Muscoli o forza del pensiero?

Insolita indagine su un presunto caso di psicocinesi

Questa storia inizia nell’ottobre 1996, quando Marino Franzosi mi parlò di una chiamata, da lui ricevuta al numero di telefono del CICAP, di un signore vicentino che segnalava uno strano fenomeno e propose che fossi io ad indagare il caso visto che abito non molto distante da lì. Il signore in questione, Diego Panozzo, chiedeva l’aiuto del CICAP per cercare di capire un fenomeno che, prima suo figlio Gabriele e poi anche lui stesso, riuscivano a produrre ma non a spiegarsi, e precisamente la capacità di provocare un piccolo movimento a distanza, appena percettibile a occhio, sulle porte di casa. Ogni lettore di questa rivista penserà subito che si tratterebbe (qualora si verificasse effettivamente) di un fenomeno di psicocinesi, quindi di uno dei pochi fenomeni, assieme alle varie qualità di ESP, che fanno parte del paranormale in senso stretto. E non sbaglierebbe di molto, solo che nel caso in questione il movimento a distanza non viene prodotto dalla psiche ma dalla contrazione dei muscoli addominali, quindi bisognerebbe forse parlare di abdomencinesi (splancnocinesi per i medici e gli esperti in greco antico).

Il signor Panozzo, nella telefonata a Marino, ci tenne a precisare che loro non ritenevano che il fenomeno fosse paranormale, ma semplicemente non riuscivano a spiegarsi come potesse avvenire, e che si erano rivolti per una spiegazione anche al parapsicologo Massimo Inardi, che peraltro non ne era venuto a capo. Avendo sentito parlare della nostra associazione e di come essa si occupi anche di strani avvenimenti, avevano pensato di rivolgersi a noi.

Con queste magre informazioni iniziali, mi misi in contatto telefonicamente con la famiglia Panozzo e ci accordammo per una visita una sera di lì a un paio di settimane, infatti il signor Diego ci teneva che potesse essere presente anche il figlio Gabriele, anni fa quindicenne scopritore del fenomeno, ma ora sempre molto occupato con il lavoro. Nei giorni precedenti quello della visita, anche discutendo con altre persone del CICAP Veneto, mi ero fatto quattro possibili teorie di spiegazione del fenomeno. La prima e più ovvia era quella del trucco consapevole, con la variante dello scherzo iniziato anni fa dal figlio e poi sfuggitogli di mano: immaginavo in questo caso che Gabriele fosse comunque sempre presente quando il fenomeno avveniva, anche se a produrlo apparentemente era suo padre. La seconda teoria era quella del pavimento di legno, o comunque del pavimento molto elastico: in questo caso i Panozzo, che effettivamente vivono in una zona molto periferica di Vicenza che sconfina nell’aperta campagna, avrebbero dovuto abitare in una vecchia casa dai soffitti non troppo robusti e il movimento delle porte sarebbe dovuto ad una spinta sul pavimento dovuta allo slancio che —immaginavo— il soggetto prendeva con il corpo per contrarre gli addominali. La terza teoria era quella del movimento d’aria: la porta si sarebbe mossa in tal caso semplicemente perché il soggetto si muoveva e spostava l’aria della stanza. La quarta e ultima teoria era quella, assai triste, dell’autoconvinzione: l’idea sottostante era che la porta si muovesse comunque per conto suo di tanto in tanto, causa correnti d’aria o camion in strada o quant’altro, che abitualmente nessuno lo notasse per il semplice fatto che non è normale stare fermi e attenti a controllare se una porta compia o meno dei movimenti appena percettibili, mentre durante le performance gli stessi movimenti sarebbero diventati psicologicamente significativi e quindi correlati arbitrariamente con la contrazione degli addominali. Quest’ultima teoria aveva anche la variante, ancora più triste, che la porta non si muovesse affatto ma che, mentre la si fissa torvi con i muscoli addominali contratti, quindi presumibilmente senza respirare o respirando a fatica, dopo un po’ la si veda muoversi comunque e lo si affermi con una convinzione tale da contagiare gli altri osservatori.

Si può notare che tutte queste teorie condividono la caratteristica di gettare una certa luce di discredito sul soggetto, la teoria del trucco presumendo che questi bari, quella del pavimento di legno e del movimento d’aria immaginando che questi non sia abbastanza furbo da fare neppure le più semplici controprove e quella dell’autoconvinzione indicando un grado di suggestionabilità straordinariamente alto.

Fu dunque con delle aspettative piuttosto deprimenti che mi recai all’appuntamento. Mi feci accompagnare da un’amica molto divertita dalla cosa, Erika Lunardon, non solo perché facesse genericamente da testimone ma anche e soprattutto perché andare ad indagare da solo una porta che si dovrebbe muovere misteriosamente, senza poterne tenere sotto controllo entrambi i lati, sarebbe stata una dimostrazione di assai scarsa intelligenza.

Dopo aver faticato un po’ a trovare l’abitazione —avevo comunque preso un importante margine di sicurezza nei confronti dell’orario concordato— ci trovammo al cancello della famiglia Panozzo. Subito dopo aver suonato, debbo confessare, provai un attimo di panico quando mi si affacciò d’improvviso alla mente una quinta, tristissima possibile spiegazione del fenomeno: che i Panozzo fossero completamente pazzi. Ebbi una fugace visione di me stesso circondato dall’intera famiglia che mi fissa con occhio truce, mentre uno di loro mi dice: «Ha visto che la porta si è mossa? L’ha visto, VERO?»

Questi timori vennero immediatamente dissipati dall’accoglienza cordiale della famiglia, composta dai signori Panozzo e dai loro due figli, tutti senza dubbio equilibrati e gentili. Dopo aver bevuto assieme il caffè e aver chiacchierato un po’ del più e del meno, cominciai una piccola intervista riguardo al fenomeno. Venni così a sapere che il movimento della porta non era, come prima immaginavo, un solo movimento, bensì una oscillazione ritmica della porta accostata e che, sebbene fosse appena visibile, tuttavia era chiaramente udibile ad ogni oscillazione il rumore dello scrocco della serratura che andava a toccare lo stipite. Oltre a Gabriele e al padre Diego, anche alcuni cugini avevano imparato a produrre lo stesso tipo di movimento.

Dopo aver annotato queste cose, passammo finalmente alla parte più interessante, ovvero alla dimostrazione pratica. Poiché le stanze piccole sembravano essere le più indicate, quelle in cui il movimento è più vistoso, andammo a provare nel bagno. Entrai con Gabriele, mentre tutti gli altri restarono a guardare da fuori. Gabriele inspirò profondamente e poi iniziò, ritmicamente, con un periodo di circa mezzo secondo, a contrarre e rilasciare gli addominali, anche se forse una descrizione più corretta direbbe che usava il diaframma per spingere l’aria nei polmoni, in modo non dissimile da quello usato da cantanti e suonatori di strumenti a fiato, senza però lasciar uscire l’aria. Contemporaneamente, e con lo stesso ritmo, la porta socchiusa si scostava un attimo e poi ritornava a toccare lo stipite, con un movimento di pochi decimi di millimetro ma tutt’altro che impercettibile, e con una udibilissima serie di ticchettii.

La scoperta che il fenomeno avveniva effettivamente e, a prima vista, senza trucchi di sorta, da principio mi inquietò molto, ma in compenso mi stimolò a ragionare molto rapidamente. Credo di essere diventato per alcuni minuti molto sospettoso nei confronti di tutto e tutti, e arrivai persino a pensare che Erika, dall’altra parte della porta, si fosse messa d’accordo con i Panozzo per farmi uno scherzo. Scacciata in un attimo quest’idea un po’ paranoica e scartata per evidenza sperimentale la teoria dell’autosuggestione, passai ad effettuare le controprove relative alle teorie del pavimento elastico e del movimento d’aria. Se ne era già discusso con i Panozzo durante il caffè e il risultato delle mie prove fu lo stesso di quelle che loro in precedenza avevano effettuato: cioè, nessun risultato. Era possibile saltare a piè pari al centro della stanza senza che la porta ne risentisse minimamente, porta che rimaneva parimenti immobile sventagliando con ampie bracciate due riviste.

Delle quattro teorie iniziali mi rimaneva quella del trucco consapevole, che però, dopo aver effettuato altre prove facendo spostare Gabriele e osservando il tutto da diversi punti di vista, sia da dentro la stanza che da fuori, mi sembrava molto improbabile. Discutendo con Gabriele delle condizioni in cui il fenomeno avveniva, venni a sapere che ve n’erano due di necessarie: una, di non buttare fuori l’aria ma di trattenerla nei polmoni e due, che la finestra della stanza fosse chiusa. A quel punto, il forte sospetto che avevo divenne per me una certezza: la porta si muoveva a causa dell’aria della stanza. E non a causa di movimenti dell’aria, come quelli provocati sventagliando una rivista, che si erano dimostrati ininfluenti, bensì a causa di una variazione di pressione nella stanza.

Il ragionamento era questo. Quando Gabriele contrae i muscoli, comprime l’aria nei suoi polmoni, che diminuisce di volume di una certa quantità. Quindi, anche il volume esterno del corpo di Gabriele diminuisce allo stesso modo. Quindi, il volume a disposizione dell’aria dentro la stanza aumenta, sempre della stessa quantità. Quindi la pressione nella stanza diminuisce, e questo causa una spinta sulla porta che la fa andare un po’ verso l’interno della stanza. Quando Gabriele rilassa i muscoli, tutto torna come prima, la porta viene risospinta verso lo stipite e produce un ticchettio.

Ragionamento qualitativamente verosimile, ma per essere sicuri della sua validità occorreva stimare i volumi, le pressioni e le forze in gioco. Conservo ancora le misure che feci quella sera: per chi fosse interessato, nel riquadro sono riportate in dettaglio assieme a quel po’ di fisica necessario per una descrizione quantitativa del fenomeno. Conoscendo il valore di tutte le quantità in gioco, si è in grado di calcolare facilmente la forza sulla porta.

Avendo già preso le misure della porta e della stanza, non mi restava che valutare la variazione di volume legata alla compressione dei polmoni, ma questo passo del ragionamento era in quel momento il più difficile: mica si poteva immergere Gabriele in un’enorme provetta graduata per vedere quanto cambiava di volume! Cercai di ragionare a spanne e di fare una stima al ribasso, in modo da non concedere dei vantaggi numerici arbitrari ad una spiegazione che stava appena nascendo. I polmoni, pensai, dovrebbero contenere almeno 5 litri d’aria. Ma quanto la possiamo comprimere? Mi sovvenne che, quando si travasa il vino da una damigiana alle bottiglie, si esercita una pressione sufficiente a sollevare una colonna d’acqua, pardon di vino, alta come minimo mezzo metro. Questo corrisponde ad una sovrapressione di almeno un ventesimo di atmosfera, e quindi ad una diminuzione di volume di un quarto di litro. Inserendo questo numero nel calcolo della forza agente sulla porta, si ottiene una stima di circa 400 grammi forza, più che sufficienti a muovere la porta. Non solo, ma dal calcolo del volume d’aria spazzato dalla porta risulta che, per compensare la differenza di pressione, la porta dovrebbe muoversi avanti e indietro di circa 3 decimi di millimetro.

Accorgendomi che avevo passato circa dieci minuti a fare conti sul bloc notes senza badare affatto a quello che mi succedeva intorno, discussi con i Panozzo le conclusioni a cui ero arrivato, precisando che non ero sicuro che la mia stima della variazione di volume fosse corretta. Mi sentivo molto sicuro del fatto che i polmoni occupassero un volume superiore a cinque litri, ma per quel che ne sapevo l’aria all’interno dei polmoni poteva anche essere molta meno. Infine ci salutammo —ormai la serata volgeva al tardi— accordandoci per un ulteriore incontro per approfondire la spiegazione.

Pochissimo tempo dopo, se ben ricordo appena l’indomani, c’era una riunione del CICAP Veneto, dove tutti erano curiosissimi di conoscere i risultati dell’indagine. Decisi di lasciarli a rosolare un po’, e mi limitai inizialmente a dargli soltanto una descrizione del fenomeno, senza alcun accenno alla soluzione. Avrei voluto farglielo vedere in diretta, e avevo anche provato ad esercitarmi, ma non ero purtroppo riuscito a riprodurlo (adesso ci riesco benissimo, ci vuole solo un po’ di allenamento).

Per un po’ risposi alle loro domande e ascoltai i loro tentativi di spiegazione —peraltro sbagliati— del fenomeno. Visto che non si avvicinavano al punto, gli proposi la mia bellissima interpretazione fisica e, ci credereste?, mi trovai di fronte un muro di scetticismo.

Alla fine, dopo lunghe discussioni, riuscii a portarne alcuni sulle mie posizioni, ma non tutti. In compenso, ebbi da Massimo Albertin l’utile informazione che, in un uomo adulto, il volume dell’aria nei polmoni si aggira intorno ai sei litri: più di quanto mi fosse necessario. Riguardo alla pressione che si riesce ad esercitare, non ne aveva idea neppure lui, ma comunque ci fu un consenso unanime sulla stima di minima fatta con la damigiana di vino —evidentemente tutti avevano una certa esperienza in proposito.

Grosso modo un mese dopo mi recai di nuovo dai Panozzo con un’altra amica, Rosanna Migliorini, proprietaria di una telecamera con cui fare qualche ripresa. Ormai padroneggiavo nel modo più completo il movimento a distanza delle porte e, in un’ulteriore riunione del CICAP veneto, avevo convinto anche i più scettici del fatto che non si trattava di un trucco. Per evidenziare per la telecamera il movimento della porta, il signor Diego costruì rapidamente (con una tavoletta di legno, un po’ di fil di ferro e un pezzo di carta) un oggetto con un perno che, attaccato alla porta con lo scotch per il braccio corto, ne amplificava il movimento sventolando come una bandierina per diversi centimetri.

Dopo aver ripreso da vari punti di vista la cosa, discutemmo con la famiglia della spiegazione. Cercammo insieme di pensare ad un modo per riprodurre il fenomeno con dei mezzi meccanici. Provammo prima con una pompa da bicicletta, tappando l’uscita dell’aria: nessun risultato. Evidentemente, la variazione di volume era troppo piccola. Provammo anche con un pallone da pallavolo e con un palloncino, ancora senza alcun risultato. Probabilmente, il pallone era troppo piccolo mentre il palloncino era troppo morbido: premendo da una parte, si allargava dall’altra.

Così, senza aver fatto ulteriori progressi, quella sera ci salutammo. Ovviamente sarebbe stato facile costruire un oggetto meccanico adatto alla verifica usando, per esempio, un grosso cilindro d’acciaio, un pistone a tenuta stagna e un motore idraulico da ruspa, solo che i costi erano decisamente al di sopra di quanto ciascuna parte in causa fosse disposta a sostenere. Solo parecchi mesi dopo, pensandoci per caso, riuscii a trovare una soluzione funzionale ed economica.

Un palloncino sarebbe andato sicuramente bene come volume, solo che la sua membrana è troppo morbida per contenere una differenza sostanziale di pressione rispetto all’esterno: se si pigia un palloncino sferico da una parte, lui non fa altro che deformarsi dalle altre parti. Infatti, quando si tenta di schiacciarlo non offre quasi resistenza, mentre se l’aria all’interno si stesse davvero comprimendo dovrebbe diventare rapidamente via via più duro. Quando si deforma, però, la membrana è costretta a distendersi e ad aumentare di superficie: infatti la sfera è il solido che, con una data superficie esterna, riesce a contenere il massimo di volume. Schiacciando il palloncino, lo si costringe ad assumere una forma più lontana dalla sfera rispetto a quella iniziale. Poiché la pressione dell’aria, e quindi il suo volume, all’interno del palloncino non sono cambiati, la sua superficie esterna deve per forza ingrandirsi. Per comprimere efficacemente l’aria all’interno del palloncino, bastava trovare uno stratagemma per impedire alla sua superficie di aumentare.

Dalla teoria passai alla sperimentazione. Comprai in cartoleria un palloncino bello robusto, di quelli che si vendono per decorazione a 500 o 1000 lire l’uno, e lo gonfiai fino a fargli assumere una forma decentemente sferica. Poi lo avvolsi con un pezzo di tela non elastica: una tovaglia, ma qualsiasi altra stoffa un po’ robusta può andar bene. Raccolti da una parte i lembi della tovaglia, li attorcigliai fino a quando non cominciarono ad opporre una forte resistenza, in modo da stringere la tovaglia attorno al palloncino. A questo punto, lo avevo costretto a non poter più aumentare di superficie e infatti, schiacciandolo, era diventato molto duro. Portatolo in uno sgabuzzino, bastò schiacciarlo ritmicamente con forza contro una parete, perché la porta si mettesse a ticchettare in modo assai soddisfacente.

In questa storia rimane tuttavia un mistero, che probabilmente non sarà mai svelato. Infatti, malgrado tutta l’insistenza delle mie due amiche e mia nell’arco di due serate, non siamo riusciti a farci dire da Gabriele le circostanze in cui il fenomeno accadde per la prima volta, né tantomeno se la scoperta fosse intenzionale oppure casuale.

 

Facciamo due conti

 

Innanzitutto, i dati certi. La stanza da bagno misurava 3 m per 2.2 m per 1.8 m, per un volume V complessivo di 11.88 m3. La porta era alta 2.2 m e larga 0.8 m, quindi la sua superficie S era di 1.76 m2. La pressione dell’aria all’interno della stanza, ovviamente, doveva essere circa un’atmosfera.

Chiamiamo DV la diminuzione di volume in m3 dell’aria nei polmoni quando i muscoli vengono contratti, pari all’aumento del volume a disposizione dell’aria nella stanza. La diminuzione di pressione nella stanza DP si può calcolare usando l’equazione del gas perfetto a temperatura costante (PV=costante). Si ottiene al primo ordine di approssimazione (più che sufficiente) che il cambiamento relativo di pressione nella stanza deve essere uguale, ma di segno opposto, al cambiamento relativo di volume: se per esempio il volume fosse aumentato dell’un per mille, allora la pressione sarebbe diminuita di un millesimo di atmosfera. La variazione di pressione è dunque DP= DV /V 1 atm e la forza F esercitata sulla porta deve essere F=DP S= DV S/V atm. Sostituendo i numeri e convertendo le unità di misura, il risultato è che F in chilogrammi forza vale circa 1500 DV m-3.

Per valutare DV si deve pensare che il limite è dato dalla pressione massima che si riesce ad esercitare con il diaframma. Il sollevamento della colonna d’acqua soffiando nel sifone che si usa per travasare il vino ci riporta direttamente indietro ai tempi delle prime misure di pressione usando barometri a colonna: la pressione risulta proporzionale all’altezza del liquido nella colonna. Nel caso dell’acqua, la proporzione è tale che un’atmosfera di pressione corrisponde grosso modo a 10 metri d’acqua, quindi mezzo metro corrisponde a un ventesimo di atmosfera. Usando sempre la legge dei gas perfetti a temperatura costante, si ottiene che la variazione di volume dev’essere a sua volta un ventesimo di cinque litri: un quarto di litro, pari a 0.00025 m3.

Inserendo questo numero nel calcolo della forza agente sulla porta, si ottiene una stima di circa 400 grammi forza, più che sufficienti a muovere la porta. Non solo, ma dal calcolo del volume d’aria spazzato dalla porta risulta che, per compensare la differenza di pressione, la porta dovrebbe muoversi avanti e indietro di circa 3 decimi di millimetro. Diciamo che la porta si muove di un angolo a (espresso in gradi sessagesimali), corrispondente alla frazione f=a/360à» di un intero giro. Allora il volume attraversato è la stessa frazione del volume di un cilindro di raggio, nel nostro caso, 0.8 m e altezza 2.2 m. Da ciò si puòricavare a e quindi la distanza percorsa da un punto sul lato mobile della porta. La verifica del risultato è lasciata come esercizio per i lettori più curiosi.

 

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