Spettri, onde e particelle

Le meraviglie della Meccanica Quantistica

Silvano Fuso, chimico-fisico, dottore di ricerca in scienze chimiche. È docente di chimica, segretario del Cicap-Liguria e coordinatore del Gruppo-Scuola del Cicap. Si occupa di didattica delle scienze e di problematiche epistemologiche.

In un precedente articolo[1] abbiamo visto in che modo sia nata una delle teorie che hanno rivoluzionato la fisica moderna: la relatività ristretta. Negli stessi anni, ovvero nei primi decenni del nostro secolo, si sviluppò una seconda teoria fisica forse ancora più rivoluzionaria: la meccanica quantistica[2]. Anche in questo caso essa nacque dalla necessità di interpretare nuovi fenomeni che risultavano assolutamente incomprensibili alla luce delle conoscenze dell'epoca. L'esistenza di tali fenomeni era suffragata da conferme sperimentali talmente solide che la comunità scientifica non poté fare a meno di prenderle in considerazione. Di fronte a simili evidenze la scienza non esitò a rivedere in profondità i suoi stessi fondamenti e a elaborare una visone della realtà materiale radicalmente diversa da quella fino ad allora adottata e ben lontana dal senso comune.

Quando i sostenitori del paranormale affermano che la scienza dovrebbe avere un atteggiamento più aperto nei confronti di certi fenomeni, dovrebbero considerare la necessità di fornire prove sperimentali altrettanto inoppugnabili di quelle che portarono alla nascita della meccanica quantistica e che esamineremo brevemente nel presente articolo. Solamente di fronte a simili prove la scienza non esiterebbe a rivedere se stessa e la propria visione del mondo.

Spettri

Gli spettri di cui vogliamo occuparci non hanno nulla a che fare con le entità disincarnate o con il celebre dramma di Ibsen. Con il termine spettro in fisica si intende la distribuzione delle intensità e delle frequenze delle diverse componenti che costituiscono una radiazione che può essere emessa o assorbita da un corpo in particolari condizioni.

Uno spettro che creò non pochi problemi ai fisici, fin dall'ottocento, è quello del cosiddetto corpo nero. Esso rappresenta l'andamento dell'intensità in funzione della frequenza della radiazione emessa da un corpo riscaldato a diverse temperature (il corpo nero in particolare è un corpo ideale in grado di assorbire tutte le radiazioni che lo colpiscono). La teoria classica delle radiazioni elettromagnetiche non riusciva assolutamente a riprodurre l'andamento osservato. Nel 1900 il fisico tedesco Max Planck riuscì a riprodurre l'andamento sperimentale, attraverso l'elaborazione di una teoria che partiva da presupposti nettamente differenti da quelli della fisica classica.

Il presupposto più rivoluzionario consisteva nell'ammettere che un sistema fisico (nel caso specifico ogni oscillatore costituente il corpo nero) non potesse possedere qualsiasi energia, ma solamente determinati valori, multipli di una quantità elementare. Planck chiamò quantum questa quantità minima di energia e immaginò che essa fosse direttamente proporzionale alla frequenza dell'oscillatore. Di conseguenza, per indicare il fatto che i valori di energia che un sistema può assumere non sono continui, bensì discreti, si parla di quantizzazione. Va osservato che lo stesso Planck considerò tale presupposto una pura ipotesi di lavoro ed era ben lontano dal pensare che essa potesse essere accettata come nuovo principio fisico generale, come invece si rivelò in seguito.

L'ipotesi della quantizzazione di Planck ricevette una conferma nel 1905 quando, partendo da essa, Albert Einstein riuscì a fornire una prima interpretazione (in seguito perfezionata da Debye) dell'effetto della temperatura sui calori specifici dei solidi[3]. Lo stesso Einstein, sempre nel 1905, fornì un'ulteriore prova a favore di tale ipotesi, applicando l'idea della quantizzazione dell'energia di un'onda elettromagnetica all'interpretazione dell' effetto fotoelettrico[4], che rappresentava un altro problema teorico insoluto per la fisica classica. Tale effetto consiste nell'emissione di elettroni da parte di una superficie metallica quando viene colpita da particolari radiazioni elettromagnetiche. La sua applicazione più comune si ha nelle cellule fotoelettriche. Einstein ipotizzò che l'energia trasportata da un fascio di luce fosse distribuita in quanti o fotoni. Se l'energia di un fotone era superiore a quella necessaria per strappare un elettrone dalla superficie di un metallo, si aveva l'emissione fotoelettrica. L'energia cinetica dell'elettrone espulso era pari alla differenza tra l'energia del fotone e quella necessaria per strappare l'elettrone dalla superficie metallica. Einstein ipotizzò inoltre, in accordo con Planck, che l'energia di un fotone fosse proporzionale alla frequenza della luce considerata. Tali ipotesi permettevano di interpretare correttamente tutti i dati sperimentali.

Un'altra categoria di dati sperimentali che tormentò non poco i fisici fu quella degli spettri di emissione e di assorbimento degli elementi. Era noto da tempo che gli elementi, eccitati da una fiamma o da una scarica elettrica, potevano emettere radiazioni elettromagnetiche sotto forma di luce visibile o ultravioletta (il fenomeno è ad esempio utilizzato in certi tipi di lampade e nei fuochi d'artificio). Le radiazioni emesse risultano avere frequenze particolari e ben distanziate. In altre parole non vi sono intervalli continui di frequenze, ma solo valori discreti (spettri a righe). Le stesse frequenze di radiazione che un elemento può emettere possono essere indifferentemente assorbite, qualora esso venga investito da un fascio di radiazioni contenenti tutte le frequenze. Tale comportamento è comune a tutti gli elementi, ma quello più studiato fu l'idrogeno, a causa della sua semplicità. Nonostante la semplicità di questo elemento, tuttavia, nessun modello teorico riusciva a interpretare i dati sperimentali. A maggior ragione questo valeva per gli elementi più complessi.

Nel 1913 il fisico danese Niels Bohr contribuì al successo dell'ipotesi dei quanti di Planck applicando il concetto di quantizzazione all'elaborazione di un nuovo modello strutturale per l'atomo di idrogeno. Tale modello permetteva di superare le difficoltà di un precedente modello proposto dal fisico neozelandese Ernest Rutherford, di cui Bohr era stato collaboratore. Inoltre riusciva a razionalizzare i dati sperimentali relativi allo spettro di assorbimento e di emissione dell'idrogeno.

Bohr ipotizzò che non tutte le orbite che l'elettrone poteva percorrere intorno al nucleo nell'atomo di idrogeno fossero permesse. In particolare egli ipotizzò che solamente alcune orbite, con particolari valori di energia, potessero essere occupate dall'elettrone. Ogni orbita, nel modello di Bohr, veniva di conseguenza caratterizzata dal valore di un particolare numero intero che ne determinava l'energia e che venne chiamato numero quantico. Quando l'elettrone saltava da un'orbita interna a una più esterna, l'atomo poteva assorbire la radiazione il cui fotone (e quindi la cui frequenza) corrispondeva alla differenza di energia tra le due orbite. Analogamente, quando l'elettrone tornava sull'orbita di partenza, l'atomo emetteva il fotone corrispondente. Sviluppando quantitativamente queste idee, Bohr fu in grado di riprodurre teoricamente i dati spettroscopici relativi all'idrogeno. Egli, in tal modo, forniva un ulteriore solido sostegno alle innovative idee di Planck e di Einstein.

Onde e particelle

Nonostante i suoi successi l'ipotesi della quantizzazione dell'energia di un sistema fisico e dell'energia di un'onda elettromagnetica non trovava, all'interno della fisica classica, una sua collocazione organica. Era solamente un'ipotesi ad hoc, piuttosto insolita, che tuttavia funzionava. Nel 1924 il fisico francese Louis De Broglie, nel tentativo di interpretare la quantizzazione delle orbite dell'elettrone nel modello atomico di Bohr, propose un'ipotesi rivoluzionaria che suscitò non poco scetticismo nel mondo scientifico dell'epoca. Se l'ipotesi dei fotoni di Einstein aveva introdotto un po' di carattere corpuscolare nella teoria ondulatoria della luce, De Broglie si spinse oltre. Egli ammise che un fenomeno tipicamente corpuscolare, come il movimento di una particella, fosse associato ad una non ben identificata onda, la cui lunghezza dipendeva dalla massa e dalla velocità della particella (dualismo onda-corpuscolo). Le misteriose onde di De Broglie ricevettero qualche anno dopo una conferma sperimentale attraverso le esperienze di Davisson e Germer. Tali esperienze dimostrarono come un fascio di elettroni potesse subire il fenomeno della diffrazione (fenomeno tipicamente ondulatorio) da parte di un cristallo. In seguito il fisico Stern evidenziò l'esistenza della diffrazione anche per un fascio di atomi. In entrambi i casi le lunghezze d'onda misurate erano in accordo con quelle previste dalla teoria di De Broglie.

L'ipotesi di De Broglie e queste esperienze facevano crollare un confine sulla cui realtà la fisica classica non aveva mai dubitato: fenomeni ondulatori e fenomeni corpuscolari erano da sempre considerati assolutamente distinti. Ora, invece, essi apparivano quasi due facce di una stessa medaglia e, in tal modo, la materia cominciava a perdere una parte della "corporeità" che le era da sempre stata attribuita (il carattere ondulatorio delle particelle ha, tra l'altro, anche applicazioni pratiche: la più nota è il microscopio elettronico. In esso, anziché un fascio di onde luminose, si utilizza un fascio di "onde elettroniche").

I formalismi della meccanica quantistica

Nel 1926 il fisico austriaco Erwin Schrödinger, partendo dall'idea di De Broglie, fornì una veste matematica rigorosa e più generale all'ipotesi del dualismo onda-corpuscolo e giunse a determinare la famosa equazione d'onda in grado di descrivere dal punto di vista ondulatorio un qualunque sistema fisico. Contemporaneamente al lavoro di Schrödinger, il fisico tedesco Werner Heisenberg sviluppò un metodo alternativo (meccanica delle matrici) che partiva da presupposti completamente diversi da quelli di Schrödinger, si sviluppava con tecniche matematiche altrettanto diverse, ma otteneva gli stessi risultati. Lo stesso Schrödinger dimostrò in seguito che la sua teoria e quella di Heisenberg erano in realtà coincidenti e differivano soltanto sotto l'aspetto formale.

Era finalmente nata la meccanica quantistica[5].

Attualmente la meccanica quantistica è una teoria altamente formalizzata che fa uso di quel sofisticato apparato matematico che sono gli spazi di funzioni di Hilbert. Essa può essere sviluppata in forma assiomatica, partendo da diversi postulati (che trovano però la loro giustificazione nella capacità di effettuare previsioni sperimentali). Il principale di questi postulati consiste nell'ammettere che ogni sistema materiale possa essere descritto da una funzione in campo complesso (funzione di stato o funzione d'onda) dipendente dal tempo e dalle coordinate delle singole particelle costituenti il sistema. Sia in meccanica classica che in meccanica quantistica, lo "stato" di un sistema fisico è definito dalla misura di tutte le osservabili indipendenti che possono essere misurate simultaneamente. Tuttavia mentre nella meccanica classica tutte le osservabili (posizione e quantità di moto di tutte le particelle costituenti il sistema) possono essere misurate simultaneamente senza alcuna limitazione, in meccanica quantistica le cose stanno diversamente. Come conseguenza diretta del dualismo onda-corpuscolo si ha infatti il famoso principio di indeterminazione, dedotto da Heisenberg nel 1926. In base a tale principio esistono osservabili "incompatibili" (posizione e quantità di moto sono tra queste) le quali non possono essere misurate simultaneamente con precisione qualsiasi. In altre parole, se si vuole conoscere con elevata precisione una di queste grandezze, si deve accettare inevitabilmente una scarsa precisione nella conoscenza dell'altra e viceversa. Ne consegue che in meccanica quantistica un sistema fisico non può trovarsi in un unico stato ben definito, bensì in quella che tecnicamente viene chiamata sovrapposizione di stati. Dal punto di vista matematico, questo implica che la funzione d'onda di un sistema è una combinazione lineare di funzioni (autostati) corrispondenti ciascuna ad un singolo stato. Solamente nel momento in cui il sistema viene sottoposto ad una misura, esso collassa in un autostato ben definito. Quale sia però questo autostato è assolutamente imprevedibile e la meccanica quantistica è solamente in grado di prevedere quale può essere la probabilità che il sistema collassi in ciascun autostato. Queste limitazioni, tuttavia, secondo la cosiddetta interpretazione di Copenaghen[6] (dal nome della città in cui sorgeva l'istituto di fisica teorica dove lavoravano Bohr e altri illustri fisici) della meccanica quantistica non derivano da incapacità dell'osservatore: esse sono una caratteristica propria della realtà. La realtà è intrinsecamente indeterminata e soltanto l'interazione con il sistema di misura fa sì che essa si "determini", acquistando caratteristiche ben definite.

Conclusioni

Siamo consapevoli che quello che abbiamo sin qui descritto può dare solamente una vaga idea di cosa sia la meccanica quantistica. Essa è una disciplina terribilmente complessa che richiede uno studio approfondito e solide conoscenze matematiche. Ci siamo dilungati sui cenni storici relativi alla sua nascita per far comprendere come essa si sia sviluppata con l'intento costante di interpretare dati sperimentali. Questo è importante poiché i suoi risultati sono talmente insoliti e lontani dal senso comune che spesso possono apparire frutto di totale astrazione ben lontana dalla realtà. Certe stranezze della meccanica quantistica possono in un certo senso essere considerate "paranormali" rispetto alle conoscenze della fisica classica. Tanto è vero che essa viene spesso tirata in ballo a sproposito dai sostenitori del paranormale nel tentativo di fornire una giustificazione teorica dei fenomeni di cui essi affermano l'esistenza[7]. Tuttavia mentre l'esistenza dei fenomeni quantistici è provata al di là di ogni dubbio, quella dei fenomeni paranormali è ben lungi dall'esserlo. Come già osservato a proposito della teoria della relatività, anche la storia della nascita della meccanica quantistica è un buon esempio che dimostra come la scienza sia costantemente disposta a rivedere se stessa purché vi siano motivazioni sufficientemente valide e soprattutto sufficientemente provate.

Riferimenti e note


1) S. Fuso, "La scienza e l'insolito: l'esperimento di Michelson-Morley e la relatività ristretta", Scienza & Paranormale, n.30;
2) Per gli sviluppi storici della meccanica quantistica si veda: F.Hund, Storia della teoria dei quanti, Boringhieri, Torino 1980 e G. Tagliaferri, Storia della fisica quantistica, Franco Angeli, Milano 1985;
3) Si veda: A. Einstein et al., La teoria quantistica del calore specifico, Newton Compton, Milano 1974;
4) Si veda: A. Einstein, La teoria dei quanti di luce, Newton Compton, Milano 1980;
5) Testi classici che sviluppano il formalismo della meccanica quantistica sono i seguenti: A. Messiah, Mécanique quantique, voll. I e II, Dunod, Paris 1959; L.D. Landau e E.M. Lifsit, Meccanica quantistica, Editori Riuniti, Roma 1976; L.I. Schiff, Meccanica quantistica, Einaudi, Torino 1952. Per un approccio tecnico, unito però a considerazioni epistemologiche, si veda: B. d'Espagnat, I fondamenti concettuali della meccanica quantistica, Bibliopolis, Napoli 1980. Infine, si vedano le due ottime opere divulgative: G. Ghirardi, Un'occhiata alle carte di Dio, Il Saggiatore, Milano 1998 e D. Lindley, La luna di Einstein, Longanesi & C., Milano 1997;
6) La cosiddetta "interpretazione di Copenaghen" è quella che gode di maggior credito tra i fisici, anche se non è del tutto priva di problemi. In alternativa sono state proposte altre interpretazioni, la più famosa delle quali è la cosiddetta "teoria delle variabili nascoste", la quale presenta però non poche e serie difficoltà. Si veda, a tale proposito: B. d'Espagnat, op. cit. (parte terza, cap. XI, pp. 141-161);
7) Una rassegna completa di questi tentativi può essere trovata in: V.J. Stenger, The Unconscious Quantum: Metaphysics in Modern Physics and Cosmology, Prometheus Books, Buffalo, NY 1995 e V.J. Stenger, "Quantum Quackery", Skeptical Inquirer 1 (21), 37, gennaio/febbraio 1997.
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