La fine di un mondo durato millenni

La globalizzazione tecnologica cancella le diversità culturali, come resistere alla massificazione?

«La progressiva fusione di popolazioni» ha detto l'antropologo francese Claude Lévi-Strauss in una conferenza tenuta all'UNESCO «anticamente separate dalla distanza geografica e da barriere linguistiche e culturali, ha segnato la fine di un mondo che è stato quello degli uomini per centinaia di millenni, quando vivevano in piccoli gruppi separati gli uni dagli altri e si evolvevano ognuno in un modo differente, sul piano biologico e su quello culturale. Ebbene» soggiunge Lévi Strauss con evidente intento polemico e provocatorio «non possiamo nasconderci che, nonostante la sua urgente necessità pratica e gli alti fini morali che si attribuisce, la lotta contro le forme di discriminazione partecipa di questo stesso movimento che trascina l'umanità verso una civiltà mondiale, distruttrice di quei vecchi particolarismi ai quali va l'onore di aver creato i valori estetici e spirituali che danno pregio alla vita, e che noi raccogliamo preziosamente nelle biblioteche e nei musei, perché ci sentiamo sempre meno sicuri di essere capaci di produrne altri altrettanto evidenti. Senza dubbio ci culliamo nel sogno che l'uguaglianza e la fraternità regneranno un giorno fra gli uomini senza che la loro diversità venga compromessa. Ma se l'umanità non si rassegna a diventare la sterile consumatrice di valori che ha saputo creare nel passato, capace soltanto di dar vita a opere bastarde, a invenzioni rozze e puerili, dovrà imparare di nuovo che ogni vera creazione implica una certa sordità al richiamo di altri valori, arrivando fino al loro rifiuto se non addirittura alla loro negazione. Infatti non ci si può sciogliere nel godimento dell'altro, identificandosi con lui, e nello stesso tempo mantenersi diverso. Se pienamente riuscita, la comunicazione integrale con l'altro condanna, a scadenze più o meno brevi, l'originalità della sua e della mia creazione».

Nell'attuale evoluzione culturale è insita una contraddizione che appare difficile da superare: com'è possibile abbattere antiche barriere e impedire, al tempo stesso, che i vasi comunichino tra loro?
Lo aveva tentato a suo tempo il dottor Albert Schweitzer, sollevando molte polemiche. Mi diceva un console americano nel Gabon che Schweitzer rifiutò i macchinari che gli venivano offerti per edificare il suo nuovo ospedale affermando che la costruzione doveva avvenire in modo tradizionale, cioè a forza di braccia. Lo stesso ospedale doveva riflettere la tradizione africana, con il cortile in cui i parenti preparavano il cibo per i malati, le capre che si muovevano in libertà, ecc. Il dottor Schweitzer temeva, giustamente, gli effetti di una rivoluzione tecnologica in una società impreparata a riceverla: essa avrebbe finito per provocare un grave trauma nella cultura tradizionale. Ma, d'altra parte, è possibile impedire la costruzione di un ospedale moderno con la mensa, gli ascensori, le apparecchiature elettroniche? L'esempio dell'ospedale vale naturalmente per ogni altra cosa, dalla lavatrice alla cucina a gas, dall'automobile alla radio: un ingranaggio che finisce inevitabilmente per creare ovunque stili di vita simili, stritolando le antiche identità culturali.

La macchina del tempo


Questo processo va accelerando sempre più, e probabilmente nei prossimi anni vedremo scomparire le ultime testimonianze del mondo così come è stato per centinaia di secoli: oggi, noi siamo gli ultimi spettatori di una situazione irripetibile, che permette (ma forse ancora per poco) di viaggiare nel tempo. È tuttora possibile, infatti, trovarsi in un altro secolo nel giro di qualche ora: con un aereo si può, per esempio, atterrare nell'età della pietra, visitando alcune tribù primitive che ignorano l'invenzione della ruota, oppure viaggiare in pieno Medioevo e recarsi (come mi è capitato) in uno sperduto sultanato del Sud Arabia dove il Sultano vive in un palazzo nel mezzo di un deserto roccioso, con le mogli rinchiuse nell'harem, i prigionieri incatenati nel sotterraneo e i sudditi che si inginocchiano ai suoi piedi. Oppure, muovendosi ancora a bordi di questa incredibile "macchina del tempo", ci si può fermare in un secolo a scelta e assistere alla vita di un villaggio agricolo feudale o alle prime lotte operaie dell'Ottocento. Queste situazioni locali stanno trasformandosi di anno in anno a velocità esponenziale. È ormai inevitabile che tutte queste società convergano rapidamente verso il nostro secolo, il che comporta traumi irreversibili per la loro cultura e per le loro tradizioni. D'altronde, sarebbe possibile pietrificare queste società, impedendo la diffusione della tecnologia, come tentava di fare il dottor Schweitzer? Ciò significherebbe rinchiuderle in "riserve" e osservarle con il cannocchiale, così come fanno le guardie forestali con gli stambecchi.

Una civiltà mondiale massificata?


È ormai chiaro che le culture locali finiranno per soccombere alla demolizione sistematica delle barriere oggi in corso. Si va insomma verso una civiltà mondiale dove il rischio di massificazione è altissimo. Passando nel tritacarne della tecnologia, le antiche culture verranno macinate lasciando ben poco dietro di sé: un berretto o un costume tipico, o alcune tradizioni che, col passare del tempo, assomiglieranno sempre più a baffi posticci applicati su un viso completamente cambiato. Al di là di una certa soglia non è più possibile salvaguardare una cultura, ma soltanto il folklore (che sarà bene comunque cercare di custodire sempre più gelosamente per evitare l'integrazione totale). Ma come rispondere allora all'esigenza di diversità che è essenziale per mantenere e sviluppare la ricchezza naturale umana?
La risposta probabilmente va cercata in un differente tipo di ecosistema culturale. In passato prevaleva una struttura a "isole" (ognuno viveva separatamente e la diversità culturale era rappresentata dall'esistenza dell'arcipelago, dove a volte avvenivano fecondi incontri); oggi che le isole si sono saldate insieme è necessario sviluppare una struttura a rete: è necessario che ogni uomo sia in grado di costruire la propria diversità utilizzando il maggior flusso di informazioni e materiali provenienti da ogni parte del mondo. Se la lotta contro la massificazione non può avvenire a livello della società, deve avvenire a livello degli individui: occorre che a ciascuno venga offerto il ventaglio più ampio di possibilità per costruirsi una personalità originale, in grado di compensare la "spersonalizzazione" della società. Questo consentirebbe il rifiorire di nuove ‘tribù' culturali in sostituzione di quelle annegate nell'immenso "budino" del progresso; tribù di persone che, per affinità di interessi e idee, formino piccole comunità culturali originali, con strutture non più a "isola" ma a "rete".
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