La signora che (non) vedeva nelle scatole

Premessa

Lo scorso marzo, ricevemmo un'interessante lettera in cui una signora, R. G., raccontava di possedere delle stranissime facoltà: "Vedo dentro scatole chiuse e posso descrivere degli oggetti in esse contenuti;

allo stesso modo posso descrivere lo stato di salute di persone che non conosco". La signora concludeva la sua lettera dicendo:

"sarei molto disponibile a sottopormi ad una sperimentazione da parte del Cicap".

Rispondemmo subito alla signora chiedendole di descriverci meglio come riusciva a vedere degli oggetti chiusi in una scatola; questa, infatti, sarebbe stata una sperimentazione relativamente semplice da realizzare dal punto di vista metodologico; mentre, nel caso di diagnosi "paranormali" su malati, i parametri da controllare avrebbero richiesto disponibilità di mezzi e tempo al di fuori della nostra portata.

R. G. ci spiegò che avremmo potuto usare qualunque tipo di scatola, di qualunque dimensione e materiale; inoltre, non c'erano oggetti che le risultava più facile o difficile individuare; infine, la signora precisò che in prove fatte a casa aveva abitualmente successo nel 60/70% dei casi.

Decidemmo di incontrarci qualche tempo dopo presso i laboratori della facoltà di Chimica organica dell'Università di Pavia. La signora arrivò accompagnata dal marito; per il Cicap erano presenti: Luigi Garlaschelli, Adalberto Piazzoli, Franco Ramaccini, Laura Rossetti e il sottoscritto.

R. G. ci raccontò come funzionavano le sue capacità di veggenza, precisando che non riusciva a dire esattamente che tipo di oggetto fosse presente nella scatola; però, disse, era in grado di dare sufficienti indizi per capire di cosa si trattasse. Procedemmo dunque a leggere alla signora il protocollo per il test che avevamo preparato.

La metodologia del test


In precedenza avevamo selezionato 12 oggetti (specchio, sasso, rosario, prisma di cristallo, sapone a forma di fiore, chiave, libro, anello, timbro, cubo di Rubik, leoncino di plastica, fazzoletto); ogni oggetto era stato scelto sulla base di due prerogative: che potesse essere ben distinguibile dagli altri e che fosse costituito preferibilmente di un materiale omogeneo, diverso dagli altri (quasi tutti gli oggetti, poi, avevano un unico colore). R. G. accettò gli oggetti ed affermò di sentirsi pronta a dimostrare le sue capacità, le condizioni furono riconosciute da lei come ideali (non fu avvistata alcuna vibrazione negativa nella zona, per intenderci!).

Gli oggetti sarebbero stati portati in una stanza diversa da quella in cui si teneva il test e ad ogni oggetto sarebbe stato assegnato, in maniera casuale, un numero da 1 a 12. Per far ciò uno sperimentatore, sempre isolato dalla stanza del test, doveva pescare un numero da un sacchetto contenente dodici gettoni numerati.

L'oggetto corrispondente al numero estratto sarebbe stato avvolto in carta assorbente (in modo da attutire eventuali rumori che si sarebbero potuti produrre nel trasporto da una stanza all'altra), posto in una scatola di legno, fermata con degli elastici, e portato alla presenza della signora. Questa procedura sarebbe stata seguita per ogni oggetto.

A mo' di garanzia per R. G., l'intera sequenza degli oggetti venne stabilita in anticipo; in questo modo, una copia della lista, sigillata in una busta, avrebbe potuto rimanere in vista degli sperimentatori e della sensitiva fino alla fine del test.

A questo punto, la signora chiese di non mettere gli elastici intorno alla scatola per lo stesso motivo. Le richieste furono accettate a condizione che nessuno si sarebbe potuto avvicinato alla nuova scatola (ne tantomeno avrebbe potuto toccarla) dopo che lo sperimentatore l'aveva posata su un tavolo.

Fornimmo dunque alla signora un elenco dei 12 oggetti (ovviamente preparato in anticipo ed in ordine diverso da quello in cui sarebbero stati messi nella scatola) e le spiegammo che lei avrebbe dovuto indicare sulla lista, basandosi sugli "indizi" raccolti tramite le sue percezioni extrasensoriali,

l'oggetto presente nella scatola. Noi non avremmo detto subito se la signora aveva indovinato o meno ma avremmo continuato a presentarle un oggetto dopo l'altro fino alla fine della serie. Ciò, naturalmente, per non ridurre ogni volta le possibilità di scelta, facilitandole così il compito.

Naturalmente, la persona al corrente di quale oggetto era presente nella scatola non solo non avrebbe detto parola una volta entrata nella stanza del test, ma avrebbe dovuto mettersi lontano e alle spalle della sensitiva, in modo da non poter dare alcun indizio non verbale involontario.

Procedemmo secondo questo schema e riprendemmo l'intero test con una videocamera.

"Vedo qualcosa di quadrato..."

La signora, seduta a circa un paio di metri di distanza dalla scatola, con il marito seduto accanto a lei, si concentrava per qualche secondo poi diceva ciò che percepiva: "E' qualcosa di quadrato... un po' largo di spessore... una cosa scura... dritta....";

dovendo scegliere un oggetto dalla lista indicò, in questo caso, il timbro.

La signora poteva anche cambiare le previsioni già date in precedenza, purché alla fine del test ogni oggetto fosse citato.

Andammo avanti così per tutti gli oggetti, fino all'ultimo: "E' una cosa rigida", disse R. G., "dritta... non è un cubo... ha un colore solo... sembra una penna, un tubo.... potrebbe essere la chiave".

Al termine della prova, aprimmo la busta con la lista indicante l'ordine con cui gli oggetti erano stati presentati alla signora e la confrontammo con i responsi da lei dati. Su 12 oggetti, la signora ne aveva indovinato 1: esattamente ciò che ci saremmo aspettati per la legge delle probabilità.[1]

R. G. tentò di giustificarsi, affermando che le condizioni non erano quelle solite e,

comunque, cercò di adattare le sue descrizioni agli oggetti realmente presentati. Per esempio, l'oggetto che lei aveva indicato essere la chiave, si rivelò essere, invece, lo specchio. "Beh, ma in fondo avevo ragione: era una cosa dritta, non era un cubo ed aveva un solo colore..."; la signora sembrava essersi dimenticata che aveva anche detto che l'oggetto le sembrava: "una penna, un tubo".

Una prova informale


R. G. osservò anche che non era questo il procedimento che era solita seguire a casa. Normalmente, ci spiegò, aveva a disposizione due serie di oggetti uguali: la prima veniva usata per avere gli oggetti da inserire nella scatola; l'altra era tenuta ben in vista della signora in modo che appena aveva raccolto un numero sufficiente di informazione "paranormali" le era più facile adattarle ad un oggetto riferimento che aveva di fronte.

Per venire incontro alle richieste della signora, accettammo di fare una nuova prova, a solo titolo dimostrativo, seguendo le indicazioni da lei presentate come abituali. Cercammo 12 nuovi oggetti che fossero disponibili in coppie nel laboratorio e ripetemmo il test come sopra; questa volta, però, la signora non doveva più scegliere l'oggetto sulla base della lista scritta, ma indicandolo tra quelli doppi che avevamo posto su un tavolino di fronte a lei.

Anche questa volta il risultato fu netto:

1 successo su 12. La signora non sembrò convinta, ripetendo che a casa le riusciva sempre e che nemmeno queste erano le condizioni abituali in cui si svolgevano le prove a casa. Infatti, qui ogni oggetto poteva comparire una volta sola, per cui se, nel corso del test, si fosse accorta di vedere un oggetto precedentemente indicato, avrebbe dovuto dare consapevolmente un'indicazione sbagliata; inoltre, R. G., spiegò che aveva bisogno di incoraggiamento. A casa sua, infatti, il marito le diceva subito se aveva indovinato o sbagliato e questo la stimolava a fare meglio.

Ciò che ci chiedeva, dunque, era di fare una nuova prova ma, questa volta, ognuno dei 12 oggetti poteva essere usato più volte e, dopo aver dato il suo responso, la signora voleva poter sapere se era stato un successo o un fallimento.

Alcuni di noi si dichiararono perplessi nel ritentare nuovamente, assecondando continuamente la signora nelle sue richieste; tuttavia, dopo aver ben specificato che la prova non avrebbe avuto alcun valore di test scientifico, ma che si sarebbe trattato solamente di una dimostrazione, utile magari per realizzare eventuali future prove, accettammo.

Una dimostrazione controllata


Questa volta, però, apportammo anche qualche altra modifica al protocollo: l'intero test si sarebbe svolto nella stessa stanza;

gli sperimentatori sarebbero stati seduti ad un tavolo su cui era stato sistemato uno schermo; la sensitiva e il marito, invece, si sarebbero seduti entrambi davanti al tavolo cui, però, dovevano rivolgere le spalle sempre, tranne che nei momenti in cui R. G. si doveva voltare per concentrarsi sulla scatola. Da questa posizione, la scelta degli oggetti (7 questa volta) da inserire nelle scatole sarebbe stata fatta dagli sperimentatori al riparo dello schermo, utilizzando sempre un sacchetto con i gettoni numerati da 1 a 7 e avendo la possibilità di usare più di una volta lo stesso oggetto. Durante la fase di inserimento dell'oggetto nella scatola, alcuni di noi parlavano o tossivano per coprire eventuali rumori che avrebbero potuto costituire degli indizi sull'identità dell'oggetto.

Ogni volta che la signora dava il suo responso, aprivamo la scatola per mostrarle se aveva indovinato o meno.

Realizzammo, in questo modo, una serie da 28 esposizioni; risultato: 6 successi. Anche questo risultato non fu considerato significativo, poiché la probabilità di indovinare per caso era di 4 successi.[2]

Al termine dell'incontro, suggerimmo alla signora di provare a ripetere anche a casa le prove nel modo in cui le avevamo fatte quel giorno; in questo modo, infatti, si sarebbe forse resa conto che, una volta eliminata la possibilità di adattare le proprie "visioni" all'oggetto effettivamente nascosto nella scatola, si ottenevano solamente risultati casuali. Naturalmente, invitammo la signora a ritornare da noi qualora, anche seguendo una procedura di questo tipo, avesse continuato ad ottenere una percentuale di successi del 60/70%.

Non abbiamo più notizie della signora da ormai sei mesi.

Massimo Polidoro "è il responsabile indagini del Cicap

Note


1) La procedura corrisponde esattamente a quella seguita da Susan Blackmore per un test su un sensitivo inglese. V. J.S.P.R., 60, n.840, July 1995.
2) Seguendo la letteratura (v. per es. M. Ryzl, Manuale di parapsicologia. Edizioni Mediterranee, 1984), per avere un minimo di significatività (p = 0.02), per 7 oggetti e 28 prove si richiedono tra i 9 e i 10 successi.
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