La teoria dei mustelidi giganti

L'ipotesi di uno studioso di criptozoologia per spiegare la possibile esistenza di animali ancora non classificati

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  • 16-11-2006
  • di Pasquale Saggese
La fauna del nostro pianeta, ben lungi dall'essere nota alla scienza nella sua interezza, implica una vastissima biodiversità, riflesso dei molteplici scenari ecologici plasmati dall'evoluzione. Risulta evidente in quest'ottica che gli stessi criptidi, anch'essi ingranaggi (seppur diradati) di tanti eterogenei ecosistemi, rispecchino ed interpretino la medesima biodiversità faunistica.

La lista delle specie "di cui Dio non va fiero, celandole ai più" (a detta di un amico biologo, in vero troppo critico nei confronti della criptozoologia) è lunga e articolata. Altrettanto articolata è la lista di attribuzioni che gli zoologi, più o meno accademicamente, adducono per interpretare le fonti indiziarie raccolte.

Dal loro lavoro emerge che, in qualche caso, la differenza morfologica ed etologica tra certi criptidi, pur marcata, può essere figlia di una medesima spiegazione, di uno stesso atto naturale.
Il terribile orsetto africano Stando a quanto afferma la zoologia tradizionale, nessun orso selvatico abita il continente africano... Eppure esistono almeno dieci nomi diversi con cui i Kenioti chiamano un animale descritto come un orso.

Il criptozoologo Lorenzo Rossi, nel suo sito criptozoo.com, riporta alcuni tratti del criptide: «Stando alle descrizioni più realistiche dei nativi, si tratterebbe di un animale dotato di una ferocia senza pari, che si sposta su quattro zampe, ma che è in grado di muoversi anche solo su quelle posteriori, d'abitudini notturne e molto raro da osservare; attaccherebbe solitamente le persone isolate, che la maggior parte delle volte non tornano indietro per raccontarlo. Si dice che di notte entri nei villaggi per portare via una pecora [...]».

Gli avvistamenti degli indigeni si ripetono dalla notte dei tempi. Il succedersi delle generazioni ha evoluto in senso magico la figura del chemosit: la metabolizzazione culturale delle esperienze è prerogativa umana, e non deve stupire, né scoraggiare i criptozoologi: anche specie note come leoni o iene sono descritti qualche volta in maniera "timoratamente pittoresca"... Eppure esistono eccome.

Scremando le narrazioni dall'alone fantastico, rimane la descrizione di un mammifero simile a un orso di taglia medio-piccola, e molto feroce. A confermare il profilo del criptide, la letteratura riporta dettagliati avvistamenti da parte di occidentali: nel 1932 il capitano F. D. Hislop e alcuni suoi compagni osservarono una creatura "[...] di colore grigio scuro, lunga circa 90 cm, con una piccola testa arrotondata. Si muoveva sulle quattro zampe, ma spingendo con maggiore forza su quelle posteriori. [...] Non potrei dire cosa fosse se non un orso. Non era una iena o un babbuino, di questo ero certo, non avevo mai visto un animale del genere".

Nel libro Africa Calling, Roger Courtney descrisse delle curiose impronte mostrategli ed indicategli come appartenenti al chemosit: «[...] Gli artigli erano non retrattili, dato che potei vedere bene i piccoli segni lasciati da quest'ultimi nel terreno. Il fatto che le orme fossero rivolte all'interno mi fecero pensare ad un orso [...]».

Nel 1913, l'ingegnere G. W. Hickes, che lavorava alla costruzione di una strada ferrata in Kenya, riferì del suo incontro con uno strano animale mai visto prima. Possedeva una grossa testa e la sua altezza al garrese era di circa 130 cm mentre la schiena era spiovente, il pelame appariva fulvo, il collo era breve ed il naso camuso.
I Plesiosauri dei laghi della Patagonia Terra nel profondo Sud del continente americano, la Patagonia colpisce l'immaginario collettivo per i suoi aspetti da zona aspra, estrema. Motivo in più per essere affascinati da questa striscia di terra tra l'Atlantico ed il Pacifico sono i suoi laghi, che sarebbero abitati da una fauna ancora non del tutto acquisita dai tassonomi.

Siamo nel 1897, quando un allevatore cileno (la Patagonia è politicamente divisa tra Cile ed Argentina), avvistò un grosso animale dal lungo collo nel lago Bianco. Questa è la prima di molte strane testimonianze.

Qualche anno dopo, siamo nel 1907, toccò a un ingegnere norvegese la ventura di imbattersi nelle tracce di un enorme animale, sul Rio Tamanga.

Nel 1913, territorio di Santa Cruz, un viaggiatore inglese credette di scorgere un animale simile.

Nel 1922, dopo essere stato informato dell'ennesimo avvistamento, allora capitato in un lago nel territorio di Chebut, il curatore dello zoo di Buenos Aires, Clemente Onelli, decise di affrontare la questione. La liquidò attribuendo ai criptidi un'origine mesozoica: secondo lui le acque interne della Patagonia sarebbero popolate da Plesiosauri. Gli avvistamenti dei "mostri" continuarono fino ai giorni nostri.

La descrizione più tipica del criptide in vero ricorda poco un Plesiosauro: si tratta di un animale snello, dal collo lungo, talvolta munito di cresta, con muso triangolare e colorazione scura e lucida.

Non si deve percorrere molta strada per imbattersi in un altro criptide. Si tratta dello iemish, o "tigre d'acqua". Esso terrorizzerebbe gli avventori dei laghi Colhue, Fontana e Buenos Aires. È descritto come un grosso animale, dal muso tozzo e natura anfibia. Sarebbe un predatore molto aggressivo: dotato di grossi denti e zampe (corte) armate di robusti artigli, avrebbe la forza di trascinare in acqua prede grandi quanto un cavallo; misurerebbe quattro metri.
Le popolazioni fantasma I casi narrati riportano descrizioni particolareggiate, le quali identificano varie tipologie di criptidi, ad una prima analisi molto differenti tra loro.

Esulando però dalle considerazioni morfologiche e focalizzando l'attenzione sulla frequenza degli avvistamenti, emerge una similitudine. Vero fil rouge della criptozoologia, tale convergenza è banalmente la mancanza di dati. Gli avvistamenti sono sporadici, fotografie e filmati di solito riprendono ombre confuse, di difficile attribuzione; in fine, a parte qualche eccezione, non si trovano tracce, come peli, escrementi od orme. Ancor meno (quando possibile) ossa o carcasse...

Solo di rado un fenomeno naturale ha spiegazione unitaria: siamo parte di un sistema complesso, e il lack di cui sopra non fa eccezione. Nel caso dei criptidi marini, la difficile avvistabilità è motivata dalla vastità dell'habitat, sia in senso orizzontale sia in quello verticale: gli abissi sono ambienti estremi, ancora molto difficili da esplorare.

La stessa ragione argomenta la cronica "latitanza" di specie come mapinguari, yeti o almasty, le quali vivono in zone molto vaste, veri mari di rami, neve o fango, e altrettanto ostili. Per questi animali è possibile giustificare l'elusività di intere popolazioni.

Non è il caso dei due criptidi in esame.

Il territorio in cui vivrebbe il chemosit è molto ampio: condizione necessaria (e soddisfatta) per teorizzare l'esistenza di una specie nascosta, perpetratasi nei secoli e tuttora perpetranda.

Condizione necessaria sì, ma non sufficiente: l'Uasin Gishu Plateau e l'area attorno al fiume Tana, teatro degli avvistamenti, sono zone frequentemente battute dalle tribù locali, le quali conoscono la fauna che le popola nella sua interezza. Più verosimilmente, anche in questo caso gli avvistamenti sarebbero da attribuire a singoli individui, succedutisi nel tempo.

Il caso dei "Plesiosauri" patagonici (mi si consentano le virgolette) è più complesso, e implica l'estensione del discorso a tutti i criptidi lacustri.

Ritengo poco probabile che una popolazione di mammiferi o di rettili di grandi dimensioni possa proliferare nascosta entro un bacino chiuso, per quanto grande. Allora, come spiegare gli avvistamenti, spesso attendibili?

Quando il bacino comunichi con il mare aperto attraverso una via d'acqua sufficientemente ampia, è lecito pensare a qualche risalita solitaria: le cronache, e non solo quelle criptozoologiche, riportano di carcasse di cetacei e sirenidi rinvenute su rive di laghi, di elefanti marini solitari viventi in acque dolci e (perché no?), di cadborosauri avvistati a più riprese nel lago Okanangan.

Ma come dicevo, non sono possibilista riguardo a popolazioni "chiuse" e stabili di criptidi, endemiche d'acque interne: gli avvistamenti vanno spiegati con la presenza d'individui solitari, sia che il lago comunichi col mare, sia che non abbia sbocchi.

Sorgono domande: quando il lago fosse isolato, da dove verrebbero gli individui solitari di cui sopra? E ancora: quale sarebbe la provenienza del chemosit, prendendo per buona la mancanza di una popolazione di consimili?

Volendo cercare una risposta che sia più plausibile delle "porte su altre dimensioni", tanto care a Sandersson, si potrebbe pensare che le popolazioni "fantasma" siano altrove, distanti dall'area d'avvistamento del criptide. In effetti, la criptozoologia spiega così gli alien big cats inglesi, probabili grossi felini africani ed asiatici, liberati o fuggiti dalla cattività.

Tornando ai casi in questione, è chiaro che la teoria non regge. Chi o cosa avrebbe "seminato" mostri acquatici in America meridionale, dall'inizio del secolo scorso? Quante volte sarebbe "migrato" il chemosit dal suo misterioso luogo di origine a quello in cui è avvistato dalla notte dei tempi?
Ordinari e straordinari Parrà bizzarro, ma l'errore che si commette trattando casi di criptozoologia come questi è considerare "ordinari" gli animali in oggetto. In realtà sono straordinari e non è un'ovvietà.

Faccio riferimento al contesto interspecifico: avvistare un "mostro" e attendersi di trovare una popolazione di mostri significa attribuirgli "ordinarietà", poiché è presunto del tutto simile ad altri. Invece questi criptidi hanno qualcosa di diverso, anche rispetto ai loro genitori, anche rispetto ai loro eventuali fratelli.

A mio avviso, si tratta delle dimensioni. Il chemosit e i criptidi anfibi della Patagonia, sono (o sono stati) animali appartenenti a specie presenti nelle aree di avvistamento o limitrofe, e affetti da gigantismo ipofisario.
Il fenomeno del gigantismo Le tanto famigerate popolazioni sono da sempre sotto gli occhi di zoologi e criptozoologi, ma puntualmente ignorate.

Prima di addentrarci nella questione, è bene precisare che per gigantismo non s'intende una statura superiore alla media (intesa anche come al garrese), quanto invece, un eccessivo accrescimento del corpo, con conservazione delle armoniche proporzioni tra le sue parti.

Quali e quante sono le cause di quest'anomalia? Sono principalmente due, o meglio, una sola, quando valga la definizione "anomalia": il gigantismo può anche essere fisiologico, e avere basi genetiche. Genitori alti hanno figli alti.

In senso patologico, indica uno stato morboso dovuto a una cronica ipersecrezione dell'ormone somatotropo (GH) in soggetti giovani, le cui cartilagini ed ossa sono ancora in grado, sotto lo stimolo dell'ormone, di svilupparsi in lunghezza.

Nella quasi totalità dei casi, la causa va ricercata in un tumore ipofisario, l'adenoma, secernente GH; più raramente, l'ipersecrezione sarebbe ectopica (in altre parole, proverrebbe da strutture diverse dall'ipofisi, che è l'organo preposto alla produzione di GH).

Riconducendo la questione ai casi in esame, è utile chiedersi quale tipo di gigantismo li contraddistingua, ammesso che sia possibile generalizzare. Si tratta di gigantismo ereditario e fisiologico, oppure da surplus di GH e patologico? Se questi sono i termini, la risposta parrebbe scontata: il primo caso, che non implica lo status di malato.

Non è così, perché se fosse una questione genetica, si dovrebbe avere il seguente scenario: un animale di dimensioni normali, che porta un allele recessivo molto raro, esprimente il fenotipo "gigantismo", si accoppia con un consimile, anch'esso di dimensioni normali, avente il medesimo allele recessivo. La probabilità che ciò accada è, ovviamente, tanto più bassa quanto più raro è l'allele. Difficile quindi, date le premesse, ma non impossibile. D'altronde, non tutti i fenotipi sono frutto di eredità monogeniche, cioè espressione di un singolo gene. A dispetto di Mendel, la maggior parte delle eredità sono poligeniche, comprese le dimensioni corporee. Questo è il motivo per cui, di solito, accoppiando un cane piccolo con una cagna grande, si ottiene una F1 intermedia... È anche il motivo per cui lo scenario sopra descritto è irrealizzabile.

Il gigantismo genetico presuppone una selezione naturale (o artificiale: si pensi alle razze di cani molossoidi), che stride con l'ipotesi di straordinarietà avanzata.

Generalizzando, e ora si può, è lecito affermare che i criptidi sotto esame siano (o fossero) affetti da gigantismo patologico, da adenoma giovanile.

È però altrettanto lecito ritenere che animali, di fatto malati, siano capaci non solo di sopravvivere, ma anche di manifestare la straordinarietà comportamentale di cui hanno lasciato traccia?

Una delle pratiche più diffuse di ricerca medico-biologica, è quella che io definisco "braketing interspecifico": desumere i meccanismi fisiopatologici umani da studi effettuati sugli animali. Il presupposto di base è che le cavie (in senso lato) siano abbastanza simili, nei termini sopraindicati, all'uomo. Questioni etiche a parte (dalle quali dovrebbe sorgere in più di una coscienza una severa autocritica), lo storico della medicina conferma il presupposto. Così argomentando, mi permetto di usare lo strumento del braketing interspecifico per i miei scopi.
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Robert Wadlow.
Casi di gigantismo umano sono noti da molto tempo. Il più significativo risale agli anni dieci del secolo scorso, più precisamente al 1918, quando nacque Robert Wadlow. Con i suoi 2 metri e 72 centimetri, costui è stato l'uomo più alto nella storia. Per quanto la sua corporatura fosse marcatamente longilinea (longilineità non in senso lato, ma intesa come il rapporto tra la lunghezza degli arti e quella del busto), Robert Wadlow non era deforme né sproporzionato: decontestualizzando la sua immagine dalle foto, togliendo i punti di riferimento (arredamento e persone, entrambe apparentemente "lillipuziani"), potrebbe essere confuso per un normale (si fa per dire) giocatore di pallacanestro.

John Carrol, 2.60 m, John Rogan, 2.59 m, Trijntje Keever (una donna), 2.55 m, Marianne Wedhe (anch'essa donna), 2.53 m, sono altri esempi di gigantismo umano. Purtroppo tutti loro hanno avuto salute cagionevole e vita breve. Dovendomi basare su queste testimonianze, non potrei affermare che un animale affetto da gigantismo ipofisario sia una buona attribuzione criptozoologica, relativamente ai casi in esame.

Per fortuna, la lista dei giganti è ben più lunga, e annovera persone longeve e/o atleticamente "performanti". Cito Vaino Myllyrinne, 2.55 m, conosciuto come il soldato più alto di tutti i tempi, Suleiman Ali Nashnush, il più alto giocatore di basket mai esistito, con i suoi 2.45 m, Jorge Gonzales, lottatore di wresling, alto 2.28 m.

La lista dei cestisti con statura attorno ai 2.25 m è relativamente lunga (ad esempio Matthew McGrory, Yao Ming, Emile Rached, Andy Van Volkenburgh, per dirne solo qualcuno). In questo sport, come anche nella pallavolo, il gigantismo è un carattere vantaggioso. La maggior parte delle persone con tali disfunzioni ipofisarie non ha consanguinei particolarmente alti. Cito ad esempio Clifford Thompson, 2.55 m, il cui padre era alto circa 1.65 m, e la madre ancor meno, e Don Koehler, 2.45 m, con una sorella gemella di 1.73 m. La storia riporta un caso di gigantismo ipofisario anche tra gli imperatori della Roma antica. Si tratta di Massimino (nome quanto mai poco azzeccato) il Trace, alto da 2.40 m a 2.55 m, a seconda delle fonti.
Le attribuzioni Prima di giungere alle conclusioni, è bene riassumere le tappe dello studio, e le considerazioni cui si è giunti nei paragrafi precedenti.

Due criptidi, differenti per morfologia e habitat, sono stati presi in esame: il chemosit keniota e i criptidi anfibi della Patagonia.

Si è argomentato a favore dell'eventualità che, a produrre gli avvistamenti, non fossero stati esemplari "ordinari" di specie "straordinarie", quanto invece esemplari "straordinari" di specie "ordinarie", usando termini a me cari. Ciò spiegherebbe in parte la mancanza di prove che cronicamente accompagna la criptozooologia. Si è giunti alla conclusione che i due criptidi siano (o siano stati) individui affetti da gigantismo. Si è inteso dimostrare che solo il gigantismo ipofisario può spiegare la comparsa improvvisa di un individuo molto sovradimensionato all'interno di una popolazione, poiché non implica una selezione. Infine, si è affermato che la patologia ipofisaria non solo può consentire una vita normale, ma talvolta è vantaggiosa. La conclusione è stata argomentata con il braketing interspecifico.
I mustelidi e la criptozoologia Lo studio potrebbe terminare qui, dato valore di conclusioni alle considerazioni sopra riassunte.

La pratica di attribuire a un criptide un'identità, attingendo dalla zoologia, dalla paleontologia, dalla teratologia, fin dalla fantazoologia, quando si teorizzino specie nuove, è un percorso irto di insidie. Chi se ne occupa, si muove in una zona "borderline", tra ciò che le norme epistemologiche definiscono come scientificamente fondato e la fantasia al potere.

La difficoltà sorge quando si tenta di sopperire alla non provabilità di certe affermazioni (nella fattispecie le attribuzioni) con la plausibilità delle stesse. D'altronde, molte pratiche scientifiche poggiano su processi indiziari: l'evoluzionismo e la psicologia sono le più emblematiche.

Evidenze biomolecolari e paleontologiche, nel primo caso, e cliniche, nel secondo, danno a queste pratiche status di scienza, e a giusto titolo. A differenza di evoluzionisti e psicologi, il criptozoologo nutre la speranza di provare direttamente le proprie supposizioni: semplicemente (si fa per dire) scoprendo il criptide. Ma per ottenere questo risultato bisogna partire dalle attribuzioni.
Il chemosit Così argomentando, vado avanti con lo studio, adoperandomi di agire secondo il più scientifico dei criteri: il buon senso.

Le caratteristiche di questo criptide sono riassunte dalla somiglianza morfologica con gli orsi: è tozzo, con artigli robusti e testa rotonda. Anche i costumi sembrano ricondurvi: ad esempio, è stato visto rizzarsi sulle zampe posteriori in più di una occasione.

Citando Barloy, questa attribuzione non è però convincente. Non è argomentata da considerazioni zoologiche, né paleontologiche (anche se, a onor del vero, quest'ultimo punto è contestato da qualcuno). Essendo possibilisti, si dovrebbe poi ammettere l'esistenza di una popolazione di orsi indigena, eventualità smentita nei paragrafi precedenti.
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Un ratele.
Tra le teorie proposte, quella a mio avviso più verosimile attribuisce il criptide ad un ratele (Mellivora capensis); ovviamente gigante, dato l'oggetto del disquisire. Il ratele è un grosso mustelide, anche noto come mellivora, per l'abitudine di razziare gli alveari in cerca di miele. Appartiene alla sottofamiglia dei mellivorini, e mediamente è lungo circa 80 cm.

Le caratteristiche che il ratele condivide col chemosit sono sorprendentemente numerose e riportate nella tabella 1.

Gli avvistamenti riferiscono, in linea di massima, di un animale grande come un orso di piccola taglia. Dimensioni siffatte sono verosimili, quando riferite ad una mellivora ipoteticamente affetta da gigantismo. A onor del vero, le descrizioni del chemosit si distanziano talvolta dallo standard descritto. In effetti è ragionevole pensare che altri animali siano responsabili di alcuni avvistamenti. Secondo fonti, si tratterebbe di iene o di grossi babbuini. Tra i sostenitori della seconda ipotesi cito Bernard Heuvelmans, il padre della criptozoologia.

Tali conclusioni non sono del tutto esaustive, perché si sposano male con molte delle prerogative attribuite al chemosit, sopra tabulate.

Tirando le somme, chiamando in causa Rossi: «[...] credo che si possa quindi ammettere senza troppe difficoltà che molti avvistamenti, sia da parte degli occidentali sia da parte dei nativi, possano essere attribuiti a grandi mellivore nere [...]».
I criptidi anfibi dei laghi patagonici Principalmente due morfologie descrivono questi criptidi: la prima delinea il profilo di un animale fortemente acquatico, però in grado di effettuare spostamenti sulla terraferma. Sarebbe lungo dai tre ai quattro metri, scuro, con la pelle liscia e lucida, non squamata. È solitamente descritto come avente forma snella, simile a un coccodrillo con il collo lungo, talvolta addirittura da cigno; questo dato ha pesato molto sull'attribuzione del criptide da parte di Onelli, il quale parlò addirittura di Plesiosauri d'acqua dolce, forse un po' troppo entusiasta dei racconti sul Loch Ness. Avrebbe muso triangolare; secondo alcuni sarebbe crestato.

La seconda morfologia descrive un animale più marcatamente anfibio. Avrebbe muso tozzo, presentando per il resto una struttura poco dissimile da quanto letto sopra, solo più robusta.

Sarebbe un predatore molto aggressivo: dotato di grossi denti e zampe (corte) armate di artigli, avrebbe la forza di trascinare in acqua prede grandi quanto un cavallo; misurerebbe anch'esso quattro metri.
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Una lontra gigante.
Le dimensioni corporee di questo criptide, a una prima analisi, escluderebbero straordinarietà plausibili, intese come da disquisizione. In altre parole, nessun animale indigeno, compatibile con le descrizioni, potrebbe raggiungere i quattro metri di lunghezza, pur se affetto da gigantismo. Cercando nei bestiari, ci si accorge però che in Sud America vive una specie la quale, per caratteristiche fisiche e per dimensioni, può rappresentare il nostro target. Si tratta della lontra gigante (Pteronura brasiliensis). Popola le acque interne del Brasile, ma il suo areale attuale comprende anche il Venezuela, la Guyana e l'Argentina.

Le pteronure raggiungono e superano i due metri di lunghezza. Ipotizzare un esemplare affetto da gigantismo ipofisario di tre metri è ammissibile. Ma perché l'attribuzione abbia valore, bisogna presupporre che all'inizio del secolo scorso esistessero popolazioni di pteronure in Patagonia, ora estinte. È ragionevole: cent'anni fa la Patagonia era una terra ancora in gran parte sconosciuta. Sacche isolate dell'animale avrebbero potuto passare inosservate. Inoltre l'area di distribuzione attuale della lontra gigante, in forte ridimensionamento, giunge fino all'Argentina del nord.

Solo pochi avvistamenti d'epoca sono autentici. Troppi laghi sarebbero "infestati". Il dato è improbabile di per sé, e rende a sua volta improbabile l'attribuzione. Analogamente, essendo la lontra gigante ormai estinta in Patagonia, tutti gli avvistamenti recenti sono anch'essi fasulli, frutto di suggestione, o forse dettati da speculazioni: il ritorno di immagine porta turisti e soldi.

La morfologia di questa lontra è tale da sovrapporsi ad entrambe le descrizioni criptozoologiche lette sopra. Si tratta di un animale vorace, pur non presentando le punte di aggressività proprie del ratele. Possiede corpo sinuoso, arti brevi ed armati, testa rotonda con muso triangolare e collo lungo. È caratterizzata da una coda lunga e piatta (da qui il nome Pteronura, dal greco: "coda a forma di vela"), che, unitamente alla silhouette, le dà vaghe fattezze da coccodrillo. Quando è in acqua, il pelo, di colore bruno, appare lucido e omogeneo, sicché l'animale sembra glabro. La cresta del criptide può essere spiegata con un eventuale arruffamento del pelo sulla nuca.
Perché mustelidi giganti? Scopo non unico di questo studio è presentare due criptidi molto diversi tra loro, quindi proporre delle attribuzioni argomentate.

Trattando di criptozoologia e non di matematica, mi dico possibilista e non sicuro delle mie supposizioni: altri profili zoologici, oppure altri fenomeni naturali, possono spiegare bene gli avvistamenti riportati. Mi limito in questa sede a proporre una spiegazione unitaria, non (ancora?) riscontrata, ma fortemente sospettata.

Abbiamo visto che la teoria dell'individuo gigante è compatibile con casi criptozoologici anche molto diversi tra loro. In quest'ottica, ne estendo la rilevanza al di fuori dei confini dei casi trattati, attribuendole valore generale.

Il ratele e la lontra gigante, le attribuzioni in corso di studio, sono tutti mustelidi. E non è un caso. Questa famiglia di carnivori primitivi è descritta da caratteristiche in apparenza contraddittorie, che ne fanno fonte ideale da cui attingere attribuzioni, quando argomentate dalla teoria dell'individuo gigante.

In primo luogo la grande diffusione geografica: con venticinque generi e sei sottofamiglie, i mustelidi sono presenti ovunque, a eccezione di Antartide ed Oceania. Sono animali adattabili: tendenzialmente carnivori, ma grandi opportunisti, hanno un'alimentazione che può variare molto sia da specie a specie, sia all'interno di una singola specie. Questa prerogativa ha consentito loro di occupare tante nicchie ecologiche diverse in tanti diversi ecosistemi: si trovano dai deserti al mare aperto, con forme terricole, acquatiche, arboricole o ipogee scavatrici.

La diffusione dei Mustelidi, intesa come geografica ed ambientale, rende possibile adattare la teoria dell'individuo gigante a numerosi criptidi con caratteristiche morfo-etologiche diverse. Sono i rappresentanti più antichi del sottordine arctoidea. I mustelidi mantengono una struttura fisica primitiva: ad esempio hanno cinque dita per zampa, arti corti con stilopodio, zeugopodio ed autopodio posteriori isometrici, e sono semiplantigradi. La famiglia gode di una marcata uniformità morfologica, la quale è riflesso sia di primitività, sia di scarsa specializzazione adattativa. Fatta forse eccezione per i lutrini (le lontre), i mustelidi si classificano a pieno titolo come "generici". Ciò in parte spiega l'opportunismo di cui sopra.

Non avendo una morfologia esclusiva, modellata da una evoluzione mirata alla specializzazione, questi animali sono meno facilmente identificabili di altri, quali ad esempio cani, orsi o felini. Il dato ha rilevanza nel contesto criptozoologico.

La famiglia annovera alcuni degli animali più feroci del pianeta. L'aggressività è stata acquisita dai Mustelidi per sopperire alla taglia, quasi sempre medio/piccola, e ha valenza sia difensiva, sia predatoria. Infatti molte specie, tra cui il ghiottone, il ratele e la donnola, riescono a catturare prede molto più grandi di loro malgrado non caccino in gruppo. Il rapporto di inversa proporzionalità tra dimensioni ed aggressività è ricorrente; considerazioni simili valgono, ad esempio, per le razze canine.

Un mustelide affetto da gigantismo avrebbe l'indole aggressiva propria della famiglia e dimensioni straordinarie. Un profilo del genere è, a mio avviso, una risposta attributiva migliore rispetto ad altre, quando si interpretino etologie proprie dei criptidi predatori.

Molti mustelidi posseggono un'arma di difesa passiva efficace. Si tratta della pelle, che è spessa, elastica, pressoché inscalfibile. Testimonianze riferiscono di mellivore uscite illese da attacchi di leoni adulti, o di faine morse da cani senza che ne venissero ferite. La bassa vulnerabilità, unita al fatto che non conoscono paura, fa dei mustelidi prede molto poco appetibili.
Conclusioni La prerogativa potrebbe avere un riflesso in criptozoologia, in quanto le testimonianze di criptidi "invulnerabili" non sono rare.

Ecco argomentata la teoria dei mustelidi giganti. Essa non ha la presunzione di dare un volto a tutti i criptidi riconducibili, né alla maggior parte. Intende solo inserirsi tra le tante spiegazioni razionali dei fatti criptozoologici.

Questo studio non piacerà a chi usa fare attribuzioni teorizzando specie nuove. Sia che questa linea di pensiero abbia un substrato scientifico, sia che non ce l'abbia (e sia proiezione del bisogno legittimo di esercitare la propria creatività), ricordo che "criptozoologia" significa letteralmente "studio degli animali nascosti", non "studio delle specie nascoste". Una cosa può implicare l'altra, ma quando ciò non avviene, che nessuno si scandalizzi.
Bibliografia Pasquale Saggese Biologo. Responsabile del Comitato Scientifico del Gruppo Criptozoologia Italia

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