JFK: un caso ancora aperto?

Le ragioni di chi non accetta la "versione ufficiale" della vicenda

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  • 26-08-2005
  • di Sergio De Santis
John Fitzgerald Kennedy è stato assassinato a Dallas il 22 novembre 1963. Da allora quel delitto è stato investigato a livello sia pubblico che privato attraverso milioni di pagine che hanno passato al setaccio ogni minimo dettaglio. Eppure, quel giorno continua a essere occasione di scontri furiosi fra chi è disposto a prender per buona la tesi ufficiale del killer solitario, e chi invece è convinto che si sia trattato di un complotto, salvo poi divergere in modo abissale sugli esecutori, i mandanti, la natura e gli obiettivi di quella cospirazione.

Ma cerchiamo di fare un po' di chiarezza in termini generali senza impantanarci - o almeno senza impantanarci troppo - nei dettagli per evitare il rischio che gli alberi - come si usa dire - ci impediscano di vedere il bosco.
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Lee Harvey Oswald (al centro) al momento del suo arresto.
Perchè proprio lì risiede la principale trappola di un caso ancora aperto per "eccesso di prove" sia materiali che testimoniali sino al punto di diventare alla fine puramente indiziario: cioè con troppe domande (e soprattutto troppe risposte) sul tappeto per la disperazione di chi tenti di venirne a capo.

Una pacchia per i dietrologi e un'irresistibile tentazione a usare il rasoio di Occam, scegliendo la soluzione più semplice: vale a dire quella ufficiale. Che però mi sembra un po' troppo semplice in rapporto al dramma e al palcoscenico su cui è stato recitato. E dico "recitato" perchè l'assassinio di Kennedy sembra sin dall'inizio troppo simile alla trama di un romanzo di Agatha Christie: con una vittima eccellente ma non priva di lati oscuri; un assassino con la pistola fumante in mano, sommerso da una marea di prove a carico; un secondo assassino, del tutto improbabile, che si incarica di farlo fuori e opportunamente esce anche lui di scena a breve termine; e una folla di personaggi, ciascuno dei quali con un ottimo (o pessimo) motivo per procedere all'eliminazione del de cuius.

Ora non è detto che il plot dei romanzi della Christie debba servire da pattern anche per la storia, ma non dimentichiamo che - come diceva Oscar Wilde - la vita spesso imita l'arte: e non mettiamolo quindi da parte prima di averlo confrontato con i fatti.

Anzitutto la vittima: un presidente "bello garzone", ma con molte zone oscure sul suo passato familiare e personale: con un padre cotrabbandiere, malavitoso e filo-nazista, un'imbarazzante collaborazione (insieme con suo fratello) alla Commissione per le attività anti-americane del senatore MacCarthy, un'elezione favorita dagli amici (degli amici) di papà, una salute malferma pesantemente condizionata dalle droghe e soprattutto una presidenza punteggiata da iniziative internazionali capaci procurargli nemici a 360 gradi.

Poi l'assassino: un ex marine con un passato oscuro e molte false partenze alternate a dietrofront sino al punto di rendere credibile tutto e il contrario di tutto. Catturato a poche ore di distanza dopo avere commesso un secondo omicidio e curvo sotto il peso di un fardello incredibile di "pièces à conviction": l'arma del delitto abbandonata nel luogo dell'attentato con un'impronta digitale e un ciuffo di fibre tessili della sua camicia impigliato nella canna, una mappa con il percorso presidenziale ritrovata nella sua cucina, e persino una bella foto scattata dalla mogliettina con il fucile incriminato in mano... Come dire un "caso aperto e chiuso": tanto chiuso da aver perso il colpevole prima ancora di un interrogatorio a fondo. Be', Wilde aveva proprio ragione: anzi forse la Christie avrebbe esitato ad accumulare tante prove sul suo personaggio per evitare di esser accusata di esagerazione letteraria.

Poi c'è "l'assassino dell'assassino": un bieco personaggio della malavita (Edgar Wallace avrebbe usato un cinese guercio, ma i tempi sono cambiati) dalle motivazioni risibili e lui pure fuori dalle quinte in tempo record.

E infine c'è la folla dei personaggi con motivi di ostilità nei confronti di JFK: forse non sufficenti per averne organizzato la morte, ma certo tali da fargli accogliere quella scomparsa con mortaretti e putipù. Per tenerci bassi, citiamo solo i "sospetti eccellenti":

a) il vicepresidente Lyndon B. Johnson, con un rinnovo di candidatura in bilico;

b) il capo del FBI J.Edgar Hoover, minacciato di rimozione;

c) H.L.Hunt capofila dei petrolieri del Texas preoccupati per un progetto di aumento delle tasse;

d) la cupola del cosiddetto "complesso militare-industriale" ("falchi del Pentagono + "mercanti di cannoni") minacciato dall'ipotesi di un ritiro americano dal Vietnam;

e) gli anti-castristi di Miami, reduci dal disastro della tentata invasione di Playa Giron nel 1961: lanciati all'attacco dalla CIA ma votati al disastro dalla decisione di JFK di non concedere loro una copertura aerea;

f) i "ragazzi di Langley", sbacchettati dal presidente per l'avventurismo dimostrato nell'organizzazione dell'affare cubano, ma decisi a procedere ugualmente nella loro guerra personale contro Fidel Castro;

g) i "ragazzi del KGB" forse desiderosi di vendicare l'umiliazione subita da Krusciov quando era stato costretto a ritirare i missili da Cuba nell'ottobre del 1962; oppure al contrario impegnati a metterlo in difficoltà per la sua svolta verso una politica di "coesistenza pacifica" con gli Stati Uniti;

h) l'ala dura del castrismo, poco disposta a mandar giù il ritiro dei missili e forse tentata dall'idea di passare dai "couplets" sarcastici anti-kruscioviani (Nikita mariquita, lo que te da te quita, cioè: "Nikita frocetto, prima ti dà e poi ti leva) a un'azione più "incisiva" contro il capo del cosiddetto "imperialismo yankee" ;

i) gli incappucciati del KKK minacciati dal progetto integrazionista kennediano per il profondo Sud;

l) la mafia, già sponsor dell'elezione di Kennedy tramite i buoni uffici del vecchio John e poi "tradita" dalla campagna contro il crimine organizzato da parte del fratello del presidente.

Come dire una bella panoplia di cui prodest? allargata sino a diventare un vero e proprio labirinto di imponenti proporzioni a causa delle ramificazioni interne e delle possibili interconnessioni/ complicità/strumentalizzazioni.

È una situazione da cui - anche senza cedere a tentazioni "giallistiche" - si leva un fumus (o almeno un "fil di fumo" come nella Butterfly) assai sospetto e che meriterebbe un'attenta indagine: ma il momento internazionale è assai delicato e il rischio di far crollare l'ancor fragile progetto coesistenziale a pochi mesi dalla crisi che aveva fatto rischiare al mondo il suo primo conflitto nucleare spinge il neo-presidente LBJ a rinunciare al pericoloso obiettivo di accertare la verità per riproporsi invece quello di sgonfiare subito il "caso".
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Le foto segnaletiche di Jack Ruby, l'assassino di Lee Harvey Oswald.
La soluzione si chiama Commissione Warren: convocata immediatamente con metodi spicci e che lavorerà per dieci mesi attraverso 51 udienze a nessuna delle quali saranno contemporaneamente presenti tutti i membri. L'inchiesta si svolge lungo la pista tracciata dal FBI e le cui conclusioni - tanto per stare sul sicuro - vengono perentoriamente formulate da Hoover nella sua testimonianza: a) l'assassino è Oswald; b) il movente va cercato nella sua mentalità "pervertita"; c) non esiste alcun barlume di prova circa un complotto. Tutto chiaro salvo l'aggettivo "pervertito" che nel lessico hooveriano ha un'assai vasta gamma di significati (da comunista a omosessuale).

L'escussione dei testi finisce a metà settembre e pochi giorni dopo la Commissione sforna il suo monumentale rapporto, che conferma le conclusioni del FBI. Il documento esce nel pieno della campagna presidenziale che di lì a un paio di mesi eleggerà LBJ 36° presidente americano e appone il suo suggello alla versione ufficiale circa il caso. Cioè: l'assassino è un giovane dal passato politico così confuso da impedire una collocazione precisa, che dal sesto piano di un Deposito di libri ha sparato tre colpi uccidendo Kennedy e ferendo il governatore del Texas Connally; poi è sceso in strada lasciandosi dietro l'arma omicida; è stato riconosciuto da un poliziotto di ronda in base alla descrizione di un testimone, ma ha reagito uccidendolo; ed è stato arrestato poco dopo, per finire l'indomani sotto il colpi di un giustiziere. Peccato che per raggiungere questo risultato il rapporto Warren sia stato costretto a molti giochi d'equilibrio, tagliando e cucendo addosso a Oswald un vestito su misura assai stretto; scegliendo fior da fiore gli indizi più utili e nascondendone molti altri sotto il tappeto. Ma quel che conta è che l'obiettivo imposto dalla ragion di stato sia stato raggiunto e lo scheletro si trovi in un armadio sigillato, al sicuro dagli interrogativi sgradevoli.

Se a questo punto si possa parlare di cover-up dipende dalla definzione di questo termine ultra-abusato, ma resta difficile immaginarne una che sollevi l'operato dell' establishment americano nei 12 mesi successivi all'uccisione di Kennedy (per definizione cruciali in rapporto alla raccolta delle prove).
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I National Archives conservano il fucile di Oswald, la sua pistola, il pacco di carta usato per avvolgere l'arma e la coperta in cui Oswald nascondeva il fucile a casa dei signori Palme.
Per fortuna (o per disgrazia secondo i punti di vista), però, le bugie hanno le gambe corte, soprattutto quando la versione ad usum delphini è stata raffazzonata troppo in fretta e ignorando troppi indizi imbarazzanti. Che presto finiscono invece sotto il microscopio di un'opera destinata a diventare la Bibbia degli anti-warreniani: "L'America ricorre in appello. Il Rapporto Warren ha sbagliato?" (Rush to Judgement, 1966). Il suo autore, il penalista Mark Lane, non sposa alcuna ipotesi specifica di complotto, ma si limita a elencare i punti in cui la Commissione Warren ha proceduto in modo superficiale, erroneo o apertamente sospetto. Ed è un gioco al massacro. Basti citare la cosiddetta "pallottola magica" (capace di attraversare il collo di Kennedy per poi colpire la costola, il polso e la gamba del governatore Connally, senza neanche deformarsi) inventata per eliminare il tempo necessario alla ricarica del fucile e la cui erratica traiettoria non sarà mai individuata con precisione in seguito a un preciso divieto impartito non si sa da chi agli anatomopatologi che stavano effettuando l'autopsia. Oppure l'incredibile identificazione di Oswald in base al seguente identikit fornito da una testimone che poi non sarà in grado di riconoscerlo nel successivo confronto all'americana:"bianco, snello,capelli bruni, peso 74 kg., altezza1m77". Talmente vago da far parlare di "identificazione mistica" da parte dell'agente Tippit (che poi risulterà tutt'altro che un banale "poliziotto di pattuglia" nel posto e nel momento sbagliati). O la fotografia di Oswald con in mano il famoso fucile Mannlicher-Carcano acquistato per posta al modico prezzo di una ventina di dollari, ma capace anch'esso di prestazioni miracolose vista la sua qualità scadente e la mira mediocre dell'assassino: fotografia fra l'altro esistente in doppia versione, con due fucili diversi e due giornali diversi in mani differenti (e a proposito della quale The New York Times dovrà ammettere di aver effettuato - chissà perchè - qualche "modifica marginale").

E la lista - croce e delizia per i "kennedologi" delle varie correnti - potrebbe allungarsi parecchio. Ma fermiamoci qui.

A questo punto ha inizio una proliferazione selvaggia di opere dedicate a sostenere le varie ipotesi di complotto: sono inchieste più o meno serie ma sempre monumentali, che si muovono a tutti azimut, mentre il "caso Kennedy" comincia lentamente a sfumare nel limbo dei Grandi Misteri della Storia insieme con l'Uomo dalla Maschera di Ferro, Jack lo Squartatore, Kaspar Hauser e compagnia.

A cavallo fra gli anni '80 e '90 però succede qualcosa. Nel 1987 il libro Potere e sangue di Stephen Fox dedicato alla storia della malavita Usa nel XX secolo punta apertamente il dito sulla Mafia, ricordandone l'appoggio a JFK e il "tradimento" compiuto da Robert Kennedy nella sua qualità di Attorney General, proprio mentre un colpo apoplettico aveva messo fuori giuoco il vecchio padre racketeer, vale dire il solo mediatore capace di gestire il pericoloso doppio giuoco; e nel 1988 un'altro volume The Mafia Killed President Kennedy di David E. Schem torna sull'argomento con gravi e più inquietanti precisazioni su possibili "famiglie", mandanti ed esecutori.

Ma la fibrillazione reale comincia nel 1991 con il film JFK.Un caso ancora aperto di Oliver Stone, dedicato alle inchieste condotta nel 1966-69 dal procuratore distrettuale Jim Garrison negli ambienti della malavita di New Orleans. L'inchiesta di Garrison si era conclusa con un nulla di fatto, ma il film di Stone smuove le acque. Già nel 1973 un altro film, Azione esecutiva, aveva sostenuto l'ipotesi del complotto, accusando i petrolieri texani: ma il box office non l'aveva premiato più che tanto e la trama non si era spinta al di là del recinto fanta-politico. Adesso invece la situazione è diversa: il film ha successo, si presenta come una "storia vera" e sostiene a tutte lettere che il caso è ancora "aperto".

Così nel 1992 fa la sua apparizione la nuova Bibbia destinata a rilanciare la versione ufficiale: Case closed di Gerald Posner che già dal titolo si contrappone al film di Stone. Case closed fa giustizia di alcuni fra i più clamorosi svarioni del Rapporto Warren, ma concorda in sostanza con le sue conclusioni generali: Oswald killer solitario e nessuna prova di complotto. J.Edgar Hoover avrà sogghignato nella tomba.

Alla confutazione di Case closed il super-dietrologo Harrison Edward Livingstone ha dedicato ben due volumi - nel secondo dei quali si è spinto sino a parlare di Hoax of the Century, beffa del secolo - ma la tesi della conspiracy è finita "fra la spada e la parete" (come dicono gli spagnoli) sotto gli attacchi degli ex-debunked adesso sdoganati e promossi al ruolo di nuovi debunkers. E la campagna anti-complottista non manca di ottenere gli autorevoli avalli sia dell'ex presidente Gerald Ford (guarda caso ex membro della Commissione Warren) sia di Bill Clinton; e persino dell'ex KGB (oggi FSB) un po' bizzarramente promosso da Scuola di Falsificazione a testimone affidabile. Mentre all'interno degli Stati Uniti è in corso uno strano processo di liberalizzazione delle fonti teso a farci credere che "tutti" (ma forse - come ripetutamente trapela - non proprio tutti) i documenti pubblici relativi al caso sono stati messi a disposizione degli studiosi. E mentre le ipotesi di complotto continuano a farsi sempre più fantasiose (l'ultima - e non poteva mancare - è naturalmente quella che attribuisce l'uccisione di Kennedy a una cosmic connection): legittimando così il sospetto che, diventato ormai impossibile il cover-up, il miglior sistema per ottenere un white-washing/blanchissage del caso sia diventato quello di screditare l'idea stessa del complotto versando merda nel ventilatore. O per dirla in modo più garbato spargendo al vento chaff di stagnola come fanno gli aerei per accecare i radar nemici.

Quando il bandito Giuliano venne ucciso nel 1950, l'inviato speciale de L'Europeo scrisse un articolo che concludeva: "Di sicuro c'è solo che è morto". Poi però molte cose sono venute alla luce. Per il caso Kennedy la prospettiva mi pare invece molto meno positiva. A mio avviso la sola "cosa certa" è che "c'è del marcio negli Stati Uniti" e che il lezzo supera sia il deodorante sia le puzze artificiali sparse a piene mani per coprirlo. Se Oswald ha ucciso Kennedy da solo o con altri, e chi siano eventualmente questi altri, e perchè l'abbiano fatto, francamente non so e neanche mi sento particolarmente attratto dal giuoco del flipper fra le varie ipotesi. Ci sono tanti enigmi nella storia che uno in più o in meno non mi pare debba toglierci il sonno. Tanto anche nei "gialli" storici - come nel detto napoletano - al di là della "verità" c'è sempre una "verità vera" e al di là della "verità vera" una "verità veramente vera". L'unica cosa che mi dà fastidio - da bravo scettico - sono i tentativi (peggio ancora i tentativi goffi) di prendermi per i fondelli: e quelli relativi alle "prove provate" circa il "tiratore solitario" di Dallas (con obliterazione di tutti gli indizi contrarie e la museruola per i cani che abbaiano) francamente mi sembrano offensivi per la mia intelligenza.

Bibliografia

  • Mark Lane, L'America ricorre in appello. Il Rapporto Warren ha sbagliato? Mondadori Milano 1967 (Rush to Judgement 1966).
  • Stephen Fox, Potere e sangue, Interno Giallo Milano 1990 (Blood & Power Usa 1987).
  • David Scheim, The Mafia killed President Kennedy (1988) Edizione inglese di Contract in America: The Mafia Murder of President John F. Kennedy (Usa 1988).
  • Gerald Posner, Case Closed. Lee Harvey Oswald and the assassination of JFK. New York 1993.
  • Harrison Edward Livingstone, Killing Kennedy and the Hoax of the Century, New York 1995.
  • Il film di Oliver Stone JFK - Un caso ancora aperto con Kevin Costner, Gary Oldman, Joe Pesci (1991) si basa sul volume di Jim Garrison, JFK. Sulle tracce degli assassini. Sperling & Kupfer Milano 1992 (On the Trail of the Assassins 1988).
  • Il film Azione esecutiva (1973) è di David Miller con Burt Lancaster e Robert Ryan.
Sergio De Santis Giornalista e direttore della collana "StoricaMente" per la casa editrice Avverbi.

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