Gli occhi mi ingannano?

Come riconoscere e sfuggire i tranelli della percezione

  • In Articoli
  • 16-11-2006
  • di Anthony G. Wheeler
Io so quello che ho visto!” è una delle affermazioni più difficili da contestare a un testimone onesto di un UFO, fantasma, o evento “paranormale”. Tuttavia i nostri sensi possono mentire, e le testimonianze oculari sono spesso una povera evidenza. Per apprezzare questi errori, bisogna capire la fisiologia dei nostri sensi.

Fuori di qui c’è il mondo reale - un solido, caldo, mobile, rumoroso, puzzolente mondo. Ma quello che percepiamo è la realtà o è solo una sua alterata e sintetizzata approssimazione? Per meglio capire errori percettivi, e alcuni fenomeni paranormali, è di aiuto conoscere qualcosa sulla fisiologia della percezione.

Le nostre percezioni sono basate su informazioni sensoriali - energia ricevuta, trasformata e trasmessa da cellule sensoriali (traduttrici). Quando questa informazione è trasportata e analizzata dalle appropriate cellule del sistema nervoso, la nostra consapevolezza ci mostra una “simulazione” della realtà. È questa simulazione quello che noi conosciamo, e sono la ricezione, traduzione, elaborazione periferica e centrale e la presentazione che creano la percezione. Più vicina alla realtà è questa simulazione, più la percezione del nostro ambiente sarà veritiera e onesta.

Ad esempio: il nostro senso dell’udito filtra i rumori di sottofondo ripetitivi in modo tale che, pur continuando a sentirli, non ne siamo continuamente consapevoli a meno che non decidiamo di esserlo. Allo stesso modo, se perdiamo piccole parti di una conversazione, possiamo ricostruirle dal senso delle parole e delle frasi dette precedentemente e successivamente, così da essere sempre consapevoli del completo senso del discorso. Questi due processi sono il motivo per cui possiamo intrattenere una conversazione a due nel bel mezzo di un rumoroso cocktail party.[1]

Questo processo dell’ascoltare un discorso viene eseguito in segmenti e ha bisogno di tempo. Il tempo che passa tra il sentire e il capire è notevole quando si è improvvisamente consci di sentire qualcuno che ci parla ma non riusciamo a capire le parole; rispondiamo con un «Come?» proprio quando la percezione elaborata del discorso arriva alla nostra consapevolezza, facendoci capire una ripetizione di ciò che già avevamo “sentito”.

A volte il sistema si guasta, come quando un suono ripetitivo normalmente ignorato viene fastidiosamente sentito in una situazione normalmente tranquilla. In questa circostanza la percezione di un rubinetto che perde può essere amplificata fino a dominare ansiosamente la nostra consapevolezza.

Il senso del tatto è generalmente più affidabile, a parte il fatto che alcune parti del nostro corpo sono sorprendentemente molto meno sensibili di altre. Mentre possiamo localizzare all’interno di un millimetro la sorgente di uno stimolo leggero applicato alle labbra o sui polpastrelli, lo stesso stimolo applicato su una gamba o sul corpo può essere localizzato solo all’interno di cinquanta o sessanta millimetri. Similmente, non possiamo distinguere una coppia di stimoli da uno singolo se la loro separazione è minore di queste distanze (entrambi questi fenomeni formano le basi dei test clinici per la funzionalità del sistema nervoso sensoriale).

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Siamo abituati a pensare alla vista come al senso più importante. Probabilmente di solito lo è. Tuttavia, la vista non è certamente il più affidabile dei sensi. Sono stati pubblicati molti libri riguardo alla vasta serie di illusioni visive. [2] Quando “vediamo”, possiamo percepire solo quello che riconosciamo; se ci si presenta un’immagine totalmente sconosciuta, o un’immagine familiare in un contesto strano o inaspettato, il nostro sistema visivo viene momentaneamente confuso e la nostra consapevolezza ci mostrerà l’approssimazione a noi familiare più vicina a ciò che abbiamo visto. Questa probabilmente è l’origine della maggior parte degli “avvistamenti” di fantasmi e di fauna paranormale.[3] Un recente esempio degno di nota è il rapporto Easdown[4] di un breve avvistamento di un camionista australiano che scambiò per un normale canguro, anche se alto 14 piedi (più di quattro metri, N.d.T.), un cammello di taglia normale ma totalmente inaspettato.

Profili irregolari con colori e luminosità cangianti sono difficili da riconoscere. In queste situazioni, l’immagine poveramente capita viene messa da parte e la nostra consapevolezza ci mostra un fondale ininterrotto.[5] Questo spiega sia l’efficacia del mimetizzarsi che il sorprendente grande numero di incidenti dove un automobilista, dopo aver rallentato o essersi fermato a un incrocio, riparte incrociando la traiettoria di un veicolo in arrivo e in seguito lamentandosi di non averlo visto affatto. In effetti lo aveva “visto”, ma non lo aveva “percepito”. La vista frontale di un veicolo che si avvicina, specialmente se si tratta di una moto, è un contorno irregolare pieno di forme, colori, luci e ombre che cambiano in continuazione. Su di una strada rettilinea è fisso sullo sfondo e l’unica cosa che ci avvisa della sua presenza è l’aumentare delle dimensioni rispetto allo sfondo stesso. Questo errore percettivo è talmente comune e pericoloso che l’uso, anche in pieno giorno, dei fanali accesi da parte dei motociclisti è ora un’abitudine comune in molti paesi, e le running lights stanno diventando reperibili in tutte le ditte produttrici di automobili che ricercano la sicurezza.

C’è anche una profonda falla nella nostra capacità di notare i nostri limiti visivi. Questo risulta chiaro clinicamente quando si scopre che un paziente ha il campo visivo ridotto per il danneggiamento dei fotorecettori della retina. È sorprendente vedere quanto siano progrediti il danno e la perdita di campo visivo prima che il paziente se ne renda conto. Non era conscio di ciò che non poteva vedere. Possiamo ora dimostrare un altro aspetto (normale) della nostra percezione visiva. Chiudete l’occhio sinistro e guardate nella stanza: potete identificare nel vostro campo visivo una qualunque area che non potete vedere? Ora, con l’occhio sinistro sempre chiuso, mettete a fuoco con l’occhio destro il punto nero qui sotto e, dalla maggior distanza possibile, avvicinate lentamente la pagina a voi; tra i 14 e i 10 pollici di distanza (36 e 25 centimetri) vedrete sparire la “x”.

La spiegazione di ciò è che, all’interno di questa distanza, l’immagine della “x” cade nella zona della retina dove gli assoni attraversano la superficie della retina diventando nervo ottico e dove non ci sono fotorecettori. Sebbene non vediamo le immagini che cadono in questa zona, normalmente non ci accorgiamo di questa incapacità perché non ci rendiamo conto di questo “buco” essendo esso al di fuori del nostro campo visivo.

C’è un aspetto puramente fisiologico per quel che riguarda la visione con poca luce. La classe di fotorecettori retinali chiamati “coni” dà, in condizioni di buona luminosità, colori brillanti mentre quella dei “bastoncelli” funziona con poca luce dando una visione in bianco e nero. Però ci sono solo coni, e non bastoncelli, nella parte della retina dove cade l’immagine che stiamo mettendo a fuoco. Per questo motivo non riusciamo a veder bene immagini poco luminose guardandole direttamente. A dimostrazione di ciò, nella prossima notte senza nuvole, attraversate con lo sguardo il cielo notturno. Quando incrociate con lo sguardo una stella poco luminosa (da una distanza angolare circa uguale al diametro della luna) “vedrete” la stella affievolirsi lentamente per poi tornare alla sua solita luminosità. Un fenomeno associato si ha quando, con poca luce e facendo affidamento solo sui bastoncelli, non si “vedono” i colori, proprietà dei meno sensibili coni. Di conseguenza vediamo in bianco e nero le scene al chiaro di luna.

Paradossalmente, quando c’è poca luce, vengono “viste” molte cose; basta pensare all’incremento di avvistamenti UFO al crepuscolo riportati da Molnar.[6] La chiazza di luce che si “vede” dopo un flash di luce in un ambiente buio, nota come “il fantasma di Bidwell”, era già nota dal 1894.[7]

Il senso della temperatura ha pochi punti fissi, soprattutto perché si tratta di un senso puramente comparativo; come può dirti una qualunque madre che sta per fare il bagno al suo bimbo, è molto difficile giudicare la temperatura dell’acqua con la mano e persino il tradizionale test del gomito dà risultati di poco migliori. A dimostrazione di ciò, mettete una mano in una bacinella di acqua a 15° C e l’altra in una a 40° C. Dopo tre minuti trasferite entrambe le mani in una terza bacinella di acqua a 25° C. Qual è la sensazione “corretta” tra quelle percepite? (Allo stesso modo non si può percepire in termini assoluti la quantità di luce presente; se i fotografi potessero farlo, non avrebbero bisogno di perdere tempo con gli esposimetri.)

Similmente, la percezione che abbiamo di noi stessi è spesso differente dalla realtà. Quanto spesso un’immagine inaspettata di noi stessi (il nostro riflesso in uno specchio mentre facciamo spese in un negozio) ci fa credere di vedere qualcuno che dovremmo conoscere ma che non riusciamo a identificare?

La discrepanza più familiare tra la percezione di noi stessi e la realtà si ha quando una patologia produce dolore in uno dei nostri organi interni; poiché non possiamo percepire tali parti di noi stessi, il dolore viene trasferito alla periferia, fornita di nervi sensitivi, dalla stessa sezione vertebrale. Questo è il dolore “riflesso”. Questa è la ragione per cui il dolore di un infarto è spesso sentito nella spalla e nel braccio sinistro piuttosto che nel cuore stesso.
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Meno familiari, ma più drammatiche, sono le sensazioni proiettate alle terminazioni nervose sensitive irritate. Questa è una caratteristica peculiare delle amputazioni. Subito dopo l’intervento chirurgico, la sensazione proiettata dove dovrebbero essere le terminazioni nervose è così reale che il paziente ha difficoltà a credere, e a ricordare, che quella parte di arto gli è stata amputata. È a causa di questa sensazione fantasma che il paziente, risvegliatosi dopo l’anestetico, è così spesso incredulo quando gli viene detto che è stato necessario amputargli un arto. Queste sensazioni sono così vivide e convincenti che non è strano che un paziente riesca a persuadere una infermiera alle prime armi che l’unico modo per lui di trovare sollievo da un prurito all’arto mancante sia quello di farselo riportare per poterlo grattare!

Una tragica discrepanza tra la realtà e la propria percezione dell’obesità è una delle cause dell’anoressia, malattia per la quale una giovane ragazza si lascia letteralmente morire di fame per perdere un immaginario eccesso di peso.

La nostra percezione delle qualità o delle abilità di altri può essere deliberatamente manipolata; a ciò è dovuta larga parte del savoir faire di un medico. Non è l’abilità del medico, dimostrata dall’evidenza oggettiva, che ispira confidenza nel paziente, ma la sua “presunta” capacità.

L’inaffidabilità dei nostri sensi ci viene ulteriormente dimostrata dall’esame dei ricordi degli osservatori di incidenti recenti. La testimonianza oculare viene comunemente considerata la forma più affidabile di evidenza nell’investigazione di crimini. Tuttavia, numerosi esperimenti hanno ripetutamente dimostrato che l’essere presente alla scena di un delitto, o anche il vedere un incidente, non qualifica necessariamente una persona a descrivere cosa è effettivamente successo o a riconoscere, dopo il fatto, i partecipanti.[8] In effetti, testimonianze oculari errate sono notevolmente frequenti. Gli errori sono dovuti a elaborazioni del subconscio e al riempimento degli eventuali vuoti di percezione, ai movimenti della scena dell’incidente nelle vicinanze dell’osservatore, e al riaggiustamento dei fatti e dei ruoli in accordo con le proprie idee preconcette. I “fatti” che si adattano meglio alla più ovvia interpretazione sono quelli a cui uno crede, al di là della realtà. La misura di tale revisione aumenta con il tempo passato dall’incidente. Tutto ciò senza considerare le influenze psicologiche che incoraggiano inconsciamente a rivedere i propri ricordi per farli combaciare con le evidenze di altri testimoni, delle autorità, e così via; e senza includere gli effetti dei pregiudizi razziali, sessuali, eccetera.

La situazione più comune in cui viene richiesta una testimonianza oculare è quella degli incidenti stradali. Sfortunatamente tale testimonianza è altrettanto inaffidabile, anche se proviene da automobilisti esperti. Non è strano per un testimone sbagliare semplici particolari come il numero e i colori dei veicoli coinvolti e la geometria dell’incrocio, non chiarendo del tutto ciò che è effettivamente successo.[9] In effetti, i test hanno dimostrato che solo pochi osservatori hanno percepito correttamente ogni aspetto di un incidente. Sembra che i nostri ricordi di ciò che percepiamo, sia esso un crimine o un incidente stradale, abbiano, purtroppo, poco a che vedere con ciò che è realmente successo.

Siamo tutti consci di quanto la nostra percezione del carattere della gente si discosti dalla realtà. Un esempio è quell’uomo all’apparenza irrilevante e poveramente vestito che si rivela, in seguito, essere sia estremamente ricco che straordinariamente influente. [10] Ciò nonostante, quanti di noi si sono stupiti di scoprire che un collega considerato a lungo distaccato, snob e ostile sia in realtà solo estremamente timido? La percezione che abbiamo dell’abilità di un politico nel governare è basata molto più spesso sulla sua fisionomia, comportamento e modo di parlare che su una reale evidenza di abilità nel governare. Persino scienziati supposti razionali verranno spesso colpiti più dall’apparenza e dallo stile di un aspirante a un impiego, o di un candidato a una carica, che dal contenuto di ciò che dicono.

Una comprensione della fisiologia dei nostri sensi rafforza l’idea che la nostra consapevolezza ci mostra una simulazione approssimata della realtà. Nella maggior parte dei casi questa simulazione è buona quanto basta. Tuttavia, in certe circostanze una simulazione erronea può portare a credere sinceramente di aver visto un UFO, un animale mitologico o un fantasma, o di non aver visto un veicolo in avvicinamento. Possiamo anche essere seriamente sviati da sottili errori di valutazione nel ricordare un incidente o nell’intervistare un candidato. Come scettici, faremmo bene a tenere in mente queste limitazioni quando valutiamo tanto le testimonianze di altri, quanto le nostre.

Anthony G. Wheeler Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia Università del Queensland, Australia Tratto dallo Skeptical Inquirer vol. 12, estate 1988 Traduzione a cura di Paola De Gobbi e Manuele Bettio

Note


1) Broadbent, D. E. (1962), "Attention and the perception of speech", Scientific American, (4) 206: pp. 143-151.
2) Robinson, J. O. (1972), The Psychology of Visual Illusion, London: Hutchinson University Library.
3) Czechura, G. V. (1984), “Apparitions, UFOs and wildlife”, The Skeptic, (1) 4: pp. 14-16.
4) Easdown, R. (1985), “The fourteen-foot kangaroo”, Motor Manual, Winter special: 6.
5) Luckiesh, M. (1965), Visual Illusion, New York: Dover.
6) Molnar, R. E. (1984), “Reports of thylacines and of UFOs: similarities and patterns”, The Skeptic, (4) 4: pp. 9, 12-14.
7) Walker, J. (1985) “Bidwell’s ghost and other phenomena associated with the positive afterimage”, Scientific American, (2) 252: pp. 100-104.
8) Buckhout, R. (1974), “Eyewitness testimony”, Scientific American, (6) 231: pp. 23-31.
9) Carr, J. (1974), “How good a witness are you?”, Drive, n. 30: pp. 60-64.
10) Shute, N. (1938) Ruined City, London: Cassell.


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