E se ci stessimo sbagliando?

I due tipi di errore in cui possono cadere scettici e sostenitori del paranormale

  • In Articoli
  • 04-02-2009
  • di Mariano Tomatis
Dopo aver letto il mio articolo "C'è un segreto in quella lapide?" (S&P 81), nel quale riflettevo sul bizzarro uso dell'aggettivo "immemori" in un epitaffio funebre, Fara Di Maio mi scrive: «L'interpretazione della parola "immemori" mi ha ricordato una lapide letta in uno dei cimiteri di Napoli, la mia città: una tomba particolarmente curata, anche se evidentemente appartenente a persone di estrazione popolare, magari con un po' di soldi. Sulla lapide compariva la foto di un simpatico signore sorridente e la fotocopia plastificata di una delle sue canzoni/poesie. L'iscrizione lo descriveva fra l'altro come appassionato di musica napoletana e dichiarava che il signore era stato molto generoso. La frase esatta (che non ho più dimenticato!) era: "Sempre pronto al sacrificio altrui". Ora, nelle ottime intenzioni della famiglia, di certo si voleva significare che il congiunto era sempre pronto a sacrificarsi per gli altri. Peccato che la scarsa dimestichezza con la lingua italiana abbia tirato fuori un'espressione che, oltre a far sorridere, significa tutt'altro! Mi domando quindi se anche nella lapide da te descritta possa esserci un errore di questo genere: semplicemente, la famiglia non aveva idea di cosa significasse "immemori", forse pensavano che significasse che non avrebbero mai perso la memoria del defunto».
L'appunto di Fara è interessante: quando ci troviamo a interpretare un messaggio, dobbiamo sempre prendere in considerazione l'ipotesi che contenga un errore. Ciò è tanto più importante in quegli ambiti legati ai cosiddetti "mysteri", in cui ogni presunta anomalia è considerata un indizio a sostegno di interpretazioni "bizzarre". Un esempio tipico è quello della lapide che si trova a Rennes-le-Château, installata nel 1891 ai piedi di una statua della Madonna. L'incisore voleva scrivere in francese la nota invocazione "O Maria, concepita senza peccato…" (O MARIE CONÇUE SANS PECHE…), ma il risultato del suo lavoro non è del tutto soddisfacente: manca uno spazio tra le prime due parole, e la A di MARIE è sovrapposta a una strana M che ha fatto sorgere una miriade di "interpretazioni sospettose".

Il sito ordinedeltempio.it presenta una tipica lettura di questo tipo: «La scritta su questa lapide sembra chiara e senza arcani (...) ma abbiamo constatato che anche in questa semplice preghiera vi è inserito un linguaggio criptico. Il primo messaggio, ossia le due lettere M e A incastonate l'una nell'altra, stanno a significare le due lettere Alfa e Omega l'una nell'altra». Il sito lecoindelenigme.com vi riconosce, invece, il monogramma mariano Ave Maria, presente tra l'altro nella chiesa di Saint Sulpice, che nel Codice Da Vinci è legata a doppio filo con le vicende di Rennes-le-Château. È bizzarra la sicumera con cui tali ipotesi sono presentate, senza prendere in considerazione la possibilità che la lapide sia semplicemente sbagliata. Lo scalpellino potrebbe aver dimenticato di scrivere la lettera A, e in un primo tempo aver inciso le parole O MRIE CONÇUE SANS PECHE. Accortosi dell'errore, non gli restava che utilizzare lo spazio residuo tra le prime due parole, sovrapponendo alla residua M la lettera A e inserendovi una nuova M.
Naturalmente non si tratta dell'unica lapide al mondo a presentare errori di scrittura: è curioso, però, che la sua vicinanza geografica a un luogo particolarmente "significativo" nell'ambito dei mysteri trasformi un semplice errore in una "sospetta anomalia" o in un messaggio "evidentemente cifrato".

Erano antichi, diamine!


Gli errori acquistano un ruolo importante in un'altra area del mystero: quella che ipotizza il possesso, da parte dei popoli dell'antichità, di avanzate conoscenze astronomiche e geografiche. Eredi delle teorie di Erik Von Däniken, Peter Kolosimo e Immanuel Velikovsky, molti autori sostengono ancora oggi che alcune antiche popolazioni possedessero cognizioni matematiche e trigonometriche molto sofisticate, al punto di saper fissare nelle loro opere architettoniche proporzioni mirabilmente allineate a costanti astronomiche universali: l'altezza di un tempio esprimerebbe la distanza media tra la terra e il sole, la posizione delle tre piramidi di Giza sarebbe proporzionata a quella delle stelle della cintura di Orione, o ancora i megaliti inglesi costituirebbero un preciso reticolo, lungo linee di forza chiamate Ley Lines.

Se paradossalmente gli errori commessi da Uri Geller durante le sue esibizioni erano considerati un'ulteriore prova della genuinità dei suoi poteri ("se fosse un prestigiatore, i trucchi funzionerebbero sempre!"), anche nel caso delle misurazioni esoterico-astronomiche ci si imbatte in un bizzarro cortocircuito: quando una misura è particolarmente precisa, ciò conferma la straordinaria abilità degli antichi; quando invece la misura è distante da quella attesa… suvvia, erano antichi! Non possiamo mica pretendere che, senza le moderne strumentazioni, spaccassero il capello! Come si dice… "due pesi e due misure", a seconda della precisione rilevata.

Scambiare il rumore per un messaggio (e viceversa)


In entrambi gli ambiti ci troviamo in presenza di una situazione che potrebbe essere figlia del caso, ma che viene interpretata come portatrice di un messaggio: se è vero che chi scolpì la lapide commise semplicemente un errore, se l'altezza del tempio fu scelta in maniera del tutto arbitraria, allora siamo davanti a del "rumore" cui viene erroneamente attribuito un "significato".
Chi è tendenzialmente scettico, però, è più esposto all'errore simmetrico: quello di attribuire al caso un segnale troppo debole, contenente invece un qualche significato. Nell'ambito della statistica si parla di errori di primo e secondo tipo. Applicati alle situazioni descritte, l'errore di primo tipo si commette quando si attribuisce un significato al rumore casuale,[1] mentre quello di secondo tipo si commette quando si classifica come casuale un messaggio dotato di significato[2].
Se, dunque, i cultori del mystero tendono a commettere maggiormente errori del primo tipo, gli ultrascettici sono più esposti al rischio degli errori del secondo tipo: se per caso gli antichi egizi si fossero davvero ispirati alle tre stelle della cintura di Orione per collocare le tre piramidi sulla piana di Giza, l'analisi critica proposta da Ian Lawton sarebbe del tutto sbagliata.[3]
I due errori si possono collocare nel più ampio ambito dell'interpretazione dei fenomeni naturali: di fronte a un fenomeno "normale", commettere un errore del primo tipo significa classificarlo come "paranormale" (come accadde durante i presunti giochi di prestigio di Gustavo Rol); di fronte a un ipotetico crop circle realizzato davvero da energie sottili (un cerchio "genuino"), commettere un errore di secondo tipo significa invece classificarlo come un'opera realizzata da esseri umani.

I due tipi di errore possibili


In un articolo pubblicato sul primo numero dello Zetetic Scholar [4]Laurent Beauregard aveva suggerito che la distinzione tra scettici hardcore e cultori acritici del paranormale poteva essere descritta in modo preciso lungo un ampio spettro, definito dalla diversa rigidità dei propri sistemi di pensiero espressa in termini probabilistici; tale probabilità era strettamente legata ai due errori su citati: ciò che veniva in evidenza era il fatto che gli scettici più rigorosi avevano una minima probabilità di cadere negli errori di primo tipo, a prezzo di una più alta probabilità di commetterne di secondo tipo. Per contro, i believer avevano una bassissima probabilità di cadere negli errori di secondo tipo, a fronte di un più alto rischio di cadere in quelli di primo tipo. In altre parole, mentre questi ultimi tenderebbero a scambiare per paranormali molti fenomeni normali, gli scettici si farebbero sfuggire alcuni fenomeni paranormali scambiandoli per normali (servendosi della terminologia utilizzata in epidemiologia, si potrebbe dire che chi tende a vedere il paranormale anche dove non c'è presenta una bassa specificità, mentre chi tende a negare il paranormale anche dove ci fosse presenta una bassa sensibilità). Nel primo caso saremmo di fronte a falsi positivi, mentre nel secondo a falsi negativi.

Nel suo interessante articolo Beauregard chiamava "bias di Hume" la tendenza dello scettico a escludere a priori le interpretazioni paranormali dei fenomeni indagati, e concludeva suggerendo che una certa dose di questo pregiudizio non fosse del tutto negativa: «Una vera obiettività scientifica nell'ambito delle investigazioni del paranormale e dei casi UFO potrebbe addirittura trarre beneficio da un bias che vada in senso contrario ai fenomeni studiati».
Un aspetto che confermerebbe queste conclusioni si basa sulla distribuzione sbilanciata dei fenomeni nelle due categorie "normale" e "paranormale". Un modo per evidenziare questa differenza è quello di pensare alla mammografia, uno dei più diffusi test per evidenziare precocemente i tumori al seno. Il test ha una sensibilità che arriva al 90 per cento e una specificità che arriva al 95 per cento;[5] ciò significa che un 10 per cento di tumori non si vedono nel corso del test e che nel 5 per cento delle mammelle sane viene visto erroneamente qualcosa che non va (vedi tabella 2).
In una distribuzione come quella presentata, gli errori di primo tipo – i falsi positivi – sono 49 mentre quelli di secondo tipo – i falsi negativi – sono solo 2. Questo sbilanciamento è dovuto alla bassa frequenza di tumori rispetto alla popolazione: nel caso su riportato, gli individui malati sono 20, complessivamente solo l'1 per cento di tutto il campione considerato. Se ci limitiamo ad analizzare i numeri assoluti, quando ci troviamo in un ambiente in cui le condizioni da testare (la malattia o la paranormalità) sono rare, gli errori di primo tipo sono molto più frequenti rispetto a quelli di secondo tipo.
Sembrerebbe dunque che, in un mondo in cui sono state rilevate regolarità nella maggior parte dei fenomeni ed elaborate interpretazioni "naturali" per la stragrande maggioranza di ciò che quotidianamente accade, la distribuzione dei fenomeni sia nettamente sbilanciata verso quelli "normali", e il paranormale si presenti eventualmente molto di rado; e che dunque i believer corrano un rischio maggiore rispetto agli scettici di commettere errori di interpretazione – essendo gli errori di primo tipo più frequenti in assoluto rispetto a quelli di secondo tipo.
Naturalmente questo vale soltanto se ci limitiamo a confrontare la frequenza di tali errori: se agli uni e agli altri corrispondessero costi diversi, la nostra analisi dovrebbe prenderlo in considerazione. Tali prezzi possono essere oggetto di discussione: è più grave scambiare un fenomeno paranormale per un fenomeno normale o viceversa? e chi potrebbe rispondere a una domanda del genere? un epistemologo? il cliente di un astrologo? Ritengo che uno scettico debba concentrarsi soprattutto sul costo di scambiare un eventuale fenomeno paranormale per uno normale. Laurent Beauregard ammette la necessità di prove straordinarie di fronte ad affermazioni straordinarie, ma fa notare che una richiesta eccessiva potrebbe rendere non rilevabili segnali sotto una certa soglia; potrebbero esistere ad esempio fenomeni psicocinetici talmente "deboli" da essere quasi indistinguibili da movimenti casuali. Quanto dovremmo preoccuparci di non rilevare questi fenomeni? Possiamo essere certi, per contro, che nessun macrofenomeno paranormale ci sfuggirà, quando dovesse accadere? Nell'ambito del CICAP, intorno a queste riflessioni potrebbe essere interessante sollevare qualche dibattito interno.

Mariano Tomatis
Scrittore e ricercatore

Note


1) L'errore di primo tipo è quello che consiste nel rifiutare l'ipotesi nulla quando essa è vera.
2) L'errore di secondo tipo consiste nel non rifiutare l'ipotesi nulla quando essa è falsa.
3) Lawton I., "The fundamental flaws in the Orion-Giza Correlation Theory", 2000. In realtà l'articolo di Lawton è circostanziato e presenta un'analisi molto accurata delle teorie di Robert Bauval.
4) Beauregard L., "Skepticism, Science, and the Paranormal" in Zetetic Scholar (1978) vol.1, n.1, pp. 3-10.
5) Ferrini R., Mannino E., Ramsdell E., Hill L., "Screening mammography for breast cancer" in The American Journal of Preventive Medicine n. 12 (1996), pp. 340-341.
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