche informazioni irrilevanti possono modificare il comportamento. Per esempio, un noto esperimento condotto alla fine degli anni settanta, dimostrò elegantemente che le persone sono più propense ad accondiscendere a delle richieste se esse sono accompagnate da informazioni "placebo". Per esempio, la richiesta "Posso usare la fotocopiatrice, devo fare delle fotocopie" ha molte più probabilità di essere accolta della stessa richiesta formulata però come "Posso usare la fotocopiatrice?". La Weisberg ha quindi fatto leggere a gruppi diversi di persone delle brevi descrizioni di noti fenomeni psicologici costruite in termini facilmente comprensibili anche da non professionisti. Queste brevi descrizioni erano seguite da una spiegazione, che poteva essere giusta o sbagliata, sbagliata non tanto perché non conforme ai dati ma perché circolare o illogica e riconoscibile come tale anche da non esperti. Inoltre, le spiegazioni sbagliate erano di due tipi, con o senza l'aggiunta di un'affermazione "neuroscientifica", che faceva cioè riferimento al funzionamento del cervello, ma che era formulata completamente a sproposito o che era irrilevante (proprio come l'affermazione ridondante "devo fare delle fotocopie").

I risultati hanno dimostrato che molte delle persone che hanno partecipato all'esperimento, anche se non esperte in scienze cognitive o in neuroscienze, non avevano alcuna difficoltà a riconoscere le spiegazioni illogiche. Quando però queste stesse spiegazioni sbagliate erano accompagnate da falsi rinforzi, come i riferimenti al funzionamento del cervello, allora esse venivano accettate come soddisfacenti. Il medesimo concetto è stato ribadito da un altro lavoro da poco pubblicato sulla rivista Cognition, e intitolato "Seeing is believing". Qui, McCabe e Castel hanno dimostrato come la semplice aggiunta di un'immagine del cervello, per quanto del tutto irrilevante in quel contesto, rendesse un argomento più accettabile: le persone lo ritenevano infatti più plausibile rispetto allo stesso argomento proposto senza l'immagine del cervello.

Forse proprio per questa ragione, molte delle affermazioni che accompagnano prodotti di non provata efficacia sono sostenute da vaghe affermazioni pseudo-neuroscientifiche su tali prodotti. Prendete per esempio la miriade di programmi ed esercizi basati sulla falsa idea che l'emisfero cerebrale destro sia quello cosiddetto creativo, e che la creatività che esso possiede possa esser risvegliata tramite esercizi che ne stimolino l'attività. Senza che esista uno straccio di prova della loro efficacia, l'unico vero risultato che questi programmi o esercizi possono ottenere è quello di arricchire chi li propugna. La domanda che dovremmo sempre porre è "Qual è la prova che ciò che proponete funziona davvero?" e "qual è la fonte di questa prova?".

Giochiamo?

Quali sono, se ci sono, le prove che se giochiamo con il Brain Training di Nintendo aumentiamo il nostro potenziale intellettivo, e addirittura contrastiamo l'invecchiamento cerebrale? Poco più che osservazioni aneddotiche. Gli esperimenti dimostrano il contrario, cioè che giocare a Nintendo, o fare giochi come quelli pubblicati da Focus Brain Training, o come quelli elogiati dall'ottimismo acritico di riviste di medicina nostrane come OK Salute, serve a divertirci, a tenerci impegnati, a migliorare la nostra abilità specifica nell'affrontare quei giochi, ma non serve ad accrescere le nostre prestazioni mentali generali, a rallentare l'invecchiamento, a migliorare le nostre prestazioni scolastiche.

Nel suo studio originale, il dott. Kawashima, il creatore di Brain Training, incluse due gruppi di pazienti con malattia di Alzheimer, una grave patologia lentamente ingravescente che danneggia il cervello e si materializza con perdita di memoria e di altre funzioni mentali fino alla demenza conclamata. Entrambi questi gruppi di pazienti furono seguiti in una casa di riposo in Giappone per sei mesi. La differenza fra i due gruppi consisteva nel fatto che un gruppo continuava le normali attività quotidiane, senza alcun cambiamento, mentre il secondo gruppo, oltre a svolgere queste consuete attività quotidiane, veniva anche coinvolto in sessioni di "learning therapy", un metodo che consisteva nella lettura di storie per ragazzi e nell'esecuzione di semplici e ripetuti calcoli mentali. I risultati indicarono che il gruppo sottoposto a queste sessioni di "learning therapy" mostrava un deterioramento meno evidente dell'altro gruppo. Purtroppo è impossibile da questo studio superficiale evincere alcunché. È possibile che il vantaggio del gruppo trattato sia dovuto alla stimolazione mentale, oppure all'interazione sociale che ne era parte integrante; insomma in assenza di un vero gruppo di controllo, in cui si presentino le stesse sessioni, ma senza la specificità (se c'è) della terapia, i risultati sono poco rilevanti. Inoltre, immaginare che una qualsivoglia stimolazione mentale che possa rallentare i danni della progressione della demenza sia anche, e senza verifica, di beneficio per anziani non malati, richiede un notevole atto di fede.

È bene tenersi in esercizio, è bene anche esercitare la mente, giocare, ridere, pensare, ascoltare musica, andare al cinema, passeggiare, così com'è buona regola nutrirsi con cibo sano, leggere libri, parlare con gli amici, considerare i famigliari, e fare l'amore. Sembrano ovvietà. Ma possiamo fare tutto questo senza bisogno del Brain Training, e senza credere che questo apporti benefici particolari.

Un neuro-scienziato al party

Trovarsi a un cocktail party può rivelarsi una fatica per un neuroscienziato, che sarà bombardato con domande del tipo: "È vero che noi utilizziamo solo il 10 percento del nostro cervello?" Agitando sempre più nervosamente l'olivetta snocciolata nel suo Martini (stirred not shaker, in questo caso), il malcapitato accademico cercherà invano di recuperare almeno un po' della sua naturale sicumera, produrrà un sorrisetto stereotipato, balbettando con le orecchie paonazze che no, non è così, che non c'è alcuna evidenza che sia così, che è illogico supporre che sia così, che tutto ciò che si sa circa il funzionamento del cervello nega questa assurda possibilità. Purtroppo però dovrà soccombere accorgendosi ancora una volta dell'estrema debolezza dell'ipotesi nulla, nel convincere gli astanti.

Miti sul funzionamento della mente

Sono numerosissime le affermazioni circa il funzionamento della mente che leggiamo tutti i giorni sugli organi di stampa e che non corrispondono a ciò che oggi sappiamo su come funzionano mente e cervello. Questi miti sono condivisi anche da persone istruite e spesso vengono diffuse proprio dagli addetti ai lavori. Questi miti spaziano dalla credenza che si possa risvegliare qualcuno da un coma profondo facendogli sentire le sue canzoni preferite, o che trangugiare olio di pesce ci faccia diventare più intelligenti, o che esistano trattamenti magici che prevengano l'invecchiamento, o che si possano utilizzare non meglio definite energie cerebrali per migliorare le nostre prestazioni, o ancora che possiamo diventare più creativi stimolando l'emisfero destro dell'encefalo. Altri miti sul funzionamento della mente riguardano l'idea che il cervello funzioni come una video-camera, come un registratore, permettendoci quindi di imparare nel sonno, oppure che si possa diventare più intelligenti ascoltando la musica di Mozart. Nessuna di queste affermazioni corrisponde al vero, o meglio nessuna di queste affermazioni è stata dimostrata o suffragata da dati empirici.

Viviamo in un mondo credulone, molte persone comprano aggeggi elettronici o si affidano a facili esercizi nella speranza di ottenere risultati improbabili (o che richiederebbero sforzi notevoli). Come regola generale vale il principio che se un'offerta sembra troppo buona per essere vera, molto probabilmente non è vera!

Sergio Della Sala
Professore di Human Cognitive Neuroscience all'Università di Edinburgo
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