Il fatto non sussiste!

Cronaca

  • In Articoli
  • 24-05-2009
  • a cura di Carla Cigognini
Dopo sei anni di inchieste e processi si dimostra in tribunale l'inconsistenza delle accuse rivolte al professor Umberto Tirelli e a decine di medici. Ma sui mass-media, che pure avevano scritto molto su quell'inchiesta, l'assoluzione è passata sotto silenzio. Ecco perché, ci scrive Tirelli, «ho deciso di fare io stesso il giornalista per dare un'informazione completa». Pubblichiamo la sua testimonianza.
Il fatto non sussiste, ha decretato il Tribunale di Verona sulla falsa riga di quanto aveva decretato la Cassazione qualche tempo fa al riguardo. Quindi tutte le accuse che erano state scaricate su di me e su altri 42 medici e informatori farmaceutici per quanto riguardava eventuali fatti corruttivi sono infondate e destituite da ogni fondamento, facendo seguito agli innumerevoli analoghi pronunciamenti precedenti in tutta Italia da parte di oltre 50 procure su oltre 4 mila medici che erano stati accusati di comparaggio, corruzione e associazione a delinquere, e dopo svariati milioni di euro spesi per questa vicenda. In tutti è stato rilevato che il fatto non sussiste!
Personalmente dopo sei anni e oltre un migliaio di passaggi televisivi e giornalistici nei quali si faceva riferimento a episodi corruttivi in relazione alla mia persona, si è potuto registrare che il fatto non sussiste. Credo che come minimo si debba dire che sono stato vittima di una grave ingiustizia e che i giornali come l'Espresso che titolarono in prima pagina "Camici sporchi" o come certe testate che hanno mantenuto sulla vicenda un comportamento a dir poco aggressivo, dovrebbero chiedermi scusa e riferire invece la verità dei fatti con altrettanto risalto. Così come anche tantissimi altri giornali che mi misero in prima pagina con la fotografia e con le accuse delle quali, tra l'altro, non avevo alcuna cognizione. Infatti, la stampa anticipava tutta la storia con una ricchezza di dettagli inquietante e sospetta. Nonostante gli esiti degli accertamenti fatti nel mio Istituto, nei quali si escludeva che io avessi agito in maniera benché minimamente illecita, ma che anzi quei finanziamenti erano stati utilizzati al meglio per aiutare malati di Aids, per compensare le attività di un medico volontario e di una segretaria, per andare al Congresso Mondiale dell'Aids per riferire i propri dati scientifici, la campagna mediatica è continuata in tutti questi lunghi sei anni. Sono stato oggetto di aggressioni fisiche e verbali, ho dovuto cambiare la macchina troppo appariscente perché la gente per strada mi accusava di averla comperata con i soldi della Glaxo, eccetera. Sono orgoglioso di come mi sono comportato e ringrazio quelle poche ma valide e coraggiose persone che sin dall'inizio, nel bel mezzo di quella bufera, mi hanno aiutato a tollerare tutto questo e mi hanno dato la loro preziosissima solidarietà. In particolare non posso esimermi dal ringraziare sia il dott. Piero Della Valentina che il dott. Giovanni Del Ben, che a quel tempo erano rispettivamente commissario straordinario e direttore sanitario del mio istituto, che si sono comportati nei miei confronti in maniera esemplare, e i miei collaboratori dott. Michele Spina e dott.ssa Emanuela Vaccher che hanno pubblicamente escluso ogni mio intervento illecito, oltre che ovviamente gli avvocati Alberto Cassini e Tiburzio De Zuani che mi hanno assistito al meglio, sia dal punto di vista professionale che umano.
La decisione del Tribunale di Verona che il fatto non sussiste mi toglie da un incubo che durava da sei anni e dà finalmente un po' di serenità a chi si è sempre impegnato per aiutare le associazioni di volontariato, ne ha anche create di nuove, per chi si è sempre battuto contro la discriminazione e l'ignoranza scientifica molto diffusa nel nostro Paese, oltre al buonismo italico da quattro soldi, senza paura né indecisioni. La mia vita è stata stravolta per molto tempo, ho cercato di non coinvolgere in questa vicenda i miei familiari (anche se a mia madre di oltre 80 anni è venuto quasi un infarto quando ha visto la mia fotografia in prima pagina sulla Gazzetta di Reggio), ma mi sono sempre battuto senza paura contro questa aggressione. Spero che a nessuno possa succedere quello che è successo a me e mi auguro che le leggi future tengano conto di queste esperienze. Spero inoltre che coloro che amministrano la giustizia tengano nella dovuta considerazione quali traumi possa determinare la diffusione di notizie volte a ingigantire il contenuto di atti che per norma dovrebbero essere coperti dal segreto di indagine. Auspico che si intervenga su quei magistrati che passano le informazioni ai giornali senza dare prima la possibilità a coloro che sono accusati di poter spiegare i loro comportamenti. Infine, immaginate che cosa mi sarebbe successo se io avessi fatto diagnosi di cancro e avessi prescritto la conseguente chemioterapia a 4 mila pazienti, dandone peraltro ampia pubblicità, e poi nei 50 e oltre ospedali periferici dove fossero stati inviati, non solo i miei colleghi primari non avessero fatto la chemioterapia indicata ma avessero anche escluso la presenza del cancro? E che dei 50 pazienti più importanti che avevo tenuto nel mio centro i miei collaboratori più stretti mi avessero detto che non solo non andava fatta la chemioterapia ma che anche quelli non avevano nessuna traccia di tumore? Avrei il coraggio di uscire di casa, di farmi vedere in ospedale o a un congresso medico? Invece, nell'ambito della magistratura chi ha fatto tutto ciò è stato promosso e se ne sta tranquillamente nel suo nuovo posto di lavoro.


Prof. Umberto Tirelli
Direttore dipartimento di Oncologia Medica, primario divisione di Oncologia
Medica, Istituto Nazionale Tumori (Aviano)

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