Torino città egizia?

Fin dalle leggendarie origini, Torino ha sempre avuto un legame privilegiato con l’Egitto e i suoi misteri

5 - Museo Egizio, via Accademia delle Scienze
6 - Basilica della Gran Madre, piazza della Gran Madre



Un elemento importante del mito di Torino magica è, fin dagli inizi, quello delle origini egizie della città.
Secondo questa leggenda, dove ora sorge Torino giunse intorno al 1500 a.C. un principe egizio di nome Eridano, che fondò un centro abitato, introdusse il culto del dio toro Api e morì poi annegato nel fiume Po mentre partecipava a una corsa di quadrighe. L’origine “artificiale” della leggenda, costruita attraverso gli scritti di Filiberto Pingone ed Emanuele Thesauro, è raccontata da Giuseppe Ardito.
La storia della città è però davvero curiosamente legata all’antico Egitto, come viene fatto notare da Alessandro Bongioanni e Riccardo Grazzi nel loro Torino, l’Egitto e l’Oriente fra Storia e Leggenda (L’Angolo Manzoni, 1984), e in particolare con l’adorazione di Iside.
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Riproduzione del falso "Busto di Iside" preparata per J. Needham nel 1760 e annessa al suo De inscriptione quadam Aegyptiaca Taurini inventa.
Nel 1567, dieci anni prima dell’opera di Pingone, venne ritrovata a Torino un’iscrizione in marmo con una dedica alla dea Iside. Questo ha fatto sorgere l’ipotesi che in passato esistesse un antico tempio iseo in città, localizzato forse dove ora sorge la chiesa della Gran Madre, presso il punto del fiume in cui sarebbe annegato Fetonte. Del resto spesso si dimentica che culti di stampo egizio si diffusero ampiamente in Italia in epoca romana, portati dai veterani di ritorno dalle campagne in Oriente, dai contatti con i mercanti e favoriti dal sincretismo religioso romano. A testimoniarlo in terra subalpina rimane l’area archeologica di Industria, l’odierna Monteu da Po, che mostra i resti di un santuario dedicato alla dea Iside eretto nel I-II sec. d.C. A quell’epoca Torino aveva già oltre un secolo di vita, essendo nata come accampamento militare per volere di Giulio Cesare nel 58 a.C., durante la campagna di Gallia. La definitiva fondazione della città avvenne poi per opera di Ottaviano Augusto, che intorno al 28 a.C., stabilì in loco la colonia di Julia Augusta Taurinorum, il cui impianto a scacchiera è quello ancora oggi apprezzabile nel centro di Torino.
È anche singolare come la collezione del Museo Egizio inizi proprio da un reperto collegato al culto di Iside, la cosiddetta Mensa Isiaca. Un altro oggetto tuttora conservato al Museo Egizio e in qualche modo legato al culto di Iside, fu al centro di una gustosa querelle tra eruditi a metà del XVIII secolo, come racconta l’egittologo Silvio Curto sul Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti. Nel 1761 il naturalista inglese J. T Needham “scoprì” nell’allora Museo d’Antichità dell’Università un “busto di Iside” in marmo nero, con il volto ed il petto decorati da strani segni, che fece riprodurre e rese oggetto di una nota alle Accademie di Londra e Parigi. L’affascinante teoria di Needham era che il busto fosse stato acquisito assieme alla Mensa Isiaca, che fosse di origine egizia e che i misteriosi “geroglifici” fossero in realtà una variante arcaica della scrittura cinese. Traducendo attraverso il cinese moderno e l’egiziano, Needham ritenne di poter riconoscere nella dea Iside il personaggio raffigurato. L’associazione tra l’antico Egitto e la Cina non era allora così “alla Peter Kolosimo” come oggi potrebbe sembrare: l’illustre sinologo Joseph de Guignes aveva pubblicato nel 1759 un memoriale nel quale, a partire da affinità linguistiche, ipotizzava che la civiltà Cinese avesse avuto origine da una colonia egiziana. Ma con uno scritto sul Journal des Savants del dicembre 1761 lo stesso de Guignes negò l’identificazione dei segni sulla statua con caratteri cinesi. Dopo di lui si espresse negli stessi termini l’antiquario lord Montagu, inviato dalla Royal Society a dare un’occhiata alla statua, che identificò il marmo come proveniente da Chiavenna e non dall’Egitto. Needham rispose ottenendo il pronunciamento di una commissione di esperti riunita a Roma nel marzo del 1762. A questo punto fu il Regio Antiquario Giuseppe Bartoli a intervenire. Egli, un po’ piccato per l’invasione del naturalista inglese nel “suo” museo, smontò sia la tesi dell’origine e dellla fattura egizie della statua, sia l’attribuzione cinese dei caratteri: la statua è del XVII secolo. La querelle proseguì tra Londra, Torino, Parigi e Roma fino alle soglie del nuovo secolo, ma alla fine la falsità della statua fu confermata anche da Champollion, che la vide a Torino nel 1824.
Il museo egizio
«La strada per Menfi e Tebe passa da Torino». Questa frase di Jean-François Champollion, il decifratore dei geroglifici egizi, testimonia l’entusiasmo per uno dei più importanti musei egizi del mondo. Il primo oggetto della collezione, la Mensa Isiaca, una tavola in bronzo intarsiato di epoca romana ma con decorazioni egittizzanti, venne acquistato da Carlo Emanuele I di Savoia nel 1630, insieme ad altri 270 oggetti egizi o egittizzanti. Nel 1759-1762 vi si aggiunsero decine di nuovi reperti, raccolti da Vitaliano Donati durante un viaggio commerciale in Egitto su incarico di Carlo Emanuele III. Per vedere crescere la collezione occorrerà aspettare Bernardino Drovetti, ufficiale napoleonico di origini piemontesi e poi Console di Francia in Egitto, che nel corso di una ventina d’anni raccolse oltre 5.200 oggetti antichi (tra cui 100 statue, 170 papiri, e svariate mummie), acquistati nel 1823 da Carlo Felice di Savoia. Nel 1824 venne fondato il Regio Museo delle Antichità Egizie, subito visitato e apprezzato da Champollion stesso. Il Museo fu in seguito ampliato con nuovi reperti, come quelli provenienti dagli scavi di Ernesto Schiaparelli. Al Museo delle Antichità Egizie sono oggi esposti circa 6.500 reperti e più di 26.000 sono conservati nei magazzini per finalità conservative o come oggetti di studio. Dal 1832 il Museo è nello storico palazzo dell’Accademia delle Scienze, progettato nel XVII secolo da Guarino Guarini e sede dell’omonima Accademia.

Ma cosa rappresenta in realtà questa statua seicentesca? Secondo Curto potrebbe essere «un modello – e l’unico esistente a tutto tondo, essendo i molti che si possiedono, grafici – di una certa “dottrina dei grani di beltà” che fu sviluppata da Cardano nel ’500 […], diffusissima a tutto il ’700. Consisteva, tale dottrina, nell’identificare certi segni sul volto umano con simboli zodiacali, e nel trarne induzioni circa il carattere e il futuro della persona».
D’altronde, fa sempre notare Curto, i segni cabalistici sono «soltanto simili a quelli astronomici correnti; appartenenti ad una serie finora […] sconosciuta». Un oggetto dall’aria misteriosa, quindi, con un’aria egittizzante dovuta anche alla forma che ricorda quella dei vasi canopi, che certamente incontrò il gusto ed il favore di quella Torino che cominciava ad interessarsi all’Egitto e ai suoi misteri, per non dimenticarlo più.

Bibliografia


Per la letteratura sull’origine egizia di Torino: Bongioanni A. e Grazzi R. (1994), Torino, l’Egitto e l’Oriente fra Storia e Leggenda, Torino: L’Angolo Manzoni Editrice. Per la storia del Museo Egizio: www.museoegizio.it Per l’area archeologica di Industria: www.archeologia.beniculturali.it/pages/atlante/S120.html
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